Andreja Restek una giornalista in mezzo alle guerre (I)

La guerra in Medio Oriente è una tragedia che pare non avere mai fine. Ci sono donne coraggiose, come Andreja, che viaggiano con la loro macchina fotografica per raccontarci quel mondo.

di Davide Amerio.

Di Andreja Restek (*) non si può che parlare bene. Donna coraggiosa, determinata, gentile e ricca di umanità. Con la sua macchina fotografica viaggia nelle zone di guerra, documentando le tragedie non raccontate, ma, sopratutto, le persone con le loro storie. Ci ha concesso una intervista, che pubblichiamo in due parti, nella quale ci racconta un po’ di Medio Oriente, visto con l’occhio di chi ci è stato per comprendere cosa accade in quei luoghi. Buona lettura.
(intervista del dicembre 2019 per Tgvallesusa.it riportata qui in due parti)

Iniziamo parlando dei campi profughi che tu hai visitato più volte, raccontaci la tua esperienza

Sono Stata in Iraq in uno di questi campi erano arrivati, nell’ultima settimana, undicimila persone (ora sono quindicimila). La maggior parte erano già fuggite più volte, sempre nella zona del Kurdistan siriano, alcune giungevano da Raqqa.
Oggi, per raggiungere quelle zone, devi passare attraverso un sistema che chiede soldi, per trovare un autista che ti accompagni.

Foto di Andreja Restek

Quando sei lì, nei campi, trovi persone con una grande dignità, che non ti chiedono niente, ma hanno voglia di raccontarti la loro storia; ci sono anziani, e bambini. C’era una famiglia, con cui ho parlato; lui è cieco, ha 75 anni, la moglie ne ha 65, ma sembra averne 100. Lei è sordomuta, e sono stati portati sulle spalle dai figli e dai nipoti; pagando sempre per poter superare la frontiera (tra Siria e Iraq), 5 o 600 dollari a testa. I soldi non li hanno, se li fanno prestare da famigliari, e conoscenti. Se ci pensi un momento, tutte quelle persone hanno pagato queste cifre per poter essere lì.

Quindi su queste “migrazioni”, forzate o meno, c’è chi ci guadagna.

Esatto. È così per ogni guerra che ho visto. Ci sono quelli pronti a sfruttare questa miseria. Le persone si fanno prestare soldi, vendono tutto quello che hanno, si fanno dei debiti. Ho trovato una giovane mamma, di 25 anni, il marito ne aveva 26, la loro bambina 9 mesi; erano del Kurdistan siriano; da piccoli si sono trasferiti a Raqqa, poi, quando è arrivato lo Stato Islamico, li hanno bloccati per un anno: lei non è uscita di casa per un anno intero, 24 ore al giorno relegata in casa. Poi sono fuggiti e tornati nel Kurdistan siriano. Ora sono arrivati i Turchi e Free Syrian Army (che noi giornalisti lodavamo), che all’inizio avevano delle “buone” intenzioni, poi sono subentrati gruppi terroristici anche stranieri, da diverse parti del mondo.

Foto di Andreja Restek

Come è stato vissuto l’atteggiamento di Trump, che ha spostato le truppe americane, al confine con la Siria?

Come un grande tradimento. Loro sono soliti dire (e l’ho sentito tante volte): “maledetto petrolio! Se non l’avessimo, non avremmo tutte queste guerre”. Che siano siriani o iracheni, tutti maledicono il petrolio. Per loro non è una ricchezza, ma la fonte di tutti i loro guai.

Oggi loro ricevono cibo (dalle Nazioni Unite) ma sono abbandonati a se stessi. Un giorno questa mamma mi ha mandato un messaggio (da loro erano le due di notte), era disperata, probabilmente ero l’ultima persona a cui chiedevano aiuto (io ero in Italia); mi disse che stavano subendo un attacco da parte dei lupi.

Ero scioccata. I gestori del campo e la sicurezza non intervenivano. Lei temeva per la bambina. Nessuno li aiutava. Mi mandò anche le foto dei lupi, era un branco di sette. Ho girato la notizia a persone che conosco di alcune organizzazioni importanti, ma nessuno mi ha considerata.

Dalla disperazione ho messo la notizia sulla mia pagina Facebook per diffonderla. Dopo due giorni ho ricevuto i ringraziamenti, perché li avevo aiutati. Incredibile ma quella pubblicazione ha smosso qualcosa, e qualcuno è intervenuto.

Questo è anche un messaggio positivo: quando riceviamo certi messaggi, non li dobbiamo ignorare, abbiamo la forza di creare una attenzione importante, una comunicazione Social che trasforma la realtà. Li abbiamo salvati.

Raggiungere queste persone è comunque difficile, anche per le testate giornalistiche importanti. Vengono chieste grosse cifre per raggiungere queste zone. Passare le frontiere ha un costo.

Foto di Andreja restek

Si parla molto della condizione della donne, nelle realtà islamiche. Della tua esperienza cosa ci puoi raccontare.

Non ho trovato molte donne. Essere donne a questo mondo è difficile. In certi paesi è molto più difficile. Vedi, a volte, piccole libertà, magari per andare a prendere il caffè. Una donna che si muove da sola si sente osservata. Il Medio Oriente non è un posto facile per le donne.

Iran, per esempio, è un posto che non conosciamo. Sono andata da sola; bisogna organizzare molto bene il viaggio. Non ti puoi muovere da solo/a; ci vuole un agente di viaggio e devi organizzare le tappe. La persona che ti accompagna è responsabile di te, e rischia a sua volta, se tu violi delle regole. Sono stata a Teheran, e nella zona di Khorosan nel nord che, ufficialmente, era collegata a gruppi terroristici. Sono stata rispettosa delle regole (sempre con il velo). Con noi c’era una donna avvocato, di 36 anni, divorziata. Mi sono stupita e le ho chiesto come ha fatto ad ottenere il divorzio. Mi ha spiegato che era stato possibile perché sia, il marito, che la famiglia, erano d’accordo. In quel caso la separazione è possibile. Mi disse di essere fortunata, perché la sua famiglia è composta da persone di stampo intellettuale. La mia guida era una donna, che aveva deciso di lavorare e di essere indipendente. Fa questo lavoro da 16 anni, ma è stata ripudiata dalla famiglia. Devi essere molto forte se vuoi fare determinate scelte. Alla fine del viaggio scoprii che il nostro “autista”, in realtà apparteneva ad apparati di sicurezza.

Foto di Andreja restek

Non ostante tutto, sono stata davvero bene. Sapevano chi ero e dove mi muovevo, ma l’accoglienza umana era sempre straordinaria. Se tu li rispetti, ti accolgono a braccia aperte, e ogni chilometro scopri posti interessanti.

Purtroppo la situazione geopolitica è difficile. Potrebbero nascere conflitti esterni (con la pressione americana), oppure interni, con l’obiettivo di far cadere il governo.

Nel paese ci sono cambiamenti? La popolazione come vive la situazione politica del regime?

Le persone con cui ho parlato mi hanno detto che ci sono dei cambiamenti, anche se molto lenti. Per esempio, un ragazzo mi raccontava che otto anni fa, sua nonna aveva potuto finalmente uscire di casa da sola. La gente vuole più libertà, ma bisogna convincersi che non si può esportare la democrazia, così come è stato fatto.

La  questione religiosa, che rilevanza ha nelle loro vite?

In Medio Oriente la questione è importante, ma, mi raccontava una persona, laggiù le persone sono “false”, nel senso che hanno, in genere, una doppia vita. Mi sono stupita, e ho chiesto chiarimenti. Mi ha spiegato che “tu non puoi dire di non essere credente”. Devi dirlo, pubblicamente, ma, molti, intimamente, non lo sono, o perlomeno non nella misura in cui lo vuole il governo.

Non puoi dire che “non credi”. Mi è capitato un episodio curioso in proposito. Facendo una intervista ad un reclutatore dell’Isis, un comandante, ad un certo punto mi hanno chiesto qual’era il mio Dio. Era una intervista molto difficile, nella quale loro mi raccontavano come uccidevano le persone. Avevano chiaramente un disprezzo per le donne; mi ero stupita che avessero accettato di farsi intervistare da me. Ho risposto, in modo molto sereno e serio, che il mio Dio era il Dio della Scienza. Quando sono andata via, dopo un po’ mi è arrivato un loro messaggio: mi dicevano che il Dio della Scienza non esiste! Si erano informati, e non l’avevano trovato.

foto di Andreja Restek

Ovviamente c’è chi è di fede, e praticante. C’è comunque, in generale, un arretramento, sulle questioni religiose. In Turchia, per esempio, vedi sempre più donne che sono “ombre nere”; se vai in giro per le parti centrali di Istanbul sembra tutto normale, ma appena ti allontani, dal centro, nell’ordine di due o tre ore di viaggio (la città è grandissima con decine di milioni di abitanti), ti accorgi che le donne sono coperte.

Un giorno, al confine con la Siria, i miei accompagnatori mi chiesero cosa avrei fatto se mi avessero rapita. Allora capii e decisi di non entrare più, e tornai indietro. Ho compreso che non sarei più tornata. Un’altra volta mi è capitato che, prendendo un caffè in un bar, qualche ragazzotto mi mise un foglietto sul tavolo, dove c’era scritto come mi sarei dovuta vestire. Pensavo fosse per i capelli corti (ero l’unica donna ad averli), che per loro è un taglio dedicato a chi ha problemi psichici. Invece era per come ero vestita. Era il periodo in cui lo Stato Islamico era molto potente. Il barista però tolse subito il foglietto, e non feci a tempo per prenderlo.

SEGUE…

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