Il mediatore interculturale e il suo riconoscimento professionale

E' urgente la necessità di un quadro normativo e il riconoscimento della professione

di Felicetta Salerno

Chi è il mediatore culturale? E’ un professionista che si pone in una posizione centrale e in maniera del tutto neutrale tra un migrante ed un autoctono, al fine di facilitarne sì la comunicazione linguistica, ma, soprattutto, quella interculturale. E’ comune la definizione del mediatore quale ponte tra due culture, ove uno straniero ed un cittadino italiano possano incontrarsi e capirsi nonostante idiomi e schemi culturali differenti. Spesso si confonde il mediatore con l’interprete o il traduttore, riducendo il suo intervento a quello di un esperto linguistico. Il mediatore va oltre: il suo processo di “traduzione” include sia i codici di linguaggio che i codici culturali, aiuta a decodificare il bisogno dello straniero, a ricodificare la risposta sapendo scegliere un linguaggio a lui quanto più fruibile e comprensibile, a gestire le complessità relazionali intervenendo nelle situazioni di “conflitto” che possono crearsi durante la comunicazione a causa di incomprensioni culturali e aiuta le parti a superare e/o prevenire blocchi comunicativi. Sono tante le competenze, dunque, che deve possedere: un’ottima conoscenza delle due lingue utili alla mediazione, un’ottima capacità di ascolto, di comunicazione, di accoglienza, di decentramento, di decodifica dei codici culturali ma anche dei malintesi e delle incomprensioni che ne derivano.

La figura professionale del mediatore interculturale compare per la prima volta in Italia quando negli anni ‘80 iniziano i flussi migratori delle popolazioni di origine maghrebina e ancora di più negli anni ‘90 con quelle di origine albanese. Fu in quelle circostanze che ci si rese conto che era necessario formare una nuova figura professionale in grado di tradurre ma anche di mediare le incomprensioni derivanti dalle differenze culturali, valorizzando i migranti per una convivenza pacifica tra essi e la popolazione italiana. Con le migrazioni dai Paesi africani e asiatici coinvolti dalle guerre, migrazioni a cui assistiamo ancora oggi d’altronde, il mediatore interculturale diviene centrale nei Centri di accoglienza, ma, con il tempo, in tutti gli ambiti investiti dalla compresenza di stranieri ed italiani (si pensi alle scuole, alle questure, agli ospedali, ecc.)

A conferma di quanto sopra esposto, con il decreto n.270 del 2004, il Miur confermò l’istituzione del Corso di Laurea in Mediazione culturale, fino ad allora mai istituito.

Purtroppo, però, la figura del mediatore interculturale soffre della mancanza di un quadro normativo chiaro e di un riconoscimento professionale. Questo permette che veri e propri professionisti vengano inquadrati a discrezione del settore di riferimento e dell’ente per cui svolgono il loro servizio e che si assista ad una svalutazione delle loro competenze, così come ad una equiparazione contrattuale con coloro i quali sono semplicemente madrelingua e non mediatori.

Da diverso tempo sul territorio nazionale vi è una mobilitazione collettiva in termini di collaborazione lavorativa e di battaglia per il riconoscimento di diritti: si sono istituiti diversi gruppi che a gran fatica cercano di dare voce a questa professione ormai divenuta indispensabile.

Dopo la legge n. 40 del 1998 che introdusse per la prima volta la figura del mediatore culturale nel settore dell’immigrazione, vi sono state solo delle proposte di legge (Aldo Di Biagio nel 2008, Peluffo nel 2011 e Di Costanzo nel 2020).

A nome di tutti i professionisti come me che operano sul territorio nazionale, con coraggio ma anche tanta determinazione, mi rivolgo ai nostri senatori e parlamentari e chiedo il loro prezioso supporto affinché sposino la nostra missione e la professione del mediatore culturale ottenga la dignità e la tutela che merita. Chiedo che ci si impegni seriamente affinchè si dia il giusto valore a questa causa e si delinei una normativa ad hoc che preveda l’istituzione di un albo a cui poter accedere con requisiti ben precisi (titolo ufficialmente riconosciuto, come la laurea, oppure percorsi di acquisizione dell’abilitazione alla professione per coloro in possesso di titoli equipollenti e con una notevole esperienza nel campo), un CCNL di categoria e un codice deontologico.

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