di Carlo Grossi
Riusciremo ad abituarci a convivere con quel senso di precarietà che oggi più che mai circonda la nostra esistenza terrena? Una precarietà diffusa, estesa al punto da lambire gli affetti, le amicizie, il lavoro, il tempo libero, un male sottile che si insinua nella vita di tutti i giorni e ci induce a riflettere sulla realtà circostante, sulle nostre abitudini, sulla routine quotidiana.
Posto che le certezze non fanno parte del vivere umano rifletto che mai come oggi tutto è posticcio, traballante, legato a fatti la cui comprensione è resa difficile dalla tempesta di notizie vomitate dai media mainstream, dalla menzogne di una classe politica inadeguata, asservita che ha come unico scopo la propria autoconservazione. E mentre tentano di convincerci che la profilassi sierologica fosse necessaria, che esiste una guerra giusta, che non si sta consumando un secondo genocidio, che il supporto all’Ucraina o ad Israele è necessario assistiamo alle conseguenze di alcune scelte scelte fatte in nome del bene comune. E di questi giorni una statistica che vede aumentare del 600% i malori improvvisi negli ultimi quattro anni, lo stesso ministro Crosetto è dovuto ricorrere in questi giorni alla cure ospedaliere per una sospetta pericardite per non parlare degli sportivi che stramazzano al suolo, dei partecipanti alle trasmissioni televisive che cadono come birilli davanti alle telecamere fatti che nonostante tutto non possono essere nascosti.
Questa mattina al risveglio ho letto il messaggio di un caro amico, assistente di un importante studio professionale, che è stato raggiunto nel cuore della notte dalla telefonata del dominus che lo pregava di raggiungerlo con urgenza a causa di un’improvvisa fibrillazione interatriale.
Temo che dovremo abituarci a certe situazioni che abbiamo prefigurato invano sin dall’inizio del delirio pandemico. Per questo i consapevoli avvertono un senso di solitudine, un indefinibile vuoto della coscienza e il rammarico di non essere riusciti ad evitare il peggio.
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