Eliseo Bertolasi
Il 27 novembre a Milano si è tenuta la presentazione del libro di Valery Korovin “La fine dell’Europa”. Relatori: Eliseo Bertolasi, presidente del Movimento Internazionale Russofili in Italia, e Mirko Preatoni il vicepresidente. Ha moderato l’avvocato Gaia Fusai di “Fronte del Dissenso”.
Nel suo libro “La Fine dell’Europa” Korovin affronta tematiche di primissimo piano. In effetti, si tratta di questioni, oggi, di grande attualità che coinvolgono direttamente il destino dell’Europa, quindi anche dell’Italia.
Rappresentano uno sguardo “dal di fuori”, per l’appunto dalla Russia, su questa Europa che sta cambiando con velocità non graduale ma esponenziale nel sua configurazione identitaria. È logico chiedersi come sarà il suo futuro?
Il riferimento, certamente, è soprattutto nei riguardi del grande flusso migratorio che negli ultimi anni sta interessando i paesi europei.
Sulla base del buon senso è indiscutibile che un travaso così evidente di persone provenienti da paesi extra-europei inneschi inevitabilmente dei cambiamenti nei paesi di approdo, cambiamenti ormai talmente evidenti da essere oggettivamente sono sotto gli occhi di tutti.
Ho selezionato alcuni spunti introduttivi innanzitutto sottoforma di domande che l’autore pone come punti di riflessione:
– La cosa più importante che preoccupa davvero tutti noi, non solo per chi vive in Europa, ma anche per chi dall’esterno – la Russia – osserva le trasformazioni in corso, l’Europa resisterà alle sfide che deve affrontare?
– Certamente, l’Europa è ancora forte nella sua cultura, nelle sue tradizioni di democrazia, libertà, uguaglianza e diritti umani. Ma questi valori sono abbastanza allettanti per chi oggi vi arriva in numero piuttosto elevato?
– Sono pronti i nuovi arrivati, come in passato, ad assorbire con smania la cultura europea, impararne le lingue, assimilare i valori della democrazia europea, assumere una nuova identità, abbandonando definitivamente quella precedente?
Ecco alcune considerazioni dell’autore sulla questione migratoria:
Secondo il modello di antropologia politica europea, qualsiasi persona – di qualsiasi colore di pelle, cultura, lingua – che entri nella società occidentale ne diventa automaticamente un elemento tipico. Teoricamente, diventa esattamente uguale a tutti gli altri. L’intera base legislativa dei paesi europei è configurata in modo tale da operare con queste categorie.
Lì il cittadino è un soggetto atomizzato della società civile, la quale è composta meccanicamente da molti individui. Ogni richiesta viene indirizzata all’individuo, come cittadino, come se fosse una specie di individualità atomizzata, senza considerare: che tipo di cittadino è, che religione professa, a quale gruppo etnico appartiene, in quanto, la legge, il sistema giuridico, l’essenza stessa del “Moderno” (inteso come paradigma) non prevede l’esistenza di altre identità collettive, caratteristiche, idee. Anche se ne siamo oggettivamente in presenza.
Teoricamente dovrebbe essere così: quando i rappresentanti del mondo arabo, del Maghreb, del centro del continente africano, della Cina o, ad esempio, della Turchia entrano nei paesi europei, come per magia, verrebbero automaticamente ripuliti da tutte le loro precedenti caratteristiche. In altre parole, come se fossero azzerati e ricaricati.
Dal punto di vista della puro pensiero europeo, giunto a sostituire Dio a favore di una nuova fede – il “Moderno”, i nuovi abitanti dell’Europa, dopo essersi ripuliti da tutto ciò che è “vecchio”, si trasformerebbero in un cluster vuoto. Questo individuo azzerato, – secondo il criterio europeo – dopo il “reset”, sarebbe pronto ad assorbire da “zero” i valori europei. Ma questi stessi valori, frutto delle raffinatezze filosofiche del “Moderno”, sono stati perfezionati in tre o quattro secoli di storia del pensiero europeo. Tutti questi individui vengono fissati nello spazio giuridico europeo, nel campo sociale e culturale, sotto forma di codici chiari del pensiero razionale. L’unico problema è che un simile “azzeramento” e “reset” dei nuovi europei avviene solo nelle teste dei burocrati europei che registrano meccanicamente gli arrivi ai posti di frontiera e raccolgono statistiche nei centri d’immigrazione.
Secondo i burocrati europei, gli immigrati appena arrivati spadroneggiando tutti i tipi di contabilità e indennità, dopo aver studiato l’una o l’altra lingua europea e aver trovato un lavoro, si trasformerebbero nei tipici cittadini dei vari paesi europei e in coscienziosi contribuenti-consumatori…
Tuttavia:
Ciò che non vedono i funzionari europei che si occupano di documenti è, invece, chiaramente visibile nelle strade europee. È lì che balza agli occhi il fatto che i nuovi arrivati in Europa, persone di altri continenti, rappresentanti di altre razze e civiltà, seppure con in tasca i nuovissimi passaporti europei, certamente, non diventano “francesi” o “tedeschi”. in senso culturale, storico, psicologico, mentale. Ma rimangono musulmani, africani, arabi, rappresentanti delle loro tribù, cioè portatori proprio di quelle identità collettive che da tempo hanno cessato di esistere nello spazio concettuale europeo. E poiché in quello spazio concettuale non esistono, allora dovrebbero comportarsi come europei, caricandone i corrispondenti valori nella loro memoria ripulita (come la vedono i funzionari europei).
Ma ecco la sventura: la memoria di quegli abitanti dell’Europa, arrivati da poco, per qualche motivo non risulta ripulita, pertanto, continuano a comportarsi come musulmani, africani o turchi. E vivono sulla base della loro identità culturale e non secondo le esigenze della società civile europea…
Pertanto coloro che arrivano e non si integrano in alcun modo nella società europea iniziano a rappresentare una massa critica, già misurabile in categorie statistiche. Inoltre, ci si accorge che coloro che sembravano essersi da tempo integrati, vivendo in Europa come seconda, e persino terza generazione, si sono integrati in modo abbastanza condizionato. Dopo aver appreso la lingua richiesta, continuano a mantenere la loro identità culturale, mostrandosi come un gruppo sociale fuori controllo, che sa orientarsi benissimo nel sistema del diritto e dei valori europei, dei sussidi europei, che utilizza abilmente tutti i vantaggi europei, seppur non applicandoli in nulla.
Masse insolubili di nuovi arrivati che creano enclavi di esistenza originale, e lì vivendo se ne infischiano totalmente di tutti gli imperativi sociali degli europei. Poiché per loro, le “conquiste” europee riflettono solo l’esperienza di quel piccolo pezzo di umanità – l’Europa – che si trova alla periferia dei processi mondiali, se visti da altre parti del mondo. Dunque che siano gli europei ad osservare ciò che hanno escogitato per sé stessi! Ad esempio, gli arabi non lo faranno, dato che non sanno chi sono Locke, Mill o Spencer e comunque, perché mai il pensiero di questi ultimi dovrebbero essere superiore alle Sacre Scritture – il Corano e la Sunna del Profeta!..
Il libro tocca numerose altre questioni:
L’Unione Europea continua a ottimizzare il proprio sistema burocratico, accogliendo nelle sue fila anche quegli Stati che solo ieri facevano parte del blocco ideologico opposto al progetto occidentale. Ma quali sono le motivazioni dei nuovi candidati-membri dell’UE:
– il desiderio di unirsi alla comune cultura europea, alla comprensione europea dello stato di diritto, al trionfo del diritto, all’incrollabilità degli ideali democratici e all’attrattiva delle libertà europee?
– Oppure sono guidati da una congiuntura momentanea, dalla brama di “beni” europei, dal desiderio di ricevere sussidi e agevolazioni finanziarie?
– Il loro impulso a entrare a far parte della civiltà europea è davvero così sincero? o il loro euro-entusiasmo scomparirà non appena il volume delle iniezioni finanziarie nella loro economia diminuirà?
E come non ignorare il ruolo degli Stati Uniti nel destino dell’Europa:
– Che cos’è l’America per l’Europa: un rampollo grato per i valori europei, in un certo momento messo al mondo dalla civiltà europea? Un fedele alleato sempre pronto a proteggere chi lo ha generato col proprio potere militare e diplomatico? Oppure è il nuovo padrone che regna incontrastato sul continente europeo e talvolta percepisce la vecchia Europa come la sua nuova colonia, come oggetto di sfruttamento e mercato di merci americane?
Le domande sono davvero tante e ogni volta che le poniamo è sempre più difficile trovare una risposta chiara e precisa, come pure è sempre più complicato affermare con certezza che l’Europa è ancora forte e attraente e che, con certezza e facilità, potrà superare tutte le prove che oggi gravano sulla sua sorte.
L’unico dato che non solleva alcun dubbio è che l’Europa, davanti ai nostri occhi, sta attraversando gravi trasformazioni di civiltà, le cui conseguenze riguarderanno non solo sé stessa, ma anche la situazione mondiale. Del resto, l’Europa è proprio la fonte di molti progetti di civiltà, l’asse geografico di tutte le civiltà indoeuropee, la matrice culturale di molti stati e popoli. Se l’Europa reggerà, o alla fine si disgregherà sotto il giogo delle crescenti sfide interne ed esterne, da questo esito dipenderà il tipo di mondo in cui vivremo domani. Alla resa dei conti, l’Europa terminerà come una civiltà indipendente, distintiva, di riferimento per molte civiltà? E se ciò accadrà, quando?
Infine, una domanda fondamentale che Korovin si pone:
Come e in che cosa noi (russi) possiamo aiutare l’Europa? … Capire l’Europa per salvare l’Europa è il nostro super-compito, alla cui soluzione è dedicato questo libro. Ma, ovviamente, non per salvare un’Europa qualsiasi, non quella attuale in particolare, ma quella che c’era prima e quella che dovrebbe essere.
Dopo un ampio spazio sull’analisi dell’autore delle cause del decadimento culturale, politico ed economico del nostro continente, si è aperto un dibattito, animato dalle numerose domande del pubblico presente, su quali percorsi poter intraprendere per riallacciare gli antichi rapporti di amicizia tra l’Italia e la Russia, rapporti che attualmente sono pressoché azzerati.
Letture consigliate
Commenta per primo