di Ernesto Melappioni
Il Quarto Stato internazionale resta isolato, ostaggio delle democrazie rappresentative, ormai anacronistiche e disfunzionali per lo sviluppo della democrazia partecipativa nel mondo.
A corte i politici continuano a vivere gli sfarzi, come gli ospiti a bordo del Titanic. I cortigiani del Sovrano Capitale, fanno finta di niente di fronte a quanto accade oltre le mura. Non riescono a guardare in faccia il partito più grande d’Italia, che cresce a ogni tornata elettorale, come un fenomeno sociale inarrestabile. Se vogliamo discutere di responsabilità rispetto a questo fenomeno, dobbiamo guardare a sinistra. La destra, come noto, è storicamente conservatrice, restauratrice e reazionaria; non è nella sua indole promuovere le riforme sociali. La sua istanza storica è sempre stata quella di difendere i privilegi secolari dei potenti. Le riforme sociali spettano tradizionalmente alla sinistra. Eppure, la sinistra di oggi sembra priva di giacobini e montagnardi, senza più socialisti riformisti. In sostanza, è una sinistra senza più un vero spirito di sinistra, senza ricerca di giustizia sociale e diritti umani, né desiderio di sviluppo democratico. Oggi, gli elettori, che si sentono detronizzati dallo Stato di Diritto, sono il 54,06%, senza più rappresentanti da votare. Questo sentimento di abbandono è in parte il risultato dell’omicidio politico di Craxi nel 1992, perpetrato da una congiura transnazionale di politici corrotti e cortigiani al servizio del grande capitale. Dopo circa 45 anni dalla conquista della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il socialismo storico, portatore di giustizia sociale, aveva già raggiunto il suo capolinea. Perdendo due dei suoi principali filoni: il comunismo e il socialismo riformista, mentre l’anarchismo, già isolato in precedenza, era caduto nel dimenticatoio della storia.
La caduta del comunismo in Europa orientale alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90 segnò un momento cruciale. La politica di Mikhail Gorbaciov, con le sue riforme di perestrojka e glasnost, non solo avviò la trasformazione dell’Unione Sovietica, ma ispirò anche movimenti di liberazione in altre nazioni. La dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 rappresentò la fine di un’era, lasciando un vuoto che avrebbe influenzato la politica europea per anni a venire. In questo contesto di instabilità e crisi economica, emerse la figura di Vladimir Putin. Nominato, e non votato, primo ministro da Boris Eltsin nel 1999. Putin si presentò come un leader forte e pragmatico, promettendo di ripristinare l’ordine e la stabilità in un paese lacerato da conflitti interni e disordini economici. La sua ascesa al potere fu rapida; pochi mesi dopo, Eltsin si dimise, e Putin assunse la presidenza il 1° gennaio 2000. Con la sua retorica nazionalista e il controllo dei media, Putin guadagnò rapidamente consensi, conquistando le elezioni nel marzo dello stesso anno. Restaurando sotto le mentite spoglie di una democrazia semipresidenziale, il culto della personalità. Tipico dei Re assolutisti e dei regimi autoritari. Configurazioni di Stato che il socialismo storico degli arbori si prefiggeva di eliminare in nome di un nobile ideale: la giustizia sociale e l’affermazione dei diritti umani universali. Un ideale già violato da Marx verso la fine dell’800 con la sua teoria sulla dittatura del proletariato. Nata successivamente al manifesto comunista del 1848. Una dittatura che Marx intendeva “temporanea”, ma che si rivelò fatale per l’instaurazione del totalitarismo sovietico che perdurò per oltre 70 anni, interdicendo il progresso sociale dei diritti umani nell’Unione Sovietica. Sotto la guida di Vladimir Putin, la Russia conobbe un periodo di crescita economica sostenuta, alimentato dall’aumento dei prezzi del petrolio. Tuttavia, il suo governo si caratterizzò anche per un crescente autoritarismo: Putin limitò le libertà civili, reprimendo l’opposizione e consolidando il potere intorno a sé. Questo approccio segnò la transizione da un’era di speranza democratica a un nuovo regime autoritario, con un forte controllo politico che si rifletteva in un aumento della corruzione e nella soppressione del dissenso.
Nel resto d’Europa questo vuoto di potere e l’inefficienza economica che ne derivò si rifletterono anche nel declino di vari partiti socialisti europei, molti dei quali furono incapaci di adattarsi ai cambiamenti radicali del panorama politico. In Italia, il Partito Socialista Italiano (PSI), sotto la guida di Bettino Craxi, affrontò un drammatico crollo a causa dello scandalo di Tangentopoli. Negli anni ’90, il PSI fu travolto da accuse di corruzione e finanziamento illecito, culminando con le dimissioni di Craxi nel 1993 e la dissoluzione del partito nel 1994. In Francia, il Partito Socialista (PS), guidato da Lionel Jospin, si trovò in una posizione simile. Negli anni ’90, emersero accuse di finanziamento illecito che minarono la fiducia nel partito. Jospin tentò di riabilitare l’immagine del PS, ma la sua sconfitta alle presidenziali del 2002, dove fu escluso dal ballottaggio, segnò un forte declino della sua popolarità. Il Partito Socialista Spagnolo (PSOE), sotto Felipe González, dovette affrontare crescenti critiche per corruzione durante il suo governo negli anni ’90. Nonostante i successi iniziali, il malcontento popolare e le accuse di mala gestione portarono a un significativo calo di consensi nelle elezioni del 2000. In Gran Bretagna, il Partito Laburista, sotto Tony Blair, visse un’ascensione fulminea negli anni ’90, ma dovette anche affrontare pesanti critiche per le sue scelte politiche, in particolare per la partecipazione alla guerra in Iraq nel 2003, che danneggiò gravemente la sua immagine. In Grecia, il Partito Socialista Greco (PASOK), guidato da Andreas Papandreou, fu coinvolto in scandali di corruzione e mala gestione. Queste controversie contribuirono a un declino della popolarità del partito, portandolo a una perdita di consensi nelle elezioni successive. Il Partito Socialista Svedese (SAP), guidato da Göran Persson, affrontò sfide economiche negli anni ’90, con critiche crescenti sulla gestione della crisi. Questa pressione portò a un declino del supporto popolare e a una perdita di fiducia nel partito. Infine, il Partito Socialista Portoghese (PS), sotto António Guterres, affrontò difficoltà economiche e critiche, culminando in una diminuzione del supporto elettorale nelle elezioni del 2002. Superato il 2000, il panorama politico continuò a mutare, e altri partiti socialisti subirono significativi declini. Il Partito Socialista Irlandese (Labour Party), dopo aver partecipato a un governo di coalizione tra il 2011 e il 2016, subì un crollo elettorale a causa delle misure di austerità imposte, riducendo drasticamente la sua rappresentanza. Anche il Partito Socialista Greco (PASOK) visse un tracollo dopo il 2009, con le politiche di austerità seguite alla crisi finanziaria che portarono il partito a una perdita quasi totale di consensi, riducendolo a una forza marginale nel panorama politico greco.
Questi eventi storici rivelano un destino parallelo: la fine del filone comunista e di quello riformista del socialismo storico. Il socialismo riformista europeo, non avendo praticato una politica di riforme in direzione di una democrazia più partecipativa, ha lasciato mano libera alla destra conservatrice. Questo ha avuto ripercussioni significative, danneggiando lo Stato di Diritto e compromettendo la salvaguardia dei diritti umani. La mancanza di un coinvolgimento attivo dei cittadini nei processi decisionali ha portato a un disinteresse crescente per la politica, aprendo la strada a forme di ascesa autoritaria e populista che oggi si manifestano in tutta Europa. Le conseguenze di questa inerzia si fanno sentire chiaramente oggi: il crescente astensionismo e la polarizzazione politica sono indicatori di un malcontento diffuso, frutto di una disillusione verso le istituzioni tradizionali e l’incapacità del pensiero socialista universale di risorgere per affrontare le sfide contemporanee. Se mai questo pensiero socialista fosse ancora presente fra i politici rappresentanti della odierna sinistra internazionale.
La responsabilità dei partiti di sinistra è più che evidente: avrebbero dovuto rinnovarsi e trovare nuove strade per coinvolgere le comunità, affrontando disuguaglianze e difendendo i diritti umani insieme ai loro elettori, rendendoli partecipi dei processi legislativi. Il dato oggettivo è davanti agli occhi di tutti. In Italia esiste un gigantesco partito di elettori socialisti che neanche sanno di essere socialisti, sebbene vivano quotidianamente l’ingiustizia sociale. Elettori che intimamente riconoscono di non poter votare a destra. Come allo stesso modo riconoscono che votando a sinistra non migliorerebbe le cose. Anche se vorrebbero far sentire la loro voce non sanno come fare. Non sanno neanche più di appartenere a quel Quarto Stato che Giuseppe Pellizza da Volpedo aveva dipinto per loro. Con l’intento di fargli ricordare il nuovo ordine mondiale del neonato Ancien Régime: Clero, Nobiltà, Alta Borghesia e Quarto Stato. Non sanno neanche di essere titolari di diritti universali. Come quello dell’autodeterminazione dei popoli. Art. 28 DUDU: Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati. Solo un risveglio dell’associazionismo internazionale di sinistra potrebbe cambiare le cose. Magari ricucendosi le toppe intorno ai valori universali della DUDU. Forse questo potrà rincoraggiare la marcia verso un mondo migliore all’insegna del motto: “se vuoi la pace, prepara la pace”. La giustizia sociale è quella che si realizza applicando giuridicamente i diritti umani. Le popolazioni saranno veramente sovrane solo quando avranno acquisito il diritto di legiferare in funzione di questi sacri valori fondamentali.
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