di Franco Ferrè
L’articolo di Davide Gionco, pubblicato sul numero 8 di SP, intitolato “Disastri di una Democrazia distorta”, solleva tematiche di grandissima rilevanza nella vita degli organismi sociali contemporanei: chiedersi quali meccanismi istituzionali sarebbero più efficaci per garantire una società effettivamente “democratica” è esercizio fondamentale, dato che troppo spesso la democrazia viene data per scontata. Tuttavia, la sua lettura, ed i successivi sviluppi che l’articolo annuncia, rischiano di risentire, a parere di chi scrive, di un limite di fondo, che sarà utile evidenziare nell’ottica di pervenire a delle formulazioni dei “rimedi” più efficace.
Mi riferisco al fatto che, nella configurazione effettiva delle società moderne, le istituzioni NON sono il luogo effettivo da cui si esercita il potere, ma ne sono una mera emanazione. Le Istituzioni e le leggi che ne derivano sono solamente i meccanismi attraverso i quali i vari e diversi gruppi di potere cercano di tradurre i loro obiettivi in strumenti giuridicamente validi nei diversi sistemi sociali. Di conseguenza, nello studiare i migliori meccanismi di esercizio di tali funzioni, esse vanno “tarate” in modo da rispondere – in primo luogo e sostanzialmente – al perpetuo tentativo da parte delle élites di bypassarle.
Vedendo la questione in prospettiva storica, è come se da Montesquieu in poi, le “non élites” abbiano progressivamente dovuto lottare (con mezzi spesso cruenti, attraverso guerre, rivoluzioni, stragi, ma anche scioperi o manifestazioni pacifiche) per ottenere dei limiti sempre maggiori al potere delle élites, arrivando ad istituzionalizzare forme di esercizio del potere sempre più stringenti e “condizionate” dai così detti “pesi e contrappesi”. Tuttavia, da qualche tempo a questa parte il trend si è in qualche modo invertito, e si assiste a forme sempre più pronunciate di regresso, che mirano a neutralizzare (in modo più o meno esplicito) le leggi e le istituzioni. In particolare, la neutralizzazione sta agendo sui meccanismi attraverso i quali la volontà della maggioranza della popolazione (le “non élites”) può in qualunque modo ostacolare la fluida e celere traduzione delle volontà delle élites – generalmente confliggente con la sua – in atti formalmente validi.
Lo schema allegato può aiutare a vedere chiaramente quanto sta succedendo.
Il punto di partenza è che le élites, raggruppate variamente in organismi più o meno formalizzati di natura politica, pseudo-religiosa, economica o del tutto informali, portano avanti un’agenda a grandi linee comune che potremmo definire Agenda Ordo-Liberista (AOL). Coerentemente con il fatto che le élites sovranazionali che esercitano il potere non sono un’entità monolitica formalizzata (per quanto esistano organismi più o meno formalizzati in cui molti dei suoi esponenti si confrontano periodicamente) non esiste da nessuna parte una dichiarazione unitaria, e nemmeno esplicita che definisca esattamente ciò che l’AOL prevede. Tuttavia, è possibile inquadrare con una certa sicurezza nell’AOL tutti quei provvedimenti (adottati trasversalmente in modo molto simile in tutti i paesi evoluti, occidentali e non) che negli ultimi decenni hanno reso il lavoro sempre più raro, precario, mal retribuito, che hanno aumentato in modo evidente le diseguaglianze e la povertà, che stanno privatizzando ciò che era pubblico, riducendo le garanzie che gli stati avevano istituito nel secondo dopoguerra in tema di salute e previdenza, che hanno basato tutto lo sviluppo sulle fonti energetiche non rinnovabili e centralizzate e sui consumi forzati e crescenti di beni per lo più inutili, acquistati a debito.
La realizzazione generalizzata di tali obiettivi, finalizzati essenzialmente ad arricchire (in termini non solo materiali) le élites a spese delle “non élites”, comporta necessariamente che queste ultime debbano, a un certo punto, ribellarsi e cerchino di opporsi all’andazzo sopra descritto. Nelle forme meno evolute di governo tipiche del passato, i detentori del potere agivano con la forza, per lo più fisica, messa al servizio dei propri interessi. Tuttavia, in tempi più recenti – più diffusamente dal secondo dopoguerra in poi – le forme istituzionali via via affermatesi nel mondo hanno posto il suffragio universale al centro dei sistemi politico/istituzionali. Con esso, i meccanismi elettivi sono entrati a pieno titolo nel percorso di “riempimento” dei posti necessari a far funzionare le istituzioni, tanto che oggi in nessun paese, per quanto poco democratico, è possibile governare senza che si tenga una qualche forma di votazione popolare.
Da qui la necessità di pilotare il più possibile questi percorsi di “riempimento” che, obtorto collo, troppo spesso (nella concezione delle élites) passano per percorsi non del tutto sotto controllo. Da un lato gli elevati costi e discrasie del percorso tra una decisione politica primaria delle élites (ai vari livelli) e la sua traduzione in atti formalmente validi e, dall’altro lato, i numerosi episodi di esito “inaspettato” (leggi: contrario) delle elezioni in vari paesi, hanno da tempo convinto le élites che sia necessario intervenire. La tradizionale e ampiamente collaudata macchina mediatica di costruzione del consenso, che affianca e condiziona la formazione del consenso presso l’opinione pubblica, da sola, non basta più: l’impoverimento e il regresso sono troppo evidenti e diffusi perchè un TG delle 20 o la finta lotta contro le fake-news in rete possa contrastarle del tutto e, per quanto ancora molto efficaci, a questi strumenti si stanno affiancando varie e sofisticate strategie di ridefinizione (anche) dei ruoli istituzionali e/o neutralizzazione del dissenso, riassumibili in cinque filoni principali, che elenchiamo dal più radicale al più sfumato, riportando i principali casi della loro realizzazione: 1) Invasione/colpo di stato/annessione: è sempre meno usato, per gli evidenti contraccolpi sull’opinione pubblica e la crescente difficoltà di realizzazione, soprattutto quando richiede un intervento militare in senso stretto: i fallimenti dei golpe in Turchia e degli attacchi militari a Siria, Libia, Afghanistan non compensano il parziale successo del regime change avvenuto in Iraq o dell’ormai lontana annessione della DDR alla Repubblica Federale di Germania nel 1990, avvenuta peraltro con mezzi economico/politici e non militari; 2) Rivoluzione più o meno colorata, con la quale si va a forzare, per mezzo di moti di piazza apparentemente “spontanei” un cambio di governo che non sarebbe giustificato dagli esiti delle elezioni: esempi passati sono i casi di Serbia (il primo paese in cui fu messa a punto la tecnica), Egitto, Tunisia, Ucraina e, più recentemente, Bolivia; tentativi falliti sono avvenuti nella già citata Siria e in Venezuela, mentre il caso di Hong Kong, pur avendone le caratteristiche, mira più probabilmente ad un “semplice” contributo alla più generale destabilizzazione della Cina, più che a un vero e proprio cambio di regime politico; 3) Voto, ma me frego del risultato: anch’essa non è di facile attuazione, poichè un palese disprezzo della volontà popolare non è facile da gestire: servono un fortissimo “vincolo esterno” come in Grecia nel 2015, oppure tempi lunghi e oblìo per i casi meno eclatanti, tipo i Referendum sulla Costituzione Europea, dove Francia e Olanda votarono contro, salvo poi ritrovarsi due anni dopo il Trattato di Lisbona che riprendeva il 95% dei contenuti del testo bocciato in precedenza; 4) Voto finchè non ottengo ciò che voglio: se le elezioni non danno il risultato sperato, si agisce in modo da rivotare poco dopo, con l’obiettivo di rimediare in qualche modo, magari inasprendo la campagna mediatica a favore del risultato voluto. Per ottenere la ripetizione del voto si può ricorrere ad espedienti politici come in Spagna, (dove il mancato formarsi di coalizioni ha portato a due voti in pochi mesi, intervallati anche dal voto alle Europee) o come per la Brexit, (osteggiata e fermata in ogni modo fino alla caduta del governo e relativo nuovo voto, finalizzato ad ottenere un governo favorevole al “Remain” o almeno alla ripetizione del referendum), oppure addirittura a veri e propri colpi di mano, come in Austria nel 2016, dove l’elezione per il Presidente della Repubblica fu invalidata per la presenza di “brogli” nel conteggio del voto postale e non fu possibile calcolare il risultato vero (il candidato gradito, di centro sinistra, aveva vinto per soli 31 mila voti, un ricalcolo serio l’avrebbe visto sicuramente perdente, a favore del candidato di destra…); sei mesi dopo, al termine di una “congrua” campagna elettorale, e di un altro rinvio, alla fine il candidato voluto prevalse don i 6% di margine; 5) Voto il meno possibile: è il filone “italiano”, dove un sistema istituzionale imperniato nella prassi sulla figura del Capo dello Stato permette, controllandone l’elezione, di definire a piacimento i tempi delle consultazioni elettorali, convocandole quando è inevitabile o comunque quando lo scenario politico è favorevole, ed impedendole quando il combinarsi delle forze in campo presenta un qualche tipo di rischio per l’élite; in questo modo abbiamo assistito negli ultimi dieci anni ad almeno due “golpe soft”, nel 2011 con l’estromissione di Berlusconi e l’insediamento di Monti e la scorsa estate, con la formazione del governo attuale, il cui orizzonte viene garantito fino al 2023 nonostante la sua forza di maggioranza relativa abbia ripetutamente mostrato in diverse elezioni locali di godere di un consenso nemmeno lontanamente paragonabile a marzo 2018.
Trasversalmente alle diverse strategie, infine, si stanno mettendo a punto nuovi sistemi di neutralizzazione, imperniati da un lato nel portare il dibattito politico sempre più verso canali prefissati (attraverso l’uso spregiudicato della scienza – lascienza – come clava, oppure stabilendo cose che “non si possono non condividere”, in modo da bollare come “fascisti” tutti coloro che esprimono idee diverse) e dall’altro lato limitando l’offerta politica attraverso l’affermazione di partiti gatekeepers che intercettano il dissenso, per poi incanalarlo prima verso temi innocui e poi inglobarlo in governi che portino avanti l’AOL (in Italia 5 Stelle e – forse, in futuro – le Sardine, in Spagna Podemos e Ciutadanos, in Grecia Syriza) che potranno essere approfondite in un prossimo articolo
Tuttavia, come si è detto, in campo politico il vero obiettivo finale dell’AOL è quello di ottenere il percorso più diretto e semplice possibile tra il livello informale e in gran parte occulto in cui le decisioni vengono prese e la loro traduzione in provvedimenti formalmente validi. Per questo, se riempire le istituzioni con i propri uomini è sicuramente un obiettivo desiderabile, bypassarle il più possibile, o, ancora meglio, bypassarle del tutto sarebbe l’ideale. In quest’ottica va letto il tentativo di riforma costituzionale renziano del 2016 che si proponeva, di fatto, di abolire uno dei due rami del Parlamento, sventato in extremis da un referendum i cui esiti non erano discutibili. Nella stessa direzione va il continuo e generalizzato ricorso, all’interno delle istituzioni esistenti, ai Decreti Legge, i quali – come già ricordato da Gionco – realizzano, di fatto, uno spostamento del potere legislativo dal Parlamento al Governo (più in contatto con il livello informale del potere e quindi più controllabile, anche tramite l’azione del Presidente della Repubblica). Ma soprattutto, con un’ottica di maggior respiro, in quest’ottica va letto il lento, ma inesorabile processo di cessione di sovranità degli stati a favore di organismi sovranazionali non eletti, primo fra tutti l’Unione Europea, i quali agiscono in modo totalmente staccato da qualsiasi forma di controllo popolare (“al riparo dal processo elettorale”, direbbe Monti) e hanno ormai esautorato quasi del tutto le prerogative delle istituzioni nazionali. Organismi all’interno dei quali agiscono strutture che somigliano sempre più a consessi segreti, informali, che finiscono per replicare le modalità di azione dei gruppi di potere “reale” di cui abbiamo parlato all’inizio: basti pensare al famigerato Eurogruppo, organismo dei ministri finanziari dell’area Euro, che decide del commissariamento di interi paesi, ma che non ha un regolamento, non tiene verbali delle riunioni e nemmeno esiste nei Trattati, che lo menzionano, ma che non ne stabiliscono in alcun modo limiti, regole e poteri. La verità è che le elezioni, per quanto possano essere condizionate, truccate, indirizzate, incanalate, bloccate, restano pur sempre, al momento, l’unica maniera pacifica di modificare la composizione e l’orientamento delle istituzioni, le quali a loro volta, pur non costituendo la sede vera del potere, hanno comunque la possibilità di influenzarne in modo notevole gli effetti. Le elezioni sono il “vaccino” della società contro le infezioni causate dall’Agenda Ordo-Liberista.Del resto, se le élites sono così impegnate a neutralizzarle, evidentemente le elezioni servono. Lottiamo per non perderle.
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