L’antifascismo integrale di Giacomo Matteotti e Gaetano Salvemini

Intervista a Enzo Di Brango

Libro Matteotti

Intervista a cura di Andrea Vitello

L’8 settembre 1873, 150 anni fa, a Molfetta nasceva Gaetano Salvemini –  storico, politico e antifascista – ma soprattutto uno dei maggiori intellettuali italiani del suo tempo. Mentre il prossimo 10 giugno sarà il centenario dell’omicidio, per mano di sicari fascisti e voluto da Benito Mussolini, di Giacomo Matteotti, allora segretario del partito socialista unitario che il 30 maggio 1924 alla Camera dei deputati, con un celebre discorso, denunciò l’irregolarità, dovute al fascismo, delle elezioni appena avvenute, e proprio per questo fu poi sequestrato e ucciso dai fascisti. Visti questi due importantissimi anniversari all’Eirenefest 2024, 31 maggio- 2 giugno, quartiere san Lorenzo Roma, si terrà una tavola rotonda dal titolo “L’antifascismo integrale di Giacomo Matteotti e Gaetano Salvemini”. L’evento sarà venerdì 31 maggio dalle ore 16 alle ore 17.15 presso Verano Johan Galtung (giardino), giardino del verano. Nel corso della Tavola rotonda verrano presentati due libri, entrambi editi dalla casa editrice, Nova Delphi Libri, intitolati “Un’Insolente Eresia. Salvemini e gli anarchici: le convergenze della diversità” e “Matteotti”. Il primo scritto da Enzo Di Brango e il secondo da lui curato. Enzo Di Brango saggista collabora all’edizione italiana di “Le Monde Diplomatique”. L’abbiamo raggiunto per intervistarlo proprio in merito a questi due suoi libri.

Il prossimo 8 e 9 giugno si voterà per il rinnovo del parlamento europeo. Dal suo libro che tipo di Europa emerge che voleva Gaetano Salvemini?
Salvemini cominciò ad occuparsi in maniera concreta dell’assetto europeo già all’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale. Uso l’aggettivo “concreta” per restare in sintonia con il suo agire pedagogico ed anche in conseguenza di quel che fu l’Europa prebellica attraversata dai feroci nazionalismi a tutti noti. Per rispondere alla sua domanda farò riferimento a due brevi saggi pubblicati dalla rivista libertaria “Volontà” a cavallo degli anni ’48 e ’49 del secolo scorso. Mi sembrano infatti i più coerenti per fornire anche ai nostri giorni necessari spunti di riflessione. Lo storico pugliese si interroga: «È possibile sperare che questa Europa scombinata abolisca il diritto di guerra fra le nazioni pigmee che le abitano e si organizzi in federazione»? Due evidenze saltano agli occhi: l’avversione alla guerra e la necessità di una costruzione federalista dell’organismo europeo. Oggi non si ravvisano, purtroppo, tracce dell’una e dell’altra. Un argomento sul quale insiste, individuando gli ostacoli al percorso: «la Federazione europea deve nascere per far la pace, non per fare la guerra in Europa», e pare che non ci siamo proprio. Poi sottolinea le storture sovraniste che ostacolano il percorso federativo: «Winston Churchill è diventato il cavaliere errante della unione europea. Di tutti i tegoli che sono cascati sul capo a noi federalisti in questi ultimi tempi, questo è stato il tegolo maggiore. La unità europea, invocata da Churchill dopo lo squartamento della Germania, voluto anche dallo stesso Churchill, non è altro che l’invito ai paesi dell’Europa di prestarsi gentilmente a funzionare come cintura di protezione per le isole britanniche». Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, nel sottolineare la enorme sudditanza alle politiche statunitensi (già allora evidente oltre ogni obbligo di gratitudine ai liberatori), conviene che l’unica strada percorribile sia quella di «una Italia neutrale», che «rappresenterebbe per le Potenze Atlantiche, dal punto di vista economico, politico e militare, una alternativa infinitamente più conveniente che un’Italia alleata».

Eirenefest antifascismo-31maggio –

Non esisteva ancora la Nato ma per Salvemini non era una struttura di quel tipo la soluzione per il futuro di questo Paese. Appare sin troppo chiaro che l’attuale situazione l’Europa attuale e quella che ipotizzava Salvemini sono due soggetti completamente all’opposto uno dall’altro.
Il libro da lei curato su Giacomo Matteotti si avvale di rinnovati apparati critici. Può illustrarceli brevemente senza spoilerare troppo al lettore?
Il libro vuole essere uno strumento divulgativo sotto molteplici aspetti. Intanto nella brevità (106 pag.), in più nell’impegno di fornire al lettore due “immagini” impattanti, non filtrate da pareri esterni che potrebbero viziare un corretto approccio alla lettura. Nel volumetto parlano in maniera diretta Giacomo Matteotti nel suo ultimo discorso alla Camera dei deputati e Piero Gobetti in un suo articolo pubblicato su “La Rivoluzione liberale” all’indomani del rapimento e dell’uccisione del leader socialista. Nella mia introduzione ho voluto disegnare il quadro temporale dell’epoca sfatando il mito del fascismo come latore dell’ordine e della sicurezza riproponendo la lunga ed interminabile sequela di bastonature, aggressioni ed uccisioni avvenute durante il primo anno di governo Mussolini, aggiungendovi riferimenti alla questione delle tangenti dell’azienda petrolifera statunitense Sinclair oil a dimostrazione che non solo il fascismo non normalizzò il Paese dal punto di vista dell’ordine pubblico ma si aprì, sin dalla prima ora, alla corruzione finanziaria generalizzata. Vorrei anche segnalare la postfazione del mio amico e critico letterario Dario Pontuale, una sorta di “biografia letteraria” lontana dai canoni abituali delle cosiddette biografie di prassi che si incontrano spesso in volumi di questo genere. Diciamo che abbiamo voluto confezionare un volume “immediato”, destinato non solo a rinverdire la memoria storica ma anche a far giustizia delle tante bugie che circolano sull’argomento.
Perché ha deciso di scrivere il primo libro e di curare il secondo?
Per debito di riconoscenza verso due esempi di vita che ogni giorno mi indicano la strada da percorrere. Salvemini e Matteotti, insieme a Carlo Rosselli, Camillo Berneri e Andrea Caffi rappresentano la mia costellazione di riferimento.
Lei presenterà questi due libri all’Eirenefest Festival del libro per la pace e la nonviolenza, quanto è importante, visto anche il momento storico, ricordare le figure di Giacomo Matteotti e Gaetano Salvemini, e quali erano le similitudini e le differenze del loro antifascismo?

Libro Enzo Di Bragio

Considero l’antifascismo di Salvemini una pratica di riferimento, quello di Matteotti un antifascismo di esempio. Vede, anche il termine “antifascismo” è sottoposto all’attacco dei tanti revisionisti del vocabolario, così come oggi, in modo surrettizio e volgare, si riduce il termine “terrorismo” all’Islam dimenticando – o tentando di far dimenticare – che esso nacque in Francia nel periodo post rivoluzionario durante il cosiddetto “regime del terrore”, anche sul termine “antifascismo” si stanno tentando operazioni mutanti. Io non sono tra quelli che protesta per le braccia tese di via Acca Larentia, per fenomeni di questo tipo provo solo schifo e ribrezzo, mi indigno, invece, quando in molti ignorano l’essenza dell’antifascismo che sta tutta nella tensione verso la libertà che animò la lotta partigiana fino alla vittoria. Un’indignazione montante quando sento, vedo e verifico che molti settori dello Stato continuano imperterriti a voler decidere dell’altrui libero arbitrio, per esempio quando ci si oppone al riconoscimento della cittadinanza a chi lavora, studia e finanche nasce in Italia, quando si limitano i diritti di famiglia (e altri diritti civili) alle coppie omosessuali, quando il razzismo continua a dettare i tempi della convivenza civile. Pensi a quanto è razzista la locuzione che si ripete spesso – anche da parte di esponenti della cosiddetta sinistra – “prima gli italiani”. In virtù di cosa gli “italiani” dovrebbero avere sempre la precedenza? Ecco questi sono (e non sono gli unici) motivi per i quali l’antifascismo continua ad avere ragione di essere. Onestamente somiglia ad una barzelletta (che nemmeno fa ridere) pretendere dalla Meloni, dai La Russa e compagnia cantante, dichiarazioni di antifascismo: la pratica è tutta nel costruire ostinatamente le azioni politiche per liberare la società dai condizionamenti del potere cui ho fatto riferimento.

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