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di Francesco Cappello
Mentre le borse europee crescono, i dati sull’economia reale continuano a peggiorare. In Italia si registra un declino della produzione industriale che dura ormai da due anni. I mercati finanziari operano sempre più indipendentemente dall’economia reale. I settori finanziari vedono un apprezzamento e distribuiscono utili anche quando l’economia non cresce. La remunerazione dei depositi bancari da parte della BCE e gli alti tassi di interesse hanno aumentato enormemente i profitti delle banche
La borsa festeggia spinta dal settore bancario
L’Europa sta assistendo a una situazione economica paradossale in cui, nonostante i dati macroeconomici negativi e un’economia reale in difficoltà (Previsioni di crescita economica per l’Europa nel 2025: Si parla di un 1%), i mercati azionari europei, in particolare il settore bancario, stanno vivendo una crescita significativa. Questo fenomeno, osservato anche dalla stampa internazionale come il Wall Street Journal e il Sole 24 Ore, solleva interrogativi sulle dinamiche finanziarie attuali e sul ruolo delle politiche monetarie. Le banche europee hanno visto un incremento del prezzo delle loro azioni di circa l’80% dal 2022, superando la crescita delle società Big Tech americane. Questo successo si può attribuire in larga misura alle politiche della Banca Centrale Europea (BCE), che ha remunerato i depositi bancari parcheggiati presso la BCE fino al 4% per sottrarre liquidità agli investimenti nell’economia reale e combattere l’inflazione. I bancari si sono felicemente adeguati. Questa strategia ha generato, com’era prevedibile, profitti straordinari per le banche a scapito della crescita economica reale, che è rimasta stagnante.
Inoltre, il divario tra gli alti tassi di interesse applicati dalle banche sui crediti e la bassa remunerazione dei depositi dei risparmiatori ha contribuito ad aumentare i profitti bancari. In altre parole le banche hanno applicato tassi di interesse sui prestiti molto più alti rispetto a quelli sui depositi guadagnando sul differenziale. È questo il risultato della privatizzazione della gestione del risparmio e dei prestiti da parte delle banche. Prestiti che oltretutto le banche realizzano mettendo in circolazione moneta creata a debito. Ricordiamo a tal proposito il trattamento di favore che Banca Intesa ha ruffianamente riservato ai deputati italiani, ai quali ha offerto un rendimento del 5,6% rispetto ad uno striminzito 0,2% destinato a noi comuni cittadini, un tasso 28 volte più piccolo…
Oltre alle politiche della BCE, altri fattori che continuano a favorire la crescita del settore bancario europeo includono un carico fiscale relativamente basso e strategie di elusione fiscale.
Le banche europee hanno anche aumentato i loro guadagni attraverso commissioni di consulenza, spesso trasferendo gli attivi dei clienti a grandi gestori internazionali.
Infine, le banche europee investono pesantemente in titoli americani per ottenere rendimenti più elevati, il che significa che una parte significativa delle loro risorse viene sottratta al mercato europeo, attività che contribuisce alla dollarizzazione.
È interessante notare che molti dei principali azionisti delle banche europee sono americani, come Black Rock. L’attrattiva delle banche europee per i capitali americani è dovuta al fatto che le azioni europee sono considerate “a buon mercato” rispetto a quelle americane, soprattutto nel contesto dell’incertezza generata dalle politiche di Trump. In sintesi, la situazione attuale è caratterizzata da una crescita finanziaria guidata dalle politiche della BCE e da altri fattori che favoriscono le banche, a discapito dell’economia reale.
Il settore bancario italiano è in fermento con una serie di operazioni di fusione e acquisizione, guidate dalla consapevolezza di rendimenti elevati garantiti da alcuni colossi finanziari. Questa “guerra finanziaria” vede protagonisti grandi fondi americani (Black Rock in Unicredit con il 7-8% è il principale azionista), piccoli campioni nazionali e ipotesi di creazione di un polo francese. L’obiettivo principale sembra essere quello di accaparrarsi una fetta della grande liquidità disponibile, spesso a scapito delle banche popolari (trasformate in S.P.A.) e del loro ormai perduto legame con i territori. La mancanza di controllo dei capitali permette la dispersione del risparmio europeo, che viene investito in mercati esteri anziché nell’economia reale. Questo favorisce la massimizzazione dei dividendi a scapito degli investimenti a lungo termine necessari per la stabilità economica e la crescita. Sarebbe cruciale un maggiore controllo dei capitali per evitare la dispersione del risparmio europeo e per promuovere una finanza al servizio delle imprese italiane. Nell’ultimo anno le banche italiane hanno fatto credito per 550 miliardi e hanno fatto utili per 100 miliardi ditribuendo dividendi miliardari.
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Ex banche popolari. Oggi S.P.A.
La trasformazione delle banche popolari in Società per Azioni (SPA) presentata come una soluzione per aumentare la trasparenza e la vigilanza, ha portato in realtà a una serie di conseguenze negative. Le banche popolari hanno, infatti, perso il legame con il territorio, diventando operatori finanziari più piccoli e rispondendo agli interessi di un nucleo ristretto di azionisti. Questo le ha rese vulnerabili all’influenza dei grandi fondi finanziari, che condizionano le loro scelte strategiche snaturandole. Hanno perso, infatti, la capacità di legarsi ai processi produttivi e di creare valore sul territorio. Ora, cercano di attingere alla liquidità disponibile grazie alle operazioni di trading finanziario e alla massa critica di risparmiatori. Ad esempio, Bper Banca vorrebbe comprare la Banca Popolare di Sondrio, sfruttando una parte di azionariato comune legato ad Unipol, per accedere a quella liquidità garantita in parte dalla BCE e in parte dalle operazioni di trading finanziario (l’Ops promossa da Bper prevede un rapporto di concambio di 1,450 azioni di nuova emissione per ogni titolo della Sondrio, con un prezzo implicito di 9,527 euro per azione e una valorizzazione complessiva da 4,5 miliardi).
Si è ormai affermata la consuetudine che privilegia la massimizzazione dei dividendi a scapito di un piano industriale a lungo termine, trascurando le esigenze dell’economia reale e dei territori. Ne scaturisce il rischio, ormai sistematico, che la tenuta dei conti delle banche popolari venga compromessa da operazioni finanziarie aggressive, dove conta solo la trimestralizzazione, il dividendo iper pagato e il buyback (1).
I grandi fondi americani mostrano un interesse crescente per le banche europee, attratti dalle questioni normative e politiche, e dal fatto che le banche europee sono ancora un ottimo affare. La reazione dei piccoli salotti finanziari italiani si è manifestata attraverso la Banca Popolare di Milano, ma c’è il rischio che non ottengano il benestare degli azionisti necessari per le decisioni. Negli ultimi 3-4 anni le grandi banche hanno realizzato utili straordinari, spingendo alla creazione di ulteriori grandi banche, a volte a scapito degli istituti più piccoli. La trasformazione delle banche popolari in SPA oltre alla perdita del legame con il territorio, ha aperto la porta all’influenza dei grandi fondi finanziari e ad un sistema che privilegia i profitti a breve termine rispetto alle esigenze dell’economia reale.
Non ci sono quasi più le banche pubbliche
Le banche pubbliche, ormai estinte nel nostro paese, hanno svolto un ruolo cruciale nello sviluppo economico e sociale. Hanno spesso finanziato progetti di sviluppo regionale, contribuendo a ridurre le disparità economiche tra diverse aree del Paese. Ad esempio, la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) in Italia ha sostenuto lo sviluppo infrastrutturale e industriale nelle regioni meno sviluppate. Erano, infatti, le banche pubbliche a fornire finanziamenti a lungo termine per progetti infrastrutturali, industriali e agricoli, contribuendo alla crescita economica e alla modernizzazione del Paese. In più hanno sempre agito come stabilizzatori del sistema finanziario, intervenendo, in modo anticiclico, in periodi di crisi per sostenere l’economia e prevenire il collasso del sistema bancario. Promuovevano l’accesso ai servizi bancari per le fasce più vulnerabili della popolazione, contribuendo a ridurre le disuguaglianze economiche e sociali mentre fornivano supporto alle piccole e medie imprese (PMI): fornendo loro credito e servizi finanziari facilitandone la crescita e lo sviluppo.
Una delle pochissime banche pubbliche italiane procede a ritmo forzato verso la privatizzazione delle quote pubbliche di MPS . Il MEF nel 2017 deteneva quasi il 70% delle sue azioni. Oggi è sceso al 26%.
Il potere di emettere moneta dovrebbe essere monopolio esclusivo delle banche pubbliche.
Un’ottima soluzione, oltre al ripristino delle banche pubbliche sarebbe quella di tornare alla separazione tra banche commerciali e banche d’affari seguita all’abolizione negli anni 90, a opera di Draghi, dell’ottima legge bancaria del ’36.
La tassa sugli extra-profitti è solo un palliativo. L’art. 47 della nostra Costituzione imporrebbe di non lasciare la gestione del credito, e di conseguenza la creazione di moneta, in mano ai privati che tra l’altro realizzano profitti anche emettendo prodotti finanziari derivati che possono diventare denaro liquido.
Ricordiamo a questo proposito le parole di John Kenneth Galbraith in Money: Whence It Came, Where It Went”: «Lo studio della moneta, rispetto a tutti gli altri campi economici, è quello in cui la complessità viene usata per mascherare la verità o per sfuggire alla verità, non per rivelarla. Il processo attraverso il quale le banche creano denaro è talmente semplice da essere rifiutato dalla mente». La Banca d’Inghilterra, la più antica banca centrale del mondo, spiega come la moneta sia creata dalle banche:
“La realtà di come viene creato il denaro oggi differisce dalla descrizione che si può trovare in alcuni libri di testo di economia: le banche non prestano soldi risparmiati e depositati dalle famiglie ma creano loro stesse i depositi con i loro prestiti. Ogni volta che una banca fa un prestito genera immediatamente un deposito di valore corrispondente nel conto bancario del debitore creando così nuovi soldi.“
La banca centrale cinese ha recentemente obbligato le banche cinesi ad abbassare i tassi sui mutui immobiliari. Purtroppo questo importante strumento di politica monetaria è caduto in disuso nel nostro Paese a tutto vantaggio delle banche e a svantaggio dei cittadini. Le Banche Centrali di Cina e Giappone hanno mantenuto politiche fortemente espansive rispetto alle banche centrali di altri paesi senza per questo andare incontro a processi inflattivi.
(1) Il buyback (o riacquisto di azioni proprie) è quando una banca o un’azienda compra le proprie azioni sul mercato. La banca acquista le proprie azioni che sono state vendute agli investitori in modo che ci siano meno azioni disponibili sul mercato. Con meno azioni in circolazione, ogni azione rimasta diventa più preziosa, acquistando valore artificiosamente. Se la banca ha molto denaro in eccesso, spesso preferisce investirlo in un buyback piuttosto che in nuovi progetti. Il buyback è anche interpretabile come un modo per restituire denaro agli azionisti senza pagare dividendi.
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