Ragione della forza contro forza della ragione: è finito il Diritto di difenderci?

Controllo di massa

di Paolo Genta

I non dormienti hanno questa terribile sensazione, che provoca una sottile e lancinante angoscia quotidiana. La sentono nelle vibrazioni impercettibili delle proprie carni, come un sottile rumore di fondo, una radiazione nervosa che disgrega lentamente l’idea di futuro con cui hanno ingenuamente convissuto fino ad ora, nella speranza che una qualche legge della Storia assicurasse comunque loro un posto in un mondo ancora, tutto sommato, degno e dignitoso. Si sente, questa ansia dentro di noi, come una forza che ammala le nostre risorse fisiche e mentali, che può catalizzare agglomerati tumorali nel nostro corpo e nella nostra mente. E’, quest’ansia, anche il risultato finale di un continuo sussulto etico, di una indignazione quasi incontenibile che ci assale ogni giorno: una indignazione reiterata, che insorge davanti ad affermazioni inaccettabili, ad atti di vergognosa arroganza, a manifestazioni di profonda slealtà intellettuale ed morale, che ci circondano e ci affliggono quotidianamente. E’ la sensazione di essere perduti, caduti in un angolo remoto del metaverso, in una realtà improvvisamente apertasi grazie ad un portale dimensionale che ci ha catapultati non solo nel futuro distopico di Aldus Huxley e di George Orwell, ma in mezzo a individui che non riusciamo più a riconoscere, per quanto aliene (o alienate) ci appaiono le loro menti, così appiattite sulle falsità accettate e interiorizzate del pensiero unico. Essi ci sommergono quotidianamente di insinuazioni, provocazioni, incitazioni alla delazione; ci aggrediscono con determinazione e presunzione, con la loro ossessione per le soluzioni “necessarie e responsabili”, fino al punto da renderci insopportabile anche solo il contatto con le loro parole, distruttrici di speranza e di vita. A indignarci sono le voci pacatamente criminali di personaggi in vista, dei mondi di mezzo della politica, dei media, della Medicina asservita. Essi ripetono compulsivamente, come pupazzi, i loro sragionamenti, protetti dalla sicurezza e dalla impunità di media del mainstream ormai blindati, letteralmente asserragliati nella difesa autistica di verità incontrovertibili. Media che selezionano con cura i loro profeti di verità; media che, artatamente, eliminano e discreditano oppositori e non allineati, relegandoli al ruolo di comparsa, da ridicolizzare o mortificare davanti a un pubblico che sembra catatonicamente ignaro, perfino di sé stesso. Questi portavoce del potere non hanno bisogno di giustificare nulla di quello che dicono: semplicemente lo ripetono con una sicumera insopportabile ed evidentemente frutto di un prolungato addestramento, proveniente da piani più alti, quelli sì, che orientano, decidono, minacciano e ricattano. Affermazioni di tali livelli di paradossalità non possono che provenire da chi si sente appartenente ad un potente circuito elitario di privilegiati: nessuno, da solo, si arrischierebbe ad esporre la propria dignità ed immagine, lasciandosi andare a frasi che sfidano il buon senso e ignorano i dati di fatto. La sicurezza di questi collaborazionisti (che forse, un giorno, saranno chiamati a rendere conto), il loro tono di giudici, di paternalisti manipolatori del consenso, di autonominate guide di un popolo intontito dalla paura e dalla violenza, deriva necessariamente da quei piani che, con una telefonatina, una manina, un’allusione, offrono carriere, protezione, status: ma richiedono obbedienza, fedeltà, prostrazione agli interessi del progetto unico, che sta avanzando apparentemente in modo inesorabile, addirettura secondo cronoprogrammi non troppo segreti. E non è vero che il potere non ha mai un volto: se non quello di ultimo livello, quello dei livelli immediatamente inferiori sono visibili, ad occhio allenato e mente informata. Ne conosciamo i nomi, i volti, rugosi e butterati dallo strapotere di un’anima corrotta, le espressioni arroganti e imperative: le loro dichiarazioni, riportate con devota considerazione, dimostrano la sicurezza impudente della loro impunità. La sconcertante demenzialità di quanto ci prospettano nella più assoluta tranquillità, come il controllo digitale delle menti, la fine delle libertà individuali, un regno dei “mercati” che si impossesseranno delle vite di miliardi di futuri individui malaticci e sostanzialmente sottoccupati, è ormai evidente. E lo è tal punto, da far sospettare che essi sappiano quasi di aver vinto sul mondo, di essersene appropriati definitivamente e di non essere nemmeno più interessati a simulare o nascondere i passi successivi di questo colpo di Stato mondiale, annunciato da, ormai, quasi quarant’anni. E non c’è nulla di particolarmente nascosto, in effetti, perché le informazioni ci sono, sono lì davanti a noi, spesso a distanza di un click: ma loro contano sul fatto che il popolo non abbia né il tempo, né la capacità, né, di conseguenza, l’interesse genuino e la volontà di comprendere, visto che passa tutto il giorno a lavorare, in un mondo dove, lavorando la metà, si potrebbe per l’altra metà rendersi padroni di sé stessi e non di altri. Questi fiancheggiatori consapevoli o meno, che occupano gli spazi mediatici sono, evidentemente, solo menti ricattate. Non vi è altra possibilità, al di fuori di un dolo consapevole, che quella di considerarli in qualche modo vittime esse stesse. Possono (o devono) dire con spavalda sicurezza tutto ciò che viola non solo le regole della logica, ma anche quelle dell’evidenza, della pura e semplice fattualità. Il ricatto, la minaccia, ma soprattutto il coinvolgimento in rituali di appartenenza dal profilo innominabile, sono l’unica causa razionale delle logiche incomprensibili che essi si ostinano ciecamente a reiterare. Dichiarare, per esempio, che un governo deve tirare dritto davanti ai “negazionisti” e obbligarli al vaccino, o che i vaccini, dopo la loro introduzione, hanno salvato il mondo dalle malattie, o che occorre stanare gli asintomatici e separare i figli dalle madri nei casi di “contagio”: tutte queste sono cose non solo moralmente sciagurate e costituzionalmente illegittime (oltre che facilmente smentibili con i fatti e il ragionamento), ma sono, appunto, la dimostrazione che chi parla è pilotato, ma anche protetto. Il servo, lo ripetiamo, sa di appartenere ad un branco invisibile di potenti che, proprio perché lo includono, lo risparmiano e gli permettono di avere la loro stessa impunita libertà di parola: almeno fin tanto che l’obbedienza rimanga “perinde ac cadaver”. Una libertà di parola che si può permettere tutto: di dire cose assurde, insensate, irrazionali, false, ridicole. Ma che ha il suo spazio assicurato, una costante possibilità di imporsi all’ascolto, proprio grazie alle porte aperte da un potere onnivoro e alieno. E il punto è proprio questo: ogni difesa razionale, argomentata, comprovata, presentata nei più diversi contesti, magari conquistati a fatica con manifestazioni, interventi, pubbliche smentite con tanto di prove, sembra non avere più possibilità alcuna di essere ascoltata, men che meno compresa. Sta scomparendo il diritto di difendere una posizione critica, di dire di no, di portare le prove in luoghi di ascolto pubblici, di raccogliere le prove stesse. Stanno scomparendo i fatti. I fatti (statistiche Istat, dichiarazioni della, pur compromessa, OMS, grafici ufficiali dell’Istituto Superiore di Sanità, dati rilevati da studi decennali, in tempi non sospetti) non sembrano avere più alcun potere dirimente. La loro scomparsa, la loro mutazione in “fattoidi” (cioè presunti, ma mai certi), l’incredibile perdita della loro funzione di riferimento per i processi decisionali, è stata organizzata da tempo e le modalità di questa eliminazione sono ormai ben note: monopolio e controllo totale dei canali di informazione, eliminazione totale degli indesiderati dall’agenda, produzione di dati contrastanti per ridurre ed etichettare le questioni come “controverse”, manipolazione delle biografie, uso indiscriminato di “neolingua”, di “bipensiero”, di contrazioni linguistiche che minimizzino e stravolgano i significati per impedirne la comprensione: sono solamente alcuni esempi. E se non esistono più i fatti, disciolti nella velocità del flusso informativo, deformati, semplificati e snaturati ad uso e consumo di un pubblico infantilizzato e ignorante, allora non esiste nemmeno più un luogo per una discussione razionale su questi fatti. Una tale discussione richiede controllo, procedimento inferenziale appropriato, rispetto delle regole dialettiche, consapevolezza delle fallacie e scorrettezze retoriche, empatia, ascolto ed alcune altre decine di qualità umane, ormai quasi estinte. Troppo comodi sono, invece, slogan, brevi ed edulcorate dichiarazioni da agenda politica, interviste a giornalisti in ginocchio, compiacenti, incapaci di fare le domande più ovvie, salotti artificiali, dove testimoni della verità e persone di specchiata onestà, che imprudentemente o ingenuamente accettano il “confronto” vengono spudoratamente gestiti in modo da apparire ridicoli e contraddittori personaggi da operetta, davanti a un pubblico selezionato per essere apatico e obbediente. Il web, tanto screditato dal potere, offre ancora spazi umanizzanti, dove riflettere con appropriata lentezza diventa ancora possibile: ma sono spazi ad uso limitato, di nicchia, perché usare il Web per informarsi criticamente richiede capacità di selezione, maturità di linguaggio, di pensiero, autonomia di ricerca finalizzata e non casuale. Tutte cose non “di massa”. Eravamo convinti che il dopoguerra, tutto sommato, ci avesse garantito, a costo dell’olocausto, se non una vita tranquilla, comunque una vita al riparo dal fascismo di Stato, almeno a casa nostra. Non credevamo che la Storia potesse veramente essere ciclica, circolare, autoreferenziale, dal momento che la società dei consumi e la matrice neoliberista in cui siamo nati, ci hanno da sempre presentato il divenire umano nell’immagine subconscia di una Storia ottimisticamente progressiva, finalisticamente orientata al miglioramento costante per tutti, pur con alti e bassi: l’idea illuministica della Storia insomma. Oggi, più che mai, veniamo però messi di fronte ad un possibile (ma, forse, non ancora irrimediabile) ritorno del fascismo nella sua declinazione più atroce: quella del controllo di massa non più esercitato dall’esterno dei corpi, ma dal loro interno. Un fascismo che le narrative cinematografiche e distopiche avevano rappresentato da decenni e della cui inventiva e rassicurante assurdità ci compiacevamo. Ora quell’assurdità bussa alla porta di casa.

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