di Maurizio Torti
“la scuola non è più quella di una volta”.
Quante volte abbiamo sentito questa frase e cosa c’è di vero? L’Università italiana e il suo sistema è sempre lo stesso, dai concorsi ai professori la corsa alle raccomandazioni e il favoritismo verso gli amici resta invariato da anni. L’Università è terreno di conquista dei partiti, rappresentati da baroni, dal conformismo e da un appiattimento culturale generale, dai libri di testo e dai “programmi”, spesso suggeriti sulla base del peggior pensiero unico.
La conferma di questa situazione, molto grave, viene proprio da alcune università dove emergono, singolarmente, professori e ricercatori, ostacolati in tutti modi dal pensiero unico, filtro per il pensiero critico. In questi anni, gli studenti sono riusciti, molto in silenzio, a fare muro, argine e resistenza all’arroganza e l’autoritarismo manifestato da molti referenti universitari, dai professori ai rettori.
Non si possono zittire o intimidire centianaia di miglia di studenti, infatti periodicamente gli studenti dall’interno delle aule universitarie sono riusciti a portare fuori, nella società civile, le problematiche importanti per la loro vita e la loro formazione, riuscendo a condividere e coinvolgere sempre un gran numero di giovani e non solo.
In silenzio ed in piena autonomia e in movimento, alternando le sedi degli atenei in tutta Italia, gli studenti hanno esposto in modo chiaro la questione degli affitti, costi esosi per tanti anni di università da aggiungere alle tasse e ai libri. Gli studenti sono riusciti in piena autonomia a sensibilizzare tutto il paese senza l’aiuto di partiti e della stampa sempre più vaga su questo tema, spesso assente.
Quello degli affitti è un problema non nuovo e in alcune città ha raggiunto picchi molto alti, 700€ mese per una camera e spesso anche senza un contratto regolare.
In città come Napoli, Firenze e Palermo, dove molte sedi universitarie sono in pieno centro storico si è aggiunta una nuova quetione sociale, l’industria del turismo chiede più alloggi per il turismo e l’avvio di nuovi B&B. Questo fenomeno sociale ha aggravato il caro affitti per gli studenti e anche la vivibilità dei centri storici, dove imprenditori senza scrupoli preferiscono l’affitto breve piuttosto di un affitto ad un nucleo familiare.
Sono quasi sempre ignorati, derisi ed esclusi dal dibattito, sono gli studenti ed in particolare quelli universitari, non vengono riconosciuti come fonti critiche, fontane di idee e proposte, sono spesso zittiti e quando manifestano in piazza, generalmente sono attaccati dalla polizia e manganellati. Negli ultimi mesi questa è stata l’unica risposta del governo Meloni, “non manifestare in piazza che ti riempio di botte”.
Gli studenti sono da sempre autonomi, all’inerno delle aule universitarie ci sono regole non scritte in merito al diritto dell’autonomia ed è quello che accade in tante università italiane. Nelle utime settimane gli studenti di molte università, dopo un percorso politico lungo e articolato, hanno avviato una forte mobilitazione contro la guerra e contro l’aggressione al popolo palestinese, è la nuova linea rossa.
Le immagini della mattanza da parte del governo di Tel Aviv e dell’esercito israeliano, le dichiarazioni di diversi leader politici dopo i fatti del 7 ottobre, hanno costretto gli studenti universitari a definire una linea rossa e lo hanno detto chiaramente attraverso diverse iniziative studentesche oppnendosi sempre all’intrusione di personaggi, politici e giornalisti perfettamente allineati con il pensiero unico. Nelle università italiane, in questo contesto non c’e spazio per chi da anni alimenta un giornalismo di regime, non c’è spazio per chi non ha alcuna sensibilità per la questione palestinese.
La reazione dei media tradizionali, dei media di regime, di alcuni intellettuali e di esponenti del governo è molto dura. Ai giovanissimi studenti che si affacciano per la prima volta in strada, in conteo, la risposta è sempre la stessa, violenza, manganellate a chiunque da sommare ad un linciaggio mediatico di quotidiani non solo di centrodestra.
Le università coinvolte, i comitati e i gruppi studenteschi, contro l’aggressione e l’occupazione militare israeliana nei confronti della Palestina sono tanti e il linciaggio ecco un esempio per quanto riguarda il collettivo Cambiare Rotta, questo pericolo pubblico numero uno. “Tra i ribelli della Sapienza Chiediamo soltanto di poter parlare”. Al governo e ai partiti fanno paura i giovani che intraprendono un’espereinza di autonomia?
Il messaggio è chiaro, all’università non si presentano opere editoriali, libri o testimonianze di personaggi ciechi al contesto contemporaneo oppure schierati per negare il genocidio palestinese. È gli esempi sono Chiara Saraceno, Parenzo e Molinari. Sono stati tutti contestati e non da un gruppetto di giovani minoritari e si deve riconoscere la chiarfezza dell’analisi sociale e politica compiuta ed espressa dagli studenti universitari, attenti alla qualità degli interlocutori, portatori di interessi politici e non di scenari leggittimi e utili al dialogo e al confronto.
Come spesso è già accaduto anche molti professori sono a fianco degli studenti come all’università di Torino non più dispomnibile alla partecipazione al bando 2024 Maeci per la cooperazione scientifica con Israele. È questa la decisione presa dalla maggioranza del Senato accademico che si è espressa al termine di un’assembea pubblica a cui hanno partecipato i collettivi ‘Cambiare Rotta’ e ‘Progetto Palestina‘. “Molti Stati e aziende continuano a finanziare la struttura oppressiva coloniale, responsabile del genocidio della popolazione palestinese, diventa essenziale eliminare ogni coinvolgimento tra i nostri atenei, la filiera bellica e le istituzioni israeliane: per questo, a partire dal risultato di oggi, continueremo a mobilitarci finché ogni accordo e ogni forma di complicità non saranno recisi, a partire dal prossimo senato accademico, in cui si discuterà dell’adesione del Senato alla lettera aperta indirizzata al ministro Tajani da parte della comunità accademica, in cui si chiede la sospensione di questo bando in ogni università a livello nazionale”, hanno scritto in un post Instagram i ragazzi di ‘Progetto Palestina’.
La decisione dell’ateneo piemontese, ha scatenato molte polemiche dividendo la politica. A criticare la presa di posizione sul bando del ministero degli esteri e della Cooperazione, sono stati i pqrtiti e i politici vicini al governo Meloni, compresa la premier, preoccupata per l’ondata crescente di antisemitismo nelle istituzioni. “Temiamo un crescente isolamento di Israele”, ha detto la presidente del Consiglio alla Camera. “Ribadisco che considero grave l’ondata di antisemitismo dilagante anche nella nostra opinione pubblica anche nelle nostre istituzioni, come il caso dell’Università di Torino. Non sono d’accordo sul riprist
ino immediato dei fondi all’Unrwa”.
Il governo e i politici attaccano gli studenti con la solita e inutile propaganda accusandoli di essere antisemiti un atteggiamento di chi è consapevolmente pagato con stipendio o regali di ogni tipo e deve dire questa frase: “sei antisemita”.
Come per l’azione di boicottaggio di Israele, azione seguita in tutto il mondo, la decisione dell’università di Torino che ha bloccato la ricerca universitaria con Israele tocca gli interessi e il portafoglio di qualcuno ma c’è di più con la lettera di oltre 2000 professori, tutti non più disponibili a condurre ricerca e sviluppo con le università di Israele. La società civile si sta muovendo e il destino di Israele non può essere che l’isolamento, la colpa è il genocidio contro i palestinesi ed è molto grave, oltre 32 morti, un territorio distrutto, violenza contro le donne, procurata fame e carestia, ora è necessario fermarli.
Alle olimpiadi di Parigi chi è resposanbile di un genocidio, Israele, non può partecipare e lo chiedono anche decine di artisti alla grande manifestazione musicale Eurovision, nessuno vuole artisti israeliani.
La storia sarà testimone e la memoria indelebile il ricordo profondo del dolore provocato dalla barbaria israeliana e occidentale.
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