di Marina Angelo
“Please disturb” è la piccola scritta, in verde acido, sullo sfondo blu elettrico, di un cartellino, posto in alto alla vetrina di un negozietto che s’incastona, tra quello che resta, di un quartiere progettato da Terragni e Lingeri, costruito da operai e artigiani, e lo skyline della “City” che l’ha inghiottito. Il quartiere Isola, che oltre alla città di Milano, negava l’accesso alla polizia per dare rifugio alla mala milanese (tanto che pure la sorella di Ezio Barbieri, il famoso ladro gentiluomo, aveva un bar vicino al Frida), si è aperto ed espanso da un pezzo. E se gli operai hanno fatto le valigie per lasciare il posto a chi arriva per fare business, con trolley semi vuoti ad intendere di trattenersi il “tempo necessario” agli affari, gli artigiani restano e resistono. La bandierina marrone, sventola fiera i caratteri puliti e decisi del logo “L’Isa” (interessante dicotomia tra nome della proprietaria –Isabella- e territorio), mantenendo alto lo stile Liberty delle palazzine che si conservano con le persiane in legno nonostante l’aspetto sia un po’ radical chic. Oggi anche all’Isola, raggiungibile pure in metro (linea lilla), l’economia corre più veloce del sole che, sorge e tramonta, da una parte all’altra dei grattacieli che, solleticano il cielo di “Gae” (Piazza Gae Aulenti ndr) oggi finalmente in grado di dare la mano a Brera senza passare da sottopassaggi. Tuttavia, lo stesso sole, continua a riflettersi sui cortili delle vecchie case di ringhiera del dopo Expo (anche se alcune completamente ristrutturate al punto da aver coperto uno dei cinque cimiteri costruiti fuori dalle mura cittadine come la “Mojazza” nato tra via Dal Verme, via Cola Montano, via Angelo della Pergola e Piazza Archinto), colorando pure lo “scalo Farini” che un po’ alla volta, si sta allargando fino al Monumentale.
In questo correre, e finalmente di nuovo senza mascherine, alla gente non è, per fortuna, mai “calata” la voglia di leggerezza. Elegante e tutta da scoprire, Milano resta fedele agli slogan e, se di bere si tratta, ci si inventa addirittura “spiagge” senza mare, all’ombra di ombrelloni esotici e chiringuiti come quello dello zio Tommy che, al That’s Milano di Stefano, al 28 di Thaon di Revel, fanno già vacanza. In questo cedere il passo al nuovo non mollando una “storica presa”, “L’Isa” non si limita ad esporre. Narra stili e vite di società che cambiano. Di artigiani che restano a creare mode alternative all’omologato e modi per far indossare l’essere. Racconta di artisti che provano a dare forma al “chi siamo” ma, soprattutto, modellano il “diventando”. Un divenire che, proprio perché in movimento, si fa performante di una costante e continua rinascita. Stupisce con mode, mai troppo modaiole, che s’imprimono sull’identità dello stile incidendosi su di un corpo, prima che su un’epoca.
Verità, questa, per la quale abbiamo scomodato la rivoluzionaria Coco Chanel e che, oltrepassando la soglia del civico 8 di via Thaon di Revel, a Milano, la troviamo perfettamente tradotta. E’ qui che convivono e dialogano pezzi unici di un artigianato capace di omaggiare l’essere donna. Crocevia di creatività, racconti e passioni che si calcano persino su un pavimento in vetroresina, gli oggetti di ogni artista, creativo, artigiano da “L’Isa” restano sospesi su appendiabiti e vetrine studiate per esaltare la bellezza di ogni loro creazione. Ed è così che Isabella ed il suo atelier sono diventati il punto di riferimento per gli isolani del quartiere “Isola”, turisti, curiosi, cool hunter, appassionati di moda, amanti del bello che scelgono di fare la differenza. Gli unici confini possibili sono quelli che distinguono il sé e l’altro come diceva, questa volta, il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel. Per Simmel, la moda, se da un lato tende verso tutti, dall’altro non può essere per tutti, altrimenti non potrebbe essere elemento di distinzione per nessuno. Differenziazione versus uniformità. A risolvere l’enigma ci pensa Ilabella Kaus, questo il nome della titolare della piccola boutique cult ricca di introvabili “must have”: anelli da indossare o collezionare, tessuti e trasparenze, cappelli e borse, scarpe e orecchini tutti rigorosamente fatti a mano e, per questo, irripetibili. Un lavoro certosino, quello di Isabella, che parte dall’osservazione e dalla selezione rispetto a ciò che vuole essere, in che mondo e come. E una donna, lo sa, che il come ha mille sfaccettature: dolce e graffiante, decisa e pungente, raffinata ed elegante purchè, vera.
Come nasce “L’Isa”? L’Isa nasce dalla follia, da un accumulo di cose ventennali e da un carpe diem. Nasce da un sogno
Che donna è Isabella?
Una trasformista. Sarei la “Masina” de “La Strada” con una felicità diversa. Un pagliaccio di Almodóvar
A proposito di pagliacci: quanta teatralità c’è nel tuo lavoro?
Banalmente il nostro lavoro impone il sorriso costante del pagliaccio da circo anche quando, magari, non abbiamo una buona giornata come la “classica” che capita a tutti. Il pagliaccio non può permettersi di non ridere e noi non possiamo permetterci di avere “giornate no”. I comici tendenzialmente fanno ridere il mondo intero ma poi, nel personale, non fanno ridere sempre
Però tu sei una donna divertente…
Si, con una forte dose d’incoscienza!
E con buoni doti di psicologa per le clienti che tra poco ti daranno la laurea ad honorem?
Questo non si deve sapere
sorride Isabella non riuscendo a celare una verità che passa nei suoi occhi adesso accarezzati da una frangia ramata che cade morbida da uno chignon raccolto veloce ed elegante prima di aggiungere: Sono una psicologa ad honorem ma anche un po’ ribelle.
Durante questi due lookcdown come ti sei reinventata?
Innanzitutto sono diventata più social: oggi ho una pagina Instagram (https://www.instagram.com/isabella_lisa_kaus/) interamente riservata alla mia attività. Ho avuto più tempo per dedicarmi alla ricerca dei nuovi creativi, artigiani ed artisti curando e mantenendo, contemporaneamente, i rapporti con gli “storici”.
Come nasce la ricerca del tuo prodotto?
Dall’idea che non ho ma che trovo negli altri
Quando una donna entra da “L’Isa”, cosa cerca?
Cerca un capo unico perché vuole distinguersi
Omologazione o differenziazione, cosa vince?
Indubbiamente premia il carattere: vendo cose interessanti per clienti interessanti. La mia è una clientela che mi arricchisce per l’80% dei casi. Loro sono un valore aggiunto ad un prodotto che impreziosisce non per il valore in sé ma, per ciò che dice. La gente viene da me non solo perché trova cose differenti ma anche, perché ormai mi vuole bene. Negli ultimi due anni, queste persone, le ho davvero sentite. Ho sentito che venivano per aiutarmi durante un periodo difficile per tutti e non perché ne avessero davvero bisogno.
Che di fatto, poi, del superfluo non si ha mai davvero bisogno nonostante resta indispensabile. Un gioiello, ad esempio, perché si compra?
Perché riconosciamo noi stesse e ne desideriamo mettere in mostra una parte. Comunicare un nostro lato. Un gioiello evoca l’unicità ed essendo solamente tuo, ti rappresenta. Parla di te. Della tua personalità. E la nostra personalità ha mille sfaccettature. Per questo non esiste un gioiello giusto e uno sbagliato. Ma il gioiello perfetto per ognuna di noi.
Com’è cambiato il modo di comprare e regalare gioielli?
Nel 90% dei casi le donne si regalano gioielli per gratificare sé stesse. Donne che si vogliono bene e hanno capito che non bisogna aspettare un’occasione o il momento giusto per farsi un regalo, per parlare di sé con un altro linguaggio. Attraverso un altro canale. Ogni giorno è il nostro “momento giusto”. Noi donne abbiamo tantissimi buoni motivi per donarci qualcosa. E non perché sia un palliativo. Un dono, arricchisce sempre. Ti dà la possibilità di amarti un po’ di più. Acquisisci peso nello spazio che occupi. Diventi magnetica oltre che magnifica. Ed alcune clienti sono delle “fenomeni dell’universo”. Mi stimolano a fare di più
Una volta il gioiello era inteso come “l’anello d’oro” piuttosto che il “collier” ecc. Oggi la percezione del gioiello è cambiata anche grazie all’artista che rende preziosa pure la pietra lavica. Quali sono i materiali più usati e quanto il creativo influenza il grande mercato orafo?
C’è stata l’età del bronzo. Il rame, ad esempio, è il materiale più rubato ma, serve anche all’idraulico. E cosa saremmo senza il legno? Vogliamo parlare della lava siciliana?! Quella forza della terra incandescente che erutta e fa spettacolo. I materiali sono determinati dagli stili degli artisti e dal loro genere piuttosto che dalle richieste del cliente. Un anello può avere delle varianti (rame, bronzo, argento, oro) e le relative fasce di prezzo. Ciò che è importante, ma anche determinante, è lo sviluppo dell’idea che l’artigianato italiano può permettersi. Nel nostro Paese questo settore è stato, è, e sarà sempre uno dei tratti distintivi della cultura e dell’economia che il resto del mondo, insieme a tanto altro “made in Italy”, ci venera (e ci copia).
Se è vero che dobbiamo anche rompere l’artigianato italiano, le nostre eccellenze artigiane devono essere tutelate perché sono il patrimonio dell’Italia, il segno distintivo che l’ha da sempre caratterizzata. Questa è una cosa su cui riflettere. Tutto ciò che è grande, poi, copia dalla strada perché il piccolo, non avendo denaro, non può sviluppare come un grande. Tuttavia, è proprio il piccolo ad essere sempre più innovativo. Sulla strada incontra la vita. La traduce e la modella con le mani. L’economia odierna, la rincorre.
Oro sudato dunque…
Si, per tanti aspetti
E di cosa c’è bisogno oggi
C’è bisogno di normalità
brava bel pezzo