Risvegliare la coscienza e rifiutare la guerra

L'obiezione di coscenza è un diritto fondamentale

Rifiuta la guerra sotieni la pace

di Zaira Zafarana
A Torino, come in molte altre città italiane si è consolidato un appuntamento fisso, sin dall’inizio della guerra in Ucraina: trovarsi in piazza ogni settimana per chiedere a gran voce il cessate il fuoco e la pace e per esprimere il proprio dissenso alla guerra. Nel capoluogo piemontese l’iniziativa a cura del Coordinamento AGiTe sta arrivando, nel mese di maggio, alle 118 settimane di Presenze di Pace. Nonostante i tanti mesi trascorsi e i numeri che si sono significativamente ridotti, rispetto ad esempio a sabato 26 febbraio 2022 -quando migliaia di persone hanno gremito piazza Castello, insieme con il Sindaco di Torino-, le Presenze di Pace proseguono con una partecipazione costante e resiliente. E come a Torino anche in altre città in tutta Italia e nel mondo.
Più di recente la terribile escalation di morte e distruzione a Gaza ha aumentato la percezione che la guerra è il nostro presente e soprattutto che la guerra è un orrore, da qualsiasi prospettiva la si guardi. Non è una soluzione, non può esserlo, perché per sua natura distrugge, spezza, divide, cancella e lascia solo macerie materiali, morali, culturali, sociali, politiche e umane. Intenzionalmente non ho incluso le macerie economiche perché purtroppo gli aspetti economici di una guerra sono letteralmente ambivalenti, da una parte l’economia di un paese è distrutta assieme con le sue infrastrutture, dall’altra i proventi di altri paesi derivanti dalla produzione e vendita di armi e gli investimenti per la ricostruzione presentano numeri molto alti. Sarebbe necessario dedicare un intero articolo a questo aspetto, e non sarebbe nemmeno sufficiente per dettagliarlo adeguatamente; ci sono autorevoli fonti che ricercano e forniscono informazioni in merito, come ad esempio il SIPRI.
Quando si parla di guerre nel 2024, non si può non parlare di social media, internet, che sono diventati un canale di fruizione di orrore bellico dove non è più possibile ignorare, dire di non sapere o vedere. Per quanto ogni informazione debba essere sempre comprovata, le immagini e i filmati che arrivato dai luoghi di guerra parlano da soli, anzi urlano straziantemente la miseria dell’animo umano.
La guerra non è un evento naturale – spesso imprevedibile e sovente non collegato ad azioni umane (per quanto ormai, ai nostri giorni, anche la natura è diventata grandemente vittima dell’uomo) – la guerra è una scelta programmata, sostenuta, finanziata e imposta dall’uomo.
Le tante iniziative di testimonianza contro la guerra sono un’opportunità di verità e “risveglio” per la coscienza. Molti, davvero tanti, individui si avvicinano ai vari presidi e alle manifestazioni per la pace e contro la guerra, trovandovi uno spazio in cui poter esprimere il proprio pensiero contro la guerra e a favore del cessate il fuoco e della pace.
Una delle conseguenze negative che si osserva ormai, in particolare, dal 24 febbraio 2022 è la polarizzazione del discorso pubblico e lo svilimento del pensiero e dell’attivismo per la pace. Questo è un fenomeno che si è registrato in tutta Europa. Rispetto alla guerra in Ucraina, ad esempio, chi chiede il cessate il fuoco e negoziati di pace è accusato di essere filo putiniano e di non avere a cuore la sorte degli ucraini.
La guerra è polarizzazione ai suoi massimi estremi e permea ogni ambito della società anche a kilometri di distanza dai bombardamenti. La guerra è la massima forma di conflitto violento. La logica della guerra è la violenza e l’obiettivo è l’annientamento del nemico. Tutto questo si alimenta, in parte, tramite la radicalizzazione delle posizioni e l’assoluto monopolio sociale, dove non conta più nulla, tutto è appiattito e asservito alle sue logiche. Tutto tende a diventare monocolore. Anche le coscienze vengono arruolate! La guerra diventa quasi la ragion di stato e la ragione suprema per cui sacrificare tutto il resto, diritti compresi. È molto interessante a tal proposito la riflessione proposta da Olga Karatch, attivista per i diritti umani bielorussa, rifugiatasi in Lituania. In un’intervista rilasciata ad Avvenire, dichiara: “I bambini vengono militarizzati, la società parla in termini militari. La cultura della violenza getta via il bisogno di tolleranza, di rispetto per la diversità. La guerra piace moltissimo perché rende tutto molto spicciolo, senza profondità o consapevolezza. Nella logica militare, chi è più forte ha ragione; chi ha più armi ha ragione”.
In questo sistema in bianco e nero, però, ci sono dei bagliori di consapevolezza, c’è una coscienza che spinge molti a portare una bandiera della pace in piazza, ad urlare slogan contro la guerra, a firmare petizioni e a sostenere iniziative in solidarietà con le vittime della guerra e con chi si rifiuta di sostenere la guerra. C’è anche chi si adopera all’interno delle istituzioni nazionali e internazionali e chi si rapporta con i rappresentanti diplomatici. Si tratta di prese di posizione e azioni per la pace, in favore dei diritti umani e contro la continua violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario.
In alcuni paesi scendere in piazza con una bandiera della pace, o un semplice cartello “NO alla guerra” può comportare l’arresto. Parlare di pace diventa persino un crimine. Ne è un esempio Yurii Sheliazhenko, agli arresti domiciliari dal 18 agosto scorso con l’accusa di giustificazione dell’occupazione russa a causa di affermazioni sulla pace pubblicate a nome del Movimento Pacifista Ucraino. Anche in Italia e in altri paesi, purtroppo, si sta assistendo ad un acuirsi di “violenza” nei confronti di chi manifesta contro la guerra. Si dovrebbe scendere in piazza tutti insieme per chiedere la fine della guerra, tutti quanti, perché la guerra uccide tutti, indiscriminatamente. E la piazza dovrebbe essere sostenuta dal palazzo. La piazza parla al palazzo e il palazzo dovrebbe ascoltare e proteggere la piazza perché la libertà di espressione e di manifestazione sono inalienabili e sono la linfa di una società democratica in una sana dialettica.
Quando si parla di guerra, il primo istinto dovrebbe essere quello del rifiuto. Spesso si sente dire che dovrebbe essere l’extrema ratio. La Treccani definisce questa espressione latina come “ultima soluzione, estremo rimedio, a cui si ricorre quando non vi siano altre vie d’uscita, e che può quindi spesso essere la soluzione più dolorosa o più violenta”. In realtà però ciò a cui stiamo assistendo sempre più spesso è un ricorso in prima istanza allo scontro armato o alla minaccia dello stesso. Ancora più allarmante è il fatto che le possibili “altre vie d’uscita” vengono trascurate o completamente ignorate. E la stessa definizione definisce l’extrema ratio come la soluzione più dolorosa o più violenta. La guerra ne è la rappresentazione più perfetta! Perché privilegiare dunque questa opzione?
Il NO alla guerra è un no consapevole e cosciente.
In tanti paesi, e in particolare in quelli in cui c’è la guerra, ci sono persone che esercitano il diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare e rifiutano di imbracciare il fucile e uccidere. È una scelta, una scelta di coscienza, una scelta basata su un diritto umano universale e non derogabile che discende direttamente dal diritto umano alla libertà di pensiero, coscienza e religione, esplicitato nell’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; è garantito dall’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), che è inderogabile anche in un periodo di emergenza pubblica, come stabilito dall’articolo 4, paragrafo 2.
Già dal 2022 è attiva una campagna internazionale di obiezione alla guerra denominata #ObjectWarCampaign – lanciata dall’International Fellowship of Reconciliation (IFOR), War Resisters’ International (WRI), European Bureau for Conscientious Objection (EBCO) e Connection e.V – che ha l’obiettivo di chiedere alle istituzioni europee e ai singoli paesi di fornire protezione e asilo per gli obiettori di coscienza russi, bielorussi e ucraini (per approfondimenti sul tema dell’asilo agli obiettori è utile visitare il sito di Connection). Oltre 50.000 cittadini hanno firmato la petizione online. In Italia vi hanno aderito il MIR- Movimento internazionale della riconciliazione, Un ponte per, Giuristi Democratici, Pressenza, Movimento Nonviolento, Centro Studi Sereno Regis e Pax Christi.
In Bielorussia gli obiettori di coscienza si trovano a dover fronteggiare l’introduzione della pena di morte per diserzione e l’inasprimento della legislazione sui richiami militari.

No alla guerra
Campagna Internazionale onbiezione di coscienza

In Ucraina permane la sospensione del diritto all’obiezione di coscienza così come il divieto per tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni di lasciare il paese. Nella maggior parte dei casi, gli obiettori di coscienza sono puniti per il rifiuto di arruolarsi ai sensi dell’articolo 336 (‘sottrarsi al servizio di leva durante la mobilitazione’) e rischiano dai 3 ai 5 anni di reclusione. E i recenti emendamenti alla legge sulla mobilitazione non prevedono il diritto all’obiezione di coscienza.
In Russia, continua l’incertezza sulla reale possibilità di poter accedere al servizio civile alternativo e vengono riportate pratiche di reclutamento non in linea con gli standard internazionali. Inoltre, oltre alle informazioni relative ad una legge approvata a giugno 2023 che prevede la mobilitazione di volontari tra i detenuti, si registra anche una nuova legge approvata la scorsa primavera che prevede a partire da gennaio 2024 l’estensione dell’età massima di arruolamento a 30 anni.
L’obiezione alla guerra riguarda persone in tutto il mondo. Il giovane Tal, ad esempio, che a fine anno era intervenuto in una Presenza di Pace a Torino in collegamento da Tel Aviv è stato il primo obiettore di coscienza incarcerato in Israele dopo il 7 ottobre. Il 5 aprile, poco più di un mese fa, il primo obiettore di coscienza di cui si abbia notizia in Thailandia ha pubblicamente fatto la propria dichiarazione; Netiwit Chotiphatphaisal ora rischia l’arresto. Per quanto riguarda l’Europa è utile in tal senso consultare il Rapporto annuale dell’EBCO.
C’è anche una notizia importante che riguarda la storica sentenza del 12 marzo scorso della Corte Europea dei Diritti Umani nel caso del turco-cipriota Kanatlı. La Corte ha stabilito all’unanimità che la sua detenzione nel 2009 per aver rifiutato, per motivi di coscienza, di prestare il servizio di riserva di un giorno nelle forze armate della “Repubblica turca di Cipro del Nord (TRNC)” è una violazione dell’articolo 9 (libertà di pensiero, coscienza e religione) della Convenzione europea dei diritti umani. È la prima volta che una sentenza internazionale in un caso individuale ha confermato esplicitamente che il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare si applica al servizio di riserva allo stesso modo della leva obbligatoria.
La solidarietà internazionale, insieme con l’advocacy, rimane un elemento vitale per sostenere coloro che si rifiutano di partecipare alla guerra e contribuire ad un cambiamento del sistema.
In questi giorni è stata lanciata una nuova iniziativa internazionale a cura di Connection e.V., WRI e EBCO: #RefuseWar. Si tratta di un’azione globale a sostegno della pace e di rifiuto della guerra e di tutto ciò che la riguarda – dalle spese militari alla produzione di armi. Una mappa interattiva sul sito www.refusewar.org permette di pubblicare brevi dichiarazioni e costellare tutto il mondo di “Io rifiuto…, Io sostengo…”. Una piazza virtuale mondiale per esprimere la propria coscienza e manifestare contro la guerra, a sostegno della pace!
Ci sono, purtroppo, tanti Yurii, Tal, Netiwit, Murat e Olga nel mondo. Per questo motivo ogni forma di azione di solidarietà è importante. È un atto di responsabilità civile dar voce a chi non ha voce, per la pace e contro la guerra. È anche un modo per risvegliare e dar voce alla propria coscienza e restare umani!

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29 settembre Perugia-Assisi

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