Ipocondriaci e delatori: ovvero, quando l’occhio di Sauron si posa su di te

La forza della ragione soccombe alla ragione della forza

di Paolo Genta

Non li conoscevamo così, nello stato attuale nel quale sono precipitati nell’abisso delle loro menti impaurite. Per lo più erano placidamente silenziosi, spesso osservatori distaccati, non partecipi o vagamente disinteressati alla “politica” (ma cosa non è politico, ormai…). Non li stimavamo granché ma nemmeno era necessario sopportarli, perché in fondo non attaccavano: vivevano la loro vita di sfondo, senza commentare, senza farsi trascinare in polemica, addormentati in una assente pacatezza. Al massimo, se davano segno della loro presenza, esprimevano un sornione e prudente cerchiobottismo, di antico sapore democristiano: non granché come contributo, ma comunque qualcosa come prova di vita biologica. Poi ritornavano nell’oblio dei loro comuni atti quotidiani: atti che mai avrebbero tradito, invece, i loro impulsi più profondi. A volte erano persino nostri amici, o, incredibile ma vero, familiari con cui si sono condivise le intimità della vita parentale; oppure apprezzati compagni di lavoro, colti, affabili, apparentemente aperti e riflessivi o vivacemente coinvolti in ragionevoli e rispettose discussioni, che terminavano però con irrimediabili aporie. Con loro siamo andati a cena, abbiamo scherzato, magari con battute salaci e complici, o ci siamo addirittura intrattenuti a parlare di massimi sistemi, o di care cose di buon senso. Insomma, prima che accadesse l’irreparabile sociale eravamo abbastanza convinti di vivere comunque tra umani migliori di quelli del passato: certamente non il massimo, ma ci si poteva convivere, arrangiandoci tra antipatie a pelle, repulsioni dichiarate, inimicizie condivise e restituite, tradimenti occasionali, piccole ipocrisie e pietose indifferenze. Si sa, siamo un’umanità difettosa, inconsapevole, egoica ed immatura. E quindi si tirava avanti. Ma ora li abbiamo visti improvvisamente attivi, coinvolti, determinati, impassibili e inflessibili, ovunque ci sia stato un divieto, una prescrizione, un monito alla responsabilità, all’obbedienza, al mantenimento di un tragico ossimoro, quello del “distanziamento sociale”, ora non più solo linguistico ma quotidianamente opprimente. Sono passati otto mesi dall’inizio della più grande pianificazione mondiale di autoritarismo sanitario, di un capitalismo della sorveglianza come graduale repressione di tutto ciò che di umano ancora ci resterà, se non cambieremo le cose dal basso. Ma loro, i nostri consoci di prima, si sono fermati incredibilmente all’inizio di questa sciagurata operazione pandemica, quando ancora si poteva almeno comprendere la loro paura, perché si era davanti all’ignoto. Loro però sono rimasti lì, a quello stadio, irremovibilmente convinti di essere parte di una solida ed avveduta maggioranza che ha il diritto di vietare, di denunciare, di puntare il dito verso chi non si conforma, di pretendere obbedienza, addirittura di costringere in nome di una legge che non è legge, di norme arbitrarie, di regole inventate, assurde e contraddittorie, ideate per confondere, reprimere, umiliare. E questo per il bene della collettività, della loro sicurezza, in nome di un presunto principio di “responsabilità” collettiva, in nome del “rispetto per i morti”, per i “nostri eroi medici”, eroi da non sporcare ed offendere col dissenso, in nome di un presunto diritto alla propria sopravvivenza individuale “whatever it takes”, sia quel che sia, anche a scapito di quella altrui. Sembrano ultracorpi, geneticamente modificati da una radiazione informativa pluridecennale, imperativa, pervasiva, dogmaticamente insofferente di ogni minimo atto di disobbedienza, che sconvolge le menti, le condiziona fino al punto di uccidere nell’anima stessa dell’individuo qualsiasi debole riconoscimento dell’esistenza altrui, pur di guadagnarsi una effimera “salvezza”, fisica e mentale. Come siamo arrivati a tutto questo? Per dirla con Max Weber sarebbe necessario costruire un “tipo ideale” di ipocondriaco, visto che si tratta innegabilmente di un “fatto” sociale. Intanto emerge qui evidente una “regola” delle scienze storico-sociali: in ogni occasione di eventi catastrofici, in un sistema sociale si creano le condizioni per un’autentica, quanto inevitabile, divisione netta tra due essenziali tipi umani, che non si distinguono per censo, ceto, classe, o educazione, ma fondamentalmente per le caratteristiche profonde della loro identità animica. In quelle condizioni emerge, infatti, l’aspetto più autentico dell’individuo. Esso si mostra per come veramente è e non per come ha vissuto all’interno dell’ordine sociale, protetto e garantito dalle ipocrisie della normalità. Gli esempi sono innumerevoli e ci testimoniano che solidarietà, sacrificio, dignità, possono coesistere in uno stesso contesto catastrofico insieme a egoismo, viltà, tradimento. Se si dovesse tentare di elaborarlo, questo tipo ideale, si potrebbe dire che gli ipocondriaci di oggi appaiono ben diversi dai tipici scrittori romantici e decadenti dell’Ottocento: quelli erano annoiati, in perenne stato malinconico, insoddisfatti, infastiditi da tutto senza una precisa ragione. Allora si sapeva cosa aspettarsi da loro. Questi sono, invece, marcatamente intolleranti verso comportamenti secondo loro “non corretti”, “non sociali” e sono dominati dalla paura, più che dalla noia. Scambiano l’obbedienza per altruismo, l’omologazione acefala per buon senso. Iniziano a segnalare pacatamente, ma poi, davanti a un diniego argomentato, perdono le staffe, scaricano la loro frustrazione con atti delatori, minacce, azioni di contrasto, richiami alle autorità e scatenano il caos per nulla. Non sopportano i “Querdenker”, le persone di pensiero divergente, creative, inclusive, critiche, che vivono senza televisione, senza pubblicità, e passano il loro tempo libero anche a leggere chi fa ricerca sul mondo. Non sopportano coloro, insomma, che non solo non si uniformano, ma riescono anche a dare ragione argomentata del loro dissenso e chiedono solo di essere lasciati in pace, anche quando non contravvengono direttamente alle norme sociali. Per un ipocondriaco di oggi, insomma, la mascherina lievemente abbassata sotto il naso è già segno intollerabile di devianza e di netto richiamo alle regole. Ciò li porta ad una vera e propria criminalizzazione del dissenso. Cercano immediata conferma dal gruppo ma possono anche agire da soli, perché forti di una coscienza normativa condivisa, che loro credono collettiva (“siamo in maggioranza”). Non è possibile argomentare con loro, se non su un piano di pensiero semplificato, banalizzante e ordinario. Spesso, indipendentemente dalla loro istruzione, evitano accuratamente di uscire dalle seduzioni dell’informazione di Mainstream, accettando tutto, anche le più evidenti imposture giornalistiche, come verità “scientifiche”, comprovate dai “fatti”. Usano il vocabolario e gli slogan del potere in modo irriflesso, rifiutando le evidenze e qualsiasi informazione che possa contaminare la loro zona di comfort, dentro la quale vogliono rimanere ad ogni costo (perché, è noto, la scoperta è sempre dolore del cambiamento). Cadono facilmente vittime delle loro stesse fallacie argomentative: nel “Non sequitur” danno per scontata una incontrovertibile contagiosità dei positivi, ma la maggior parte di questi sono, invece, asintomatici e non contagiosi. Nel “Tu quoque” evitano le critiche all’ideologia del “comportamento responsabile” ribaltandole direttamente sull’interlocutore. Così il malcapitato di turno, “sorpreso” a evitare tamponi o mascherine diventa un caso di “Scapegoating”, altra fallacia che lo immola, come capro espiatorio, alla rabbia del gregge. Ed è proprio quando questo gregge irrompe col dito puntato nella vita intima di chi non si assoggetta, che si possono verificare le ingiustizie più vergognose. Gli ipocondriaci non si accorgono dell’atrocità morale di queste azioni, queste sì veramente irresponsabili, verso la vita degli altri, anzi, rimangono perfettamente convinti di aver agito correttamente e negli interessi della collettività. E intanto esigono la costrizione, la punizione, l’isolamento, e minacciano, intervenendo anche fisicamente, insultando e quindi non raramente facendo degenerare in paradossale rissa, situazioni che prima dei provvedimenti erano del tutto inesistenti. Il “dissidente” può trovarsi con loro in una pericolosa spirale, che può anche portare ad esiti kafkiani, come è successo più volte. Meglio evitare e girare largo, non fosse altro che per difendere la propria incolumità, non solo emotiva, in sedi ed in momenti più appropriati. Ma loro sembrano odorare, come orchi da Signore degli Anelli, il profumo dello scontro in questa patria che sta diventando sempre più velocemente una nuova Terra di Mordor. Sono i gregari inconsapevoli di un dominio irrazionale e malefico, che usa la paura per produrre nuovi carcerieri del popolo, tra il popolo. L’occhio di Sauron vede tutto e tutto predispone accuratamente, con i suoi DPCM incostituzionali, di inesorabile e crescente gravità, con le sue truppe di assalto, fatte di rappresentanti asserviti che votano tutto, di sceriffi-satrapi che parlano per decreti, di pseudo-scienziati, cinici sacerdoti di una fede scientista che difendono nei loro ubiqui monologhi televisivi, protetti dalle interviste in ginocchio di un giornalismo da anni atrocemente compiacente, che evita i veri confronti come la peste. Il potere dell’Anello è grande e chi tocca muore. Gli ordini professionali minacciano, radiano, intimidiscono. La forza della ragione sembra ora soccombere alla ragione della forza. Ricorsi, denunce, querele, languono dimenticate, ritardate o vengono accolte con dispositivi che le depotenziano. Ogni fiducia nel Diritto sembra crollare davanti ad un enorme muro di gomma, che ha scardinato la gerarchia delle fonti giuridiche. Una forza bruta e cieca intende eliminare implacabilmente ogni ostacolo, per trasformare cittadini comuni in controllori di sé stessi e degli altri. Ma se la forza bruta è cieca, la ragione almeno prova a vederci ancora un po’ e aggrega gli ultimi “umani” in una silenziosa e trasversale solidarietà. Il potere criminale che ci vuole sottomettere lo ha capito e sta accelerando, perché troppe coscienze stanno già cambiando e cominciando a comprendere il gioco neoliberista. Quella maggioranza che gli ipocondriaci e gli asserviti credono di avere, forse non sarà, dopo tutto, così scontata.

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2 Commenti

  1. è si che dobbiamo smettere di rischiare di salute andando sulle piazze, scaricando la rabbia su i nostri fratteli con pistola. Tocchiamo la coscienza di ognuno e controliamo la legge che prottegge il male, il male che fornisce la rabbia di quelli che ribellano ed i quelli che con i caschi e divisa.

  2. Fare leva su quel tanto di parziale e dissociato che fa il rapporto normale tra gli esseri umani

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