Il viaggio. Pioltello, Iqbal ed i tappeti volanti

E il primo maggio

Iqbal Masih

di Vincenzo Russo Traetto

A Pioltello ci si arriva sempre. Con qualsiasi mezzo di trasporto. Un treno, una Erre4, una bicicletta o qualsiasi tipo di velivolo. Per la via aerea si può scegliere di tutto, da un aereo di linea ad un tappeto volante. Sicuro ci si atterra. Io ho scelto il treno. Alla stazione prendi a destra viale monza e tutto dritto trovi VIA IQBAL MASIH, che con Via Cattaneo, Via D’Annunzio e Via La Pira circondano piazza dei Popoli dove si trova il Municipio. Non piazza del popolo ma “dei popoli”. Tutti i popoli. A Cusano Milanino, poco più a nord, la piazza dove si affaccia il Comune è dedicata ai “Martiri di Tien-an-men”. Le amministrazioni locali dell’hinterland milanese – forse inconsapevolmente o forse no – sono proiettate ad una visione laico-globalizzante rispetto a quelle del centro sud dove permane una concezione del luogo urbano di tipo cattolico – rinascimentale: piazza duomo, piazza del comune, piazza ss Annunziata, piazza garibaldi, piazza roma, etc.

“Ma chi è Iqbal Masih?” Arrivato davanti alla casa comunale si nota che – a dispetto della denominazione – non ci sono popoli in raduno ma persone che vanno di fretta. Ma poche. Certificati e autorizzazioni sui gradoni che portano agli uffici pubblici e poco più in là tachipirina, diuretici, beta-bloccanti e calcio -antagonisti coccolati tra le braccia di chi esce dalla “Farmacia dei Popoli” che è aperta il lunedì mattina.

Tutto in torno più palazzi che suoni, più parcheggi che clacson. E quel nome stride ancora di più con i colori smorti dell’asfalto e del compassato rosso porpora degli edifici.

Iqbal Masih

«Scusi, chi è Iqbal Masih?» chiedo di getto al primo che esce dalla farmacia.

«Ma Lei è della Finanza? No, perché io ho lo scontrino e stamattina mi sono assentato dal lavoro con un permesso 104, e poi…»

«Non si agiti e mi scusi ma ero curioso di sapere chi è questo Iqbal. Un nome strano per una strada in Italia. Va bene D’Annunzio, Cattaneo, Manzoni ma Iqbal Masih… è che sono curioso?»

«Che spavento! Però che domande fa? Uno sta per i fatti suoi, mille pensieri e…. ». Si asciuga la fronte e sospira un sollievo che si alza in cielo come il pallone che si lascia scappare un bambino alla festa patronale.

«Lei vuol sapere chi è Iqbal Masih?» trancia le parole dello spaventato un sessantenne, moro con baffi affilati, rughe sparse sul viso come se fossero crema idratante ed un sorriso che accenna sarcasmo.

«Iqbal Masih? Lei vuole sapere chi è Iqbal?»

«Ma daddove viene? Sciur…?»

«Russo. Vengo da Napoli, per la precisione Castelvolturno, Caserta, sa com’è dopo il Garigliano siamo tutti napoletani» e mi lancio in una risata grassa, impostata, ingenua e non gradita.

«Russo? Da Caserta? I soliti meridionali che non sanno un bigatt, niente di niente, un usél e vengono a toglierci il lavoro. Per pacià el paciotta per bev el bevòtta l’è a laurà ch’el barbotta (Per mangiare mangia, per bere beve ma è al lavoro che si lamenta)».

«Scusi non pensavo che la mia curiosità poteva portare a un atteggiamento così maleducato da uno che dice “daddove”. Lei “daddove” viene? Da Santa Maria capua vetere o da Torre Annunziata?»

«Torre del Greco. So’ turresiello. Ma il punto non è questo! E stà schisc (Stai al tuo posto)». Piglia fiato e come un banditore – con tono roboante ma cupo e accusatorio – proclama: «Tu non sai chi è Iqbal Masih!».

Un po’ di gente si è fatta. Il bando è stato emanato. Non sono preoccupato ma un tantinello imbarazzato. Solo un tantinello.

Impiegati comunali, clienti dalla farmacia, la farmacista con camice bianco e petto indisponente, avventori e commessi degli altri negozi, direttore lavori e operai che stanno lavorando per un rappezzo a via cattaneo, sindaco senza fascia con giunta comunale e consiglieri in ultima fila, davanti a tutti gli ufficiali d’anagrafe e gli addetti alla cultura che prendono appunti sempre con occhialini e cappellini di lana. La piazza è quasi piena.

Un chiacchiericcio che più di un suono vibrato è un sgnoccolamento di odori, quando capita che qualche parola si distingue dalle altre ho veramente la sensazione che in quella piazza ci siano i popoli. Tutti i popoli della terra. Ogni parola ha un curriculum che marca una provenienza diversa: Sardegna, Calabria, Piemonte, Algeri, Palermo. Sembra una messinscena di Gadda e Pasolini.

Bepi di Torre del Greco spiega e le voci calano.

«Iqbal – secondo alcuni – è un bambino pakistano morto a 12 anni, il sindacalista più giovane della storia che lottò contro lo sfruttamento dei bambini nel suo paese e per questo ucciso nel giorno di pasqua del 1995».

«E secondo altri?» si è creata una pausa ed io l’ho riempita.

«Una farfalla!» stentoreo e deciso afferma Don Peppe, operaio in pensione della SISAS (Società italiana serie acetica sintetica) fondata a Milano il 28 settembre 1947 lui che è nato lo stesso giorno a via Calastro tra il golfo di Napoli ed il Vesuvio per lavorare l’acetilene nello stabilimento di Rodano.

«Una parpài … na’ palomma … una papella … una maulécchie … una bellèndora … una mariposa» in eco le lingue dei popoli in ascolto.

E le parole dell’oratore cominciano a volare proprio come una farfalla sulla testa di chi lo sta ascoltando, si posano su ogni orecchia, la prima e poi la seconda, la terza, come ad impollinazione.

«Era dai tempi di Balkiyis, regina di Saba, che i tappeti in Persia ed India non volavano più. L’ultimo tappeto volante era stato quello che la regina per amore regalò a Salomone quasi 3.000 anni fa. Balkiys lo aveva commissionato al vecchio Sharkàn, alchimista e maestro nella lettura del Talmud. Da allora più niente.

I mercanti dei tappeti erano disperati perché ormai le manifatture occidentali avevano ricopiato in tutto i colori e le fibre di quelli orientali e ad un costo molto più basso. Non sapevano come fare. Dovevano trovare una soluzione. Solo i tappeti volanti avrebbero sparagliato la concorrenza europea e americana. Scoprirono che solo la purezza e la gentilezza dei bambini poteva creare l’alchimia di Sharkàn di 3.000 anni prima. Cominciarono a fare prestiti a tutti i poveri del Pakistan promettendo anche lavoro che poi sarebbe stata la fonte di guadagno per la restituzione del prestito. Ma all’improvviso li licenziarono tutti senza preavviso e motivazione. Padri e madri dovettero vendere i propri figli che furono messi ai telai con spola e navetta a infilare il filo della trama tra quelli dell’ordito. I nuovi tappeti furono testati subito. Si alzavano dal suolo una cinquantina di cm ma bastava uno starnuto o una parola sussurrata che i tappeti si afflosciavano sul pavimento delle fabbriche o si schiacciavano sotto i soffitti. Il rimedio di eliminare il raffreddore o di parlare urlando non dava garanzie. Bastava una minima distrazione e si era tentati a parlare con discrezione nell’orecchio dell’interlocutore, o una disattenzione si freddava il sudore sulla schiena e vai lì con un “Eccì!!!”.

A Muridke, nel distretto del Punjab, una giovane coppia si amava così tanto che ad ogni bacio nasceva un bambino. Un amore così intenso che a un certo punto il semplice pensiero portava al parto la donna. Ormai aveva più figli che anni. Un giorno lei chiese a lui di voler avere come figlio una farfalla in modo che alla loro morte li avrebbe accompagnati in cielo. Ma non bastò un bacio e neanche una carezza, tutta una notte d’amore tra i pianti e i sorrisi di 50 figli. E così nacque la farfalla Iqbal – che in arabo significa “prosperità e ricchezza” – dal desiderio di una madre.

I fetienti, cioè i mercanti di tappeti, appena seppero il fatto e immaginando la potenza derivante dall’abbinamento della purezza di un bambino e di una farfalla nel giro di qualche settimana prestarono dei soldi al padre di Iqbal, lo assunsero e lo licenziarono nello stesso tempo che si impiega ad assumere e licenziare un operatore di call center. Si fecero vendere il figlio farfalla e lo misero al telaio. Iqbal, con la sua spola, tessette il più bel tappeto che i mercanti avevano mai visto, di seta verde, con ricami d’oro e d’argento, tempestato di minuscoli zaffiri e turchesi, intrecciato con fili immersi nel rosso delle cocciniglie raccolte nelle terre della provincia iraniana di Esfahan. Ed il tappeto volava! Eccome volava, come quello che Balkiyis, regina di Saba, regalò per amore a Re Salomone 3.000 anni prima.

Ma i bambini? Iqbal spiegò che pur essendo farfalla non poteva vedere bambini schiavizzati, attaccati a filatrici, rinchiusi in pozzo e denutriti, i tappeti volanti sono cose da farfalle non da bambini. I mercanti dissero che era la legge del mercato. Il capitalismo è duro e selvaggio e non conosce innocenze. Uno scontro duro.

Ma ad un certo punto Iqbal Masih si stufò e scioperò. Ma non come un Bortolazzi qualsiasi della Fiom. Aprì le ali – così belle che ricordavano i colori dei tappeti e i vestiti dei KC & Sunshine Band – e volò via.

Chi dice che fu ucciso è fetente pure lui. Iqbal è in sciopero! Ritornerà quando tutti i bambini indiani e pakistani smetteranno di lavorare e andranno a scuola. Forse il 1° maggio».

Il sindaco di Pioltello, a questo punto, indossa la fascia tricolore a tracolla della spalla destra e la annoda al fianco sinistro ed una farfalla vola sulla sua fronte.

A Pioltello, in Piazza dei Popoli, ci arrivo da Via Iqbal Masih – dopo Via Monza – quando scendo dal treno.

Tratto da QUI

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