Di Maranza, di classe e di Europa.

Intervista a Houria Bouteldja

Maranza di tutto il mondo unitevi

Intervista a Houria Bouteldja saggista franco-algerina e attivista politica decoloniale a cura della redazione di WorkingClass

Autrice di Maranza di tutto il mondo unitevi! edito da Derive Approdi. È stata portavoce del partito Indigènes de la République dal 2005 al 2020.

WCF: Volevamo iniziare chiedendoti qual è stato lo slancio che ti ha portato a scrivere questo libro e anche di dirci qual è la situazione in Francia, soprattutto dopo la vittoria “negata” del NFP (Nouveau Front Populaire, l’alleanza elettorale di partiti di sinistra e sinistra radicale, n.d.r.).

H.B.: L’ho scritto per due motivi: il primo è la constatazione che c’è una dispersione delle scelte elettorali, addirittura una divisione che è strutturale a causa di un conflitto di interessi all’interno della classe operaia.

Come spiegare il fatto che una grande percentuale di non bianchi voti per Mélenchon mentre un’altra grande percentuale voti per il RN (Rassemblement National, il partito di estrema destra al cui capo c’è Marine Le Pen, n.d.r.) quando le loro condizioni economiche e sociali sono più o meno le stesse?

La seconda ragione fa riferimento alla direzione che ha intrapreso il movimento dei Gilet Gialli. Sebbene le classi popolari bianche siano tendenzialmente portate a considerare quelle non bianche come il loro acerrimo nemico, I Gilet Gialli sono stati capaci di dimostrare che, malgrado i loro pregiudizi razzisti e le loro modalità reazionarie, i loro nemici principali erano lo Stato e la politica di Emmanuel Macron.

Personalmente, ho pensato che ci fosse un’opportunità strategica in atto in questo processo. D’altronde se le classi bianche sono in grado di identificare chiaramente il loro nemico principale da combattere, allora il razzismo può non essere più considerato come una fatalità.

WCF: In Italia (nel 2024 sono quasi 700 le morti sul lavoro), ma direi in tutta Europa, stiamo vivendo continue stragi sul lavoro, dove spesso le vittime sono bianchi, anche molto anziani, o stranieri “sacrificabili” (i protagonisti concettuali del tuo libro). Questi casi hanno pochissima risonanza nella maggior parte dei casi, mentre su altri temi di sinistra c’è molta più discussione. Secondo te perché? Esiste anche in Francia un problema di mancata discussione mediatica sulle morti sul lavoro?

H.B.: C’è una generale mancanza di interesse per i bianchi della classe operaia. Arriverei a dire che c’è un profondo disprezzo per la classe da parte della destra, il che è normale, ma soprattutto a sinistra, dove si preferisce il soggetto “donna”, “omosessuale” o “non bianco”.

E’ necessario aggiungere, certamente, che anche se il tema della lotta di classe è bistrattato, le altre questioni vengono affrontate in modo liberale e filosofico e raramente riescono a trovare un’attuazione concreta e rivoluzionaria. Questa condizione è lo specchio dell’imposizione della dominazione ideologica dei socialdemocratici che hanno conquistato lo spazio in maniera capillare con conseguenze profittevoli per l’affermazione del fascismo.

WCF: Nel tuo libro citi uno scambio con una donna di sinistra, progressista, che ti accusa di non pensare agli omosessuali, addirittura di considerarlo un fenomeno occidentale (cosa che, come tieni a sottolineare, non hai mai detto). Prendo questa parte come spunto per una domanda: i diritti civili sono uno dei temi su cui più si dibatte in Italia e spesso vengono utilizzati dalla destra e da una certa sinistra progressista per puntare il dito verso le classi sociali più povere, accusate di essere i tipi di elettori razzisti, omofobi e sessisti. Per esempio negli USA, proprio gli strati sociali più bassi e meno progressisti hanno votato per Trump. Tu parli di doversi “sporcare la mani”, in quale modo?

Maranza di tutto il mondo unitevi

H.B.: Ritengo che sia un tema molto rilevante e delicato da trattare. Considero che sia fondamentale riflettere e politicizzare in merito al conservatorismo delle classi popolari, siano esse bianche o non-bianche.

Credo sia di fondamentale importanza ricordare che se hanno una natura rivoluzionaria è dovuto al fatto che il progressismo le ha abbandonate per favorire nettamente le classi medie e alte. Penso, inoltre, che i valori conservatori rappresentino una zona di comfort in cui rifugiarsi nei momenti in cui lo Stato retrocede. Come principale conseguenza di questo fenomeno , siamo portati ad assistere alla glorificazione del concetto della famiglia tradizionale , del modello patriarcale su cui si basa, di alcune forme di mascolinità tossica che si auto-alimentano, che rimangono risorse tangibili, motivo di orgoglio quando il mondo del lavoro è stato espropriato di tutto.

In buona sostanza, io ritengo che dovremmo rinunciare al moralismo della sinistra per analizzare con attenzione questi fenomeni, provando a delineare un progetto alternativo in collaborazione con le classi operaie invece di crearne uno che le assoggetti. Per poter proporre un progetto che entri in empatia con le classi lavoratrici piuttosto che guardarle dall’alto in basso.

WCF: In un’intervista (Lo Stato razziale e l’autonomia dei movimenti decoloniali) ma anche nel tuo libro, affermi che la destra, l’estrema destra, ha più presa sui poveri bianchi (e questo lo abbiamo ben chiaro anche in Italia), in particolare perché la sinistra, anche quella più estrema, non porta temi come la sicurezza, che, percepita o meno, è effettivamente qualcosa che viene considerato urgente dai bianchi proletari. Come si può trattare questo tema, senza sfociare in discorsi razzisti e securitari?

Io penso che dovremmo provare a risignificare il concetto di sicurezza in una chiave più filosofica e soprattutto globale. Innanzitutto, comprendere questo bisogno al posto di etichettarlo come prettamente reazionario. In Francia si parla molto dell’insicurezza intellettuale dei ragazzini bianchi. E’ certamente risaputo che i non bianchi si trovino in una condizione di ignoranza culturale ancora più oscura ma questo non dovrebbe portarci a sottovalutare il peso della prima problematica menzionata. Potremmo argomentare che la sicurezza costituisce un diritto e l’insicurezza è un frutto prodotto direttamente dallo stesso sistema capitalistico. L’unico modo per porre fine all’insicurezza in tutte le sue forme è porre fine alla competizione infinita tra lavoratori, cittadini…

WCF: La filosofa e sociologa Silvia Federici racconta in un podcast di come il suo punto di vista fosse più proiettato nel futuro quando ha vissuto e lavorato in Nigeria, e che la sua visione fosse proiettata al futuro più a Lagos che a New York. Lei faceva riferimento ai processi economici a cui dovette sottostare la Nigeria, la quale aveva vissuto prima, e in maniera peggiore degli stati occidentali, una brutale liberalizzazione. Prendendo spunto da questo, due eventi come la guerra d’indipendenza d’Algeria e la rivoluzione haitiana, come possono ispirare un’alleanza tra i proletari occidentali e non occidentali, partendo dal fatto che un proletario occidentale è più privilegiato di un proletario di un paese non occidentale?

H.B.: Nell’immediato non credo ci possa essere una soluzione miracolosa e rapida dato che il privilegio bianco ha il suo prezzo. Ma questo “prezzo” sta lentamente scomparendo, in Francia come in Italia, perché anche la rendita imperialista o di civiltà (l’appartenenza all’Europa) sta diminuendo. Più il privilegio dovuto all’essere bianchi diminuisce, più forte diventa il sogno di rinvigorirlo (questa è la proposta fascista), ma il declino del privilegio bianco può anche essere uno spiraglio per riflettere insieme su un’utopia alternativa. Per fare questo, mi sembra urgente separare il sogno proletario dal sogno borghese. In altre parole, i proletari devono smettere di sperare che un giorno diventeranno borghesi. Questo è ciò che credono gli elettori di Trump. Votano per un miliardario perché si aggrappano all’idea di diventare ricchi come lui. Ma questo sogno è incompatibile con la distruzione del pianeta. Dovremmo imparare a sognare non di essere grandi, ma di essere orgogliosi di essere piccoli.

WCF: Una forza di questo saggio è che lascia al lettore un punto di vista molto forte e che propone una diversa prospettiva. In particolare, spieghi che uno dei motivi che ha esacerbato il conflitto tra classi proletarie e razzializzate a favore di quelle borghesi (oltre che lo scivolamento degli stessi borghesi verso una classe inferiore) è l’Unione Europea che, citando,  “fatica a catturare il consenso delle masse per il suo carattere fondamentalmente antidemocratico ed escludente”. Ci potresti approfondire questo aspetto? Lasciare l’Europa, vedendo anche il caso inglese, può essere rischioso dal momento in cui è stata costruita anche in modo da essere gravoso economicamente lasciarla. Come immagini una transizione della Francia fuori dall’Unione Europea e perché per te è un modo anche per unire i bianchi proletari  e quelli razzializzati?

H.B.: Non esiste un solo modo per uscire dall’Europa. C’è un modo di destra e un modo di sinistra. La Brexit è un disastro, ma non è inevitabile se accompagnata da un programma sociale e di affermazione della sovranità popolare. In Francia, una larghissima porzione di persone facenti parte delle classi popolari (sia che essi votino a destra o a sinistra) è ostile all’Europa. Ma la sinistra francese fatica a capire che dietro questa scelta c’è una motivazione di classe. È un peccato, perché sarebbe un sostegno prezioso per fare il primo passo verso la rottura della collaborazione di classe e razziale, perché l’Europa è soprattutto un progetto imperialista. Come si vede, non si tratta di una convergenza esplicita tra bifolchi e barbari, ma piuttosto dell’avvio di una prospettiva comune in cui gli interessi degli uni e degli altri potrebbero riconciliarsi.

Ringraziamo Rosa Marini e Radwan Kanzo per le traduzioni

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