Il mondo coperto di plastica

Possiamo liberarlo, se si vuole

di Daniela Tana

Tutti noi abbiamo visto le immagini delle grandi isole di plastica che si sono formate negli Oceani,

sembra quasi che ci puoi camminare sopra per quanti oggetti di plastica la formano.

Sappiamo anche quanto questi oggetti di plastica siano grossi rischi per gli animali marini che rimangono incastrati in imballaggi e reti di plastica, vari pesci, grandi o piccoli, tartarughe rimangono prigionieri e non riescono neanche a tornare sotto acqua e muoiono soffocati.

Un altro rischio sono i sacchetti di plastica che vengono scambiati per cibo e ingoiati ma che diventano sempre la loro condanna a morte perché bloccano le loro vie respiratorie.

Ma non c’è solo questo: la plastica a causa della salinità dell’acqua di mare, dei raggi solari, degli sbalzi di temperatura ed altro si indebolisce, perde la sua caratteristiva di elasticità, si irrigidisce e si spezzetta sempre più fino a diventare microplastica.

Sotto questa forma entra nella catena alimentare e a questo punto la microplastica crea due problemi: primo, va a riempire l’apparato digerente dell’animale marino non permettendogli più di mangiare il suo cibo normale causandogli così la morte per fame. Oppure viene assorbita dall’organismo, e lì si accumula finché non diventa causa di tumori o di altre malattie.

Ma una volta entrata nella catena alimentare non la si può più fermare: in molte parti del mondo alcune specie di uccelli marini si stanno riducendo fortemente a causa di questo problema, proprio perché mangiando pesci con parti o particelle di plastica nel corpo, si ammalano anche loro.

Ma, anche noi: risulta che ogni anno mangiamo una quantità di circa 250 grammi di microplastiche! Praticamente, facendo un semplice calcolo, in 10 anni mangiamo l’equivalente di una sedia di plastica.

Assurdo!

Le microplastiche sono dappertutto, un nemico invisibile, basti pensare che anche nelle bottiglie di plastica che usiamo normalmente ci sono microplastiche. E queste che noi mettiamo nel nostro corpo finiscono, in parte, negli scarichi cittadini e poi in mare. Queste microplastiche insieme ai rifiuti di plastica ancora integri che finiscono in mare seguono delle correnti marine e si vanno ad accumulare in alcuni punti particolari degli Oceani, in cui esse convergono, ce ne sono diverse nei nostri mari ed è qui che si formano le cosiddette isole di plastica sulle quali potresti anche camminare, larghe decine di chilometri. Ma la maggior parte di queste plastiche si disintegrano e si depositano sul fondo del mare avendo perso elasticità e si riducono man mano alle dimensioni di granelli di sabbia, negli anni, ma nel fondo ci sono anche tanti altri oggetti di plastica che non si sono ancora disidratati.

Ma non tutti sanno che l’80% dei rifiuti di plastica nei mari proviene dalla Terra, non sono scaricati dalle imbarcazioni, provengono da Paesi con scarsa e insufficiente, forse a volte anche inesistente, gestione dei rifiuti a terra. Sappiamo che tutta la plastica presente negli Oceani proviene da alcuni grandi fiumi presenti in alcuni Paesi che vengono chiamati “il sud del Mondo”, in generale con basso tasso di sviluppo, ma con alto tasso di povertà, che non hanno le risorse per organizzare un sistema per lo smaltimento dei rifiuti. E quindi usano i grandi fiumi per portare via la plastica dal Paese facendola arrivare in mare portata dal fiume stesso

Ci sono in rete video in cui i fiumi di questi Paesi sembrano Autostrade ricoperte di plastica, o nastri trasportatori di tonnellate di plastica; si vedono “normalmente” camion della raccolta che scaricano la plastica nei corsi d’acqua e spesso bambini che giocano e nuotano in mezzo a tutta quella plastica.

La plastica che vediamo nei mari attorno l’Italia proviene in prevalenza dalle attività di pesca del Po. Il delta del Po, per esempio, è carico di inquinanti e altro, raccolti lungo tutto il suo percorso, tutto il Delta del Po è un territorio in pericolo proprio per il problema della plastica e del polistirolo, oltre che per le reti per l’allevamento dei molluschi. Che poi finiscono nel mare aperto con le conseguenze sopra dette.

Ma anche gli oggetti che si gettano nel Water finiscono nei nostri mari, come le centinaia e centinaia di cotton fioc in plastica che ritroviamo nelle spiagge.

Purtroppo, nel tempo abbiamo visto che la SOLUZIONE al problema, al potere inquinante e non salutare della plastica NON E’ UNICAMENTE LA DIFFERENZIATA, perché come risulta dall’ultimo Report del Corepla (Consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica) si evidenzia che, nonostante l’impegno profuso dai cittadini italiani il riciclo della plastica è ancora un affare complesso: solo il 43,5% viene realmente trasformato in nuovi oggetti – peraltro di qualità spesso inferiore rispetto a quelli originali – mentre il 40% finisce nei termovalorizzatori per la produzione di energia e il 16,5% addirittura in discarica!

Qualunque sia il tipo di plastica, in Italia non riusciamo proprio a capire come uscire da questo problema, si parla di chiedere un maggiore impegno ai produttori di plastiche riciclabili, in modo che una volta arrivati a fine uso gli oggetti possano essere più facilmente riciclati. Dall’altro, dicono che bisogna incrementare il numero di impianti di trattamento, perché quelli attuali non sono in grado di gestire l’enorme mole di scarti prodotti dai cittadini!

E neanche la produzione di buste biodegradabili e compostabili ci aiuta! Perchè da una confidenza ricevuta da un produttore di buste di plastica, sembrerebbe che una busta fatta interamente di plastica, occupa sulla Terra il posto dove “cade”, ma una busta di plastica biodegradabile e compostabile si sfalda in migliaia di piccoli pezzetti, questo perché insieme alle sostanze “naturali” e biodegradabili e compostabili con cui viene prodotta, nella quantità del >60%, si deve sempre usare un po’ di plastica per ottenere il prodotto, ed é proprio quel “po’ di plastica” che non si degrada o non si scioglie ma si spezzetta e continua ad inquinare non più in un unico posto ma in tanti piccoli posti, e diventa facile per un insetto o un uccellino acciuffare un pezzettino di plastica che svolazza pensando che sia commestibile e poi, invece, morirne.

Ad aggravare ulteriormente la situazione negli ultimi tempi è stato il bando cinese per l’importazione di questo tipo di rifiuti.

Comunque come abbiamo capito, IL RICICLO NON BASTA.

Allora?

Si, dobbiamo ridurre la produzione e l’utilizzo della plastica, ma si può riportare quella ancora esistente allo stato “precedente”.

Con tecnologie, diciamo innovative, ma conosciute ed esistenti ormai da più di 10 anni, si riporta il materiale di scarto di plastica a idrocarburo, che può essere usato su motori per trasporti oppure da quello più pesante e denso che si formerebbe da questo tipo di riciclo, si potrebbe produrre nuova plastica senza usare ancora altro petrolio.

Le tecnologie ci sono, ma molte politiche sono ancora fossilizzate o, per interessi personali, non vogliono adottarle per non privare loro “amici” del guadagno dello smaltimento tradizionale su discariche o inceneritori.

Anni fa scoprii con grande sorpresa dell’esistenza di una macchina che converte i sacchetti di plastica e altri tipi di plastiche non solo quelle dei sacchetti, in olio combustibile.

Infatti tutta la plastica è a base di petrolio.

Questa macchina fa tornare la plastica nella sostanza con cui è stata fabbricata.

Io lessi di un ingegnere giapponese, ma addentrandomi nella ricerca trovai che anche un Malese, un Koreano, un Polacco e altri, avevano inventato macchine che, quasi tutte, usavano lo stesso sistema a pirolisi, ognuno per conto suo.

MA non credo che gli italiani siano privi di meno intuito di questi.

L’ingegnere Giapponese Akinori Ito, che ho poi contattato personalmente e mi ha inviato copia dei risultati degli studi fatti dalla Kurume Industry University in Giappone in cui si attestava la qualità del carburante prodotto utilizzabile per i motori diesel senza problemi, come anche la benzina prodotta poteva essere usata per le auto senza problemi, lui ha creato una macchina in grado di trasformare i sacchetti di plastica in carburante; praticamente riscalda e scioglie la plastica in un processo di carbonio negativo al posto di una fiamma viva, e intrappola i vapori in un sistema di tubi in grado di raffreddarli e successivamente condensarli sotto forma di petrolio greggio che può essere subito utilizzato in generatori e stufe, ma che con un ulteriore passaggio di raffinazione in un’altra macchina, può essere trasformato in benzina, Kerosene e diesel.

Questo processo di scioglimento della plastica non rilascia in atmosfera CO2 o altre sostanze che, invece, e purtroppo, vengono liberate al momento dell’incenerimento dei rifiuti.

E questo è molto importante.

Un ulteriore merito della Blest Machine dell’ingegnere Akinori Ito sta nelle dimensioni piccole di un dei suoi modelli, al punto da rendere l’ “elettrodomestico” facilmente trasportabile, addirittura in aereo e collocabile su un comune piano di lavoro in casa, in uno studio professionale o a scuola. Ciò significa che il processo di conversione della plastica in carburante potrebbe potenzialmente diventare una pratica quotidiana. Il sistema è infatti pensato appositamente per le famiglie e per rendere possibile quella indipendenza energetica tra i consumatori che non potrebbe che fare bene anche alla Terra.

L’Ingegnere porta spesso la sua macchina nelle scuole a fare dimostrazioni ai bambini delle elementari e medie per insegnare loro a conservare la plastica per poter essere riutilizzata.

Questi in Giappone furono i primi esperimenti di cui venni a conoscenza, ma poi seppi di un signore Polacco, Tokarz, che perfeziono’ una sua macchina senza ricorrere all’alta pressione, e dopo il raffreddamento lui ottiene carburante liquido che consegna a due raffinerie polacche.

Nella distillazione finale si ottengono fino al 18% di benzina ed al 47% di olio combustibile. Il processo di produzione inventato dal sig. Tokarz è quasi interamente automatizzato e per accudire la macchina, delle dimensioni di un piccolo container, bastano due uomini che introducono l’immondizia di plastica in una specie di tritatutto che la riduce in pezzetti minuscoli prima della trasformazione. In Polonia la raccolta della spazzatura, secondo stime attuali, produce fino a 1,4 milioni di tonnellate di plastica. Tokarz dice che la sua macchina può lavorare ovunque anche in condizioni estreme, può essere collocata perfino direttamente nei centri di raccolta spazzatura.

L’inventore malese Khoo Hai Hing ha perfezionato una sua formula per trasformare la plastica in benzina attraverso un processo di “rottura fototermica” e sembra che la sua invenzione sia frutto di dieci anni di studi. Il risultato è veramente clamoroso perché gli permette di produrre da un chilo di immondizia di plastica 1,2 litri di benzina.

“Invece di continuare a trovare posti per raccogliere la spazzatura di plastica perché non raccoglierla e ritrasformarla in combustibile?”

E farle finire il suo ciclo di vita e toglierla di mezzo?

Ma che ne direbbero poi, le varie Compagnie petrolifere?

In Giappone, in Malesia, in Korea, in Polonia è diverso che da noi in Italia, popolo succube senza saperlo, e che continua a non voler sapere, delle varie Lobbyes, delle varie Multinazionali che gestiscono tutta la nostra vita grazie alla manipolazione delle informazioni. Ci fanno sapere solo quello che vogliono e come è conveniente a loro.

Ho dato un’occhiata all’elenco dove, per esempio, la Blest Machine giapponese si vende: l’Italia non c’è.

Ma ci sono altri Paesi europei come Olanda, Slovenia, Grecia, Islanda Germania, Slovacchia, Spagna, Irlanda, Belgio e Malta.

Da noi queste notizie non arrivano neanche!

L’ingegnere Akinori Ito presenta la sua macchina per uso privato per produrre olio combustibile dalla plastica, in una scuola di bambini giapponesi

Modello industriale Blest Machine

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