di Miriam Compagnino
La globalizzazione nasce negli Stati Uniti dopo il 1989 e diviene, per alcuni, sintomo di americanizzazione del mondo, una sorta di American Way of live diffusa nel globo e il cui simbolo è Internet che azzera i tempi di circolazione di immagini e di informazioni nel mondo. Per i suoi sostenitori è invece destinata a diffondere pace-libertà-benessere. Per altri è invece il mezzo utilizzato dagli U.S.A. per affermare il proprio dominio sul resto del mondo, distruggendo libertà e autodeterminazione. In realtà, il vero significato della globalizzazione è da ricercarsi nella sfera del dominio politico, economico, finanziario. Infatti, dopo la fine dei trattati di Breton Woods nel 1971, quando il presidente Richard Nixon per far fronte al forte aumento della spesa pubblica e del debito degli U.S.A., a causa della guerra del Vietnam, annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro ponendo, così, fine al sistema monetario internazionale creato nel 1944 con gli accordi detti di Bretton Woods; dopo questo atto politico-finanziario, si affermarono in Occidente e poi nel resto del mondo, la liberalizzazione dei flussi dei capitali e una politica economica basata su: 1) Imposizione del dollaro come unica moneta di scambio; 2) Stabilità macroeconomica; 3) Deregolamentazione dei mercati; 4) Privatizzazioni. I paesi che aderirono a questa globalizzazione americana furono costretti a rivoluzionare il proprio assetto economico, infatti, fu imposto loro: 1) Il contenimento delle spese pubbliche e del deficit pubblico; 2) La diminuzione delle leggi che regolamentavano i commerci e la diminuzione dei controlli fiscali da parte dello Stato in nome della libertà imprenditoriale e delle occasioni di sviluppo; 3) La privatizzazione delle attività economiche fino a quel punto gestite dallo stato. Si impose un modello economico di stampo modernista con al centro il dollaro. Questo nuovo modello pose fine al sistema economico vigente in Europa dal secondo dopoguerra, basato sulla presenza dello Stato in economia e su ampie politiche del Welfare. La nuova economia è stata definita: Washington consensus, perché in tutte le istituzioni finanziarie internazionali divenne prevalente l’influenza e l’ingerenza degli U.S.A. Questo ha portato ad un capitalismo mondiale segnato dalla finanziarizzazione dell’economia. Per finanziarizzazione si intende il ruolo delle attività finanziarie immateriali (scambi, transazioni, speculazioni) divenuto prevaricatore sulla economia reale basata sulla produzione di beni reali. Dalla fine degli anni ’90 al 2000 si è instaurato un mercato semiglobale centrato sul dollaro che ha sviluppato strumenti speculativi detti “derivati” che, attraverso il circuito bancario hanno invaso il mondo occidentale. Nel mondo attuale accanto agli Stati sono emersi altri protagonisti: le grandi aziende transnazionali e le organizzazioni criminali. La globalizzazione ha aumentato il divario fra Paesi ricchi e Paesi poveri ed anche fra ricchi e poveri all’interno del medesimo Paese. La globalizzazione, quindi, coincide con la massima espansione dell’America con la pressione economica e la NATO, che ha inizio nel 1991 anno in cui si è sciolta l’Unione Sovietica ed è terminata nel 2008, con il fallimento delle guerre in Afghanistan e in Iraq e la crisi finanziaria ed economica privata americana, in primis, dovuta al fallimento della banca Lehmann Brothers. Ai giorni d’oggi l’America si trova divisa in due scuole di pensiero politico economico: 1) La scuola dei neoconservatori (Biden, Obama, Bush padre e figlio) che vedono nell’America una super potenza unica nel mondo e, quindi, promuovono la necessità di continuare ad investire nella espansione dell’impero americano per civilizzare il mondo; 2) La scuola dei realisti (Trump) che con lo slogan America first, sintetizza la necessità per il paese di rendersi conto dei propri limiti e di disincentivare la costruzione di nuove basi militari. Attualmente vi sono nei 5 continenti 800 basi.
Nella realtà attuale, si sta vivendo la fine del mondo unipolare americo-centrista e la formazione di un mondo economico finanziario multipolare che vede nella fondazione dei BRICS (Brasile-Russia-India-Cina-Sudafrica) ed altri 20 Paesi, in continua espansione, la nascita di un blocco finanziario fra i più ricchi del globo progressivamente sganciato dal dollaro e con un sistema economico nuovo.
Di globalizzazione, della perdita dell’identità e della libertà dello Stato italiano e dell’infiltrazione nell’economia del Paese di una associazione mafio-massonica che seguiva gli interessi dell’America si interessò Pier Paolo Pasolini con la sua opera Petrolio. Nel 1975 Pasolini iniziò un nuovo romanzo ispirato alla figura di Eugenio Cefis, industriale molto potente e controverso protagonista della scalata dell’ENI-Montedison, fondatore della P2. Le ricerche di Pasolini prendono avvio da un discorso pubblico, tenuto da Cefis all’Accademia Militare di Modena il 23 febbraio 1972 intitolato La mia patria si chiama multinazionale pubblicato nella rivista L’Erba voglio, diretta da Elvio Facchinelli. In questo discorso Cefis descrive la imminente nascita della finanza multinazionale e la fine delle economie nazionali. Per attuare questo passaggio era necessaria, secondo Cefis, in Italia, una riforma costituzionale che permettesse un presidenzialismo autoritario, cosa che faceva prevedere un colpo di Stato: un «tintinnio di sciabole» come dichiarò il Generale Folde alla commissione Anselmi. Un golpe bianco che anticipava di sei anni la manipolazione strategica che portò alla morte di Aldo Moro. Altro scritto da cui prese spunto Pasolini fu il libro Questo è Cefis, l’altra faccia dell’onorato presidente, pubblicato nel 1972 dall’AMI (Agenzia Milano Informazioni), scritto da Giorgio Steimetz uno pseudonimo forse dello stesso proprietario dell’AMI Corrado Ragozzino. Per Pasolini, la finanza multinazionale (globalismo) era la causa del furto dell’identità, della storia, della cultura e della dignità dei popoli e la loro riduzione a ridicoli automi servi del mercato e del consumismo. In questo romanzo, descrive in modo dettagliato il passaggio dell’ENI-Montedison da impresa nazionale a multinazionale; ed esplicitamente nel romanzo richiama l’attenzione del lettore su questo processo di trasformazione all’interno della struttura di potere dell’ENI e sul ruolo chiave giocato dal protagonista Aldo Troya alias Eugenio Cefis. Nelle carte preparatorie cosiddette «l’impero dei Troya» e nel capitolo intitolato Lampi sull’Eni, Pasolini racconta le vicende che legano strettamente l’omicidio di Enrico Mattei, presidente dell’Eni dal 1952, il regime finanziario di Eugenio Cefis (appoggiato da potenti politici quali Giulio Andreotti e Amintore Fanfani), i “fondi neri” dell’ENI, e le stragi dal 1969 al 1980 (con una sorta di previsione della strage della stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto del 1980). Il romanzo iniziato nel 1975 non fu mai portato a termine perché il 2 Novembre 1975 Pasolini venne ucciso. Nel 1992 per la prima volta vennero pubblicate le pagine dattiloscritte del romanzo e la lettera di “presentazione” del romanzo a Alberto Moravia. Mancavano nelle prime edizioni i discorsi di Cefis che Pasolini voleva inserire tra la prima e la seconda sezione del romanzo. In tutte le edizioni manca il capitolo Lampi sull’ENI, sottratto dalla scrivania dell’autore e “mai ritrovato” … Il romanzo venne considerato dal giudice Vincenzo Calia come la prova del coinvolgimento di Cefis nell’omicidio di Mattei. Calia aveva riaperto le indagini sulla morte di Mattei. All’omicidio di Mattei si legano strettamente altri due omicidi quello di Mauro de Mauro (giornalista de l’Ora di Palermo, rapito dalla mafia nel 1970 e mai più ritrovato, che proprio nel 1970 stava nuovamente indagando sull’omicidio del presidente dell’ENI per redigere la sceneggiatura del film di Franco Rosi Il caso Mattei uscito nel 1972) e dello stesso Pasolini. In fine per quanto riguarda il capitolo Lampi sull’ENI giorno 02.03.2010 il senatore Marcello dell’Utri aveva dichiarato di essere entrato in possesso del dattiloscritto di una settantina di pagine e che lo avrebbe mostrato alla Fiera del libro antico di Milano il 12 dello stesso mese. Il dattiloscritto non fu mai presentato.
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