L’IMMIGRATO ILLEGALE NEL PROTOCOLLO MELONI

Nelle tasche dei migranti solo la speranza

Illegalità Crimine Transnazionale Autore Rovrzin

di Ernesto Melappioni
Secondo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU), ogni individuo ha diritto al riconoscimento e al rispetto internazionale della propria dignità, rendendo contraddittorio il concetto di «immigrato illegale». La società occidentale ha dimenticato i principi fondamentali della Rivoluzione francese, i moti operai del socialismo internazionale e le lezioni della Prima e Seconda guerra mondiale. Nel 1948, con l’adozione della DUDU, l’umanità avrebbe dovuto avviarsi verso una società giusta e inclusiva, rispettosa delle diversità e orientata alla pace e alla giustizia attraverso lo strumento dello Stato di Diritto preposto a servire l’uomo attorno a questi valori universali. Tuttavia, questo ideale non si è concretizzato e i segni di degrado dello Stato di Diritto sono evidenti ovunque.

I diritti umani sono principi giuridici inderogabili sanciti nelle Costituzioni e trattati internazionali. In uno Stato di Diritto, il legislatore deve rispettare i diritti fondamentali dell’uomo, come quelli della DUDU del 1948 altrimenti non sarebbe uno Stato di Diritto. Tuttavia, nel tempo, leggi come la Bossi-Fini del 2002 in Italia hanno violato tali diritti, criminalizzando l’immigrazione e introducendo il concetto di «immigrazione illegale». Questa legge ha penalizzato chi cercava opportunità di sopravvivenza, alimentando paura e discriminazione nella società.

La legge Bossi-Fini ha minato i diritti fondamentali, promuovendo esclusione e contrastando i valori di giustizia e solidarietà. I tribunali di Genova, Torino, Bologna, Ancona, Gorizia, Trieste, Milano, Terni e Verona sollevarono dubbi sulla legittimità costituzionale della pena per gli stranieri che non rispettavano i decreti di espulsione. Tuttavia, con la sentenza n. 22/2007, la Corte costituzionale confermò la legittimità della norma, sulla base del principio di ragionevolezza, sancendo il concetto di «immigrato illegale». Sebbene modificata, la legge è ancora in vigore e continua a sollevare critiche da organizzazioni internazionali che denunciano la criminalizzazione dell’immigrazione irregolare come una violazione dei diritti umani fondamentali, tra cui il diritto alla dignità e all’asilo.

Oggi, l’accordo tra il governo italiano di Giorgia Meloni e quello albanese di Edi Rama, sui centri extraterritoriali per gli immigrati situati in Shengjin e Gjader ha suscitato preoccupazioni da parte delle organizzazioni internazionali a salvaguardia dei diritti umani. Le critiche si concentrano sulla possibile violazione dei diritti fondamentali degli immigrati, in particolare per quanto riguarda le condizioni di accoglienza e il rispetto della dignità umana. Inoltre, l’accordo solleva dubbi sulla responsabilità dell’Italia nel garantire protezione e diritti, anziché delegarli ad altri paesi. I critici sostengono che le misure non affrontano le cause oggettive dell’immigrazione, evidenziando la necessità di una riflessione più profonda sulle politiche migratorie e il rispetto dei diritti umani. Una riflessione che dovrebbe essere un atto dovuto da parte dell’intera società civile europea.

Le migrazioni in natura rispondono a bisogni di sopravvivenza, mentre gli animali seguono istinti naturali, gli esseri umani fuggono da conflitti, povertà, persecuzioni e disastri, affrontando ostacoli legali e culturali. Gli Stati di Diritto devono inderogabilmente garantire protezione e diritti fondamentali ai migranti, riconoscendo la loro vulnerabilità. I centri extraterritoriali in Albania sono assimilabili a dei campi di deportazione, privi di garanzie concrete per i migranti e lontani dagli occhi della comunità europea. Secondo quanto riportato da Altraeconomia non esistono protocolli di vigilanza firmati dal Ministero dell’Interno con l’UNHCR (agenzia ONU preposta alla salvaguardia dei rifugiati) né tantomeno con la sua omologa OMI (Organizzazione Mondiale per le Immigrazioni). La gestione dei migranti avviene senza un adeguato controllo professionale, isolandoli dal mondo esterno e assistendoli solo tramite avvocati d’ufficio online. Un trattenimento forzato che potrebbe rivelarsi un boomerang per il governo meloniano se le cose non andassero per il verso giusto. Magari con un sovraffollamento dovuto alle difficoltà diplomatiche per concordare i reimpatri o peggio ancora se questi centri restassero vuoti per ragioni giudiziarie. Visto che la Corte europea ha già ha emesso una sentenza il 4 ottobre 2024 che potrebbe impedirne l’operatività. Circostanza che farebbe bruciare centinaia di milioni di euro, spingendo la Corte dei conti a dichiarare il danno erariale.

Questi centri sembrerebbero simili a un deposito giudiziario dove vengono selezionati arbitrariamente i soggetti che potranno integrarsi da quelli destinati alla rottamazione dell’espulsione verso il paese d’origine. Il “protocollo meloniano” ha suscitato molte preoccupazioni, soprattutto riguardo alla gestione dei centri da parte della cooperativa Medihospes, che controlla oltre il 60% dei centri per migranti in Italia. Per la gestione dei centri in Albania, Medihospes ha ottenuto un contratto da 133 milioni di euro. L’organizzazione è guidata da Camillo Aceto, un nome legato a numerose inchieste giudiziarie in tutta Italia, come riportato da Policymaker. Se da un lato i migranti sono vittime della tratta di esseri umani da parte delle organizzazioni criminali, dall’altro diventano occasione di sfruttamento per il business “legale”.

Una riflessione più profonda sul fenomeno evidenzierebbe che ciò che accade nei centri di Shengjin e Gjader o con l’immigrazione in generale, riflette su quanto accade generalmente nella nostra società. Dove viene violato sistematicamente l’Art. 6 della DUDU che recita: «Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica», un principio prioritario per lo Stato di Diritto. Quella della persona umana è personalità giuridica di diritto universale per come ricordava il professore di diritto internazionale Antonio Papisca emerito Difensore dei Diritti Umani dell’Università di Padova. Un diritto super-costituzionale per sua intrinseca natura. La personalità giuridica dell’individuo è gerarchicamente superiore alla personalità giuridica dello Stato e ancora più superiore alle personalità giuridiche delle Società private che dominano lo scenario mercantile globale. Un operatore dello Stato di Diritto, secondo questo principio, deve porsi sempre e comunque al servizio dell’individuo umano che ha di fronte. Qualunque esso sia. Questo è il senso autentico della sovranità individuale nella sovranità popolare. Diversamente da quanto accade nella realtà. Attualmente, lo Stato, si arroga il diritto di creare dal nulla una finzione giuridica di sua esclusiva giurisdizione e amministrazione a ogni neonato attraverso la costituzione dell’atto di nascita. Una finzione giuridica con nome invertito e tutto maiuscolo, violando l’Art. 6 del Codice civile. Collegando, a questa finzione inanimata, un distintivo codice fiscale. Incatenando il neonato, naturalmente incapace di intendere e di volere, alle disposizioni discutibili dello Stato. Una pratica amministrativa analogamente presente in tutti gli Stati di Diritto che viola palesemente l’Art. 4 della DUDU che recita: «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma». Così facendo lo Stato trasferisce sul neonato tutte le conseguenze delle sue azioni, come per esempio il debito pubblico. L’indebitamento dei neonati non solo è un atto che compromette la loro libertà futura, ma rappresenta un’offesa gravissima alla dignità umana. Come si può parlare di eticità quando si costringe un neonato a farsi carico di un debito che non ha mai contratto, violando i principi fondamentali di libertà e di rispetto della persona? Questo scenario trasforma i diritti fondamentali in una mera formalità, privando gli esseri umani del diritto di vivere liberi da qualsiasi forma di “schiavitù” economica o sociale.

Illegalità Crimine Transnazionale
Autore Rovrzin

Con questa pratica lo Stato continua ancora a trattare l’individuo come oggetto di diritto. Lo stesso trattamento che subiva durante le monarchie assolute di un tempo, ignorando il suo status di soggetto in diritto internazionale, per come è manifesto nella DUDU. Questo avviene a discapito degli individui educati fin dalla tenera età a ignorare certi principi giuridici che distinguono uno Stato di Diritto in uno Stato assolutista in cui gli individui sono considerati meri strumenti da usare per i fini economici. È forse una realtà che vogliamo continuare a ignorare? Non è vero che il reddito da lavoro viene tassato? E non è vero che ogni acquisto, che si tratti di cibo, medicine, case o automobili, è nuovamente soggetto a tassazione, trasformando i cittadini in fonti continue di entrate per lo Stato?

Quella che viviamo oggi è una “selva oscura”, dominata da poteri secolari, banche e multinazionali, che hanno occupato abusivamente lo Stato di Diritto facendolo entrare in coma. Dal 1948, la cultura che ha ispirato la Rivoluzione francese e i moti operai del socialismo internazionale, rivolti alla conquista del sistema legislativo, si è progressivamente erosa, svuotando la coscienza sociale e trasformando le popolazioni in masse passive. Schiave di un sistema consumistico imposto dall’alto attraverso le limitate e anacronistiche democrazie rappresentative. Diversamente dall’avanzato sistema democratico della Svizzera, dove la popolazione è direttamente coinvolta nella legislazione, essendo organo legislativo di Stato. L’unica nazione al mondo, che nel bene o nel male, tiene in mano le briglie del suo destino sociale con il controllo diretto del sistema legislativo. D’altronde sono i sovrani che dovrebbero legiferare.

Oggi assistiamo alla migrazione di popolazioni affamate, pronte a farsi schiavizzare in un modo “più umano”, senza catene ma con un trasognato codice fiscale. Questo avviene anche a costo di entrare in conflitto con le comunità locali, che non vogliono rinunciare alla loro servitù volontaria, necessaria per godere di una libertà indecente. Una libertà interamente basata sullo sfruttamento delle risorse naturali delle terre da cui provengono gli stessi migranti. Una sorta di karma sociale. Creando così un corto circuito carico di inadeguatezza e ignoranza, destinato prima o poi a saltare a danno di tutti.

Una situazione da risolvere che richiederebbe intelligenti azioni giuridiche ben determinate da parte degli individui protagonisti della DUDU. Spostando l’attenzione dalle inutili piazze per concentrarla nelle aule dei tribunali. Spingendo i giudici ad applicare i diritti inderogabili dell’uomo su ogni micro e macro questione di interesse sociale. D’altronde è la dichiarazione stessa che nell’Art. 28 recita: «Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.» Chi lo sa! Forse, i diritti fondamentali potrebbero diventare l’ideologia universale del ventunesimo secolo per risolvere questo corto circuito globale. Magari, l’unione fa la forza, tornerà di moda.

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