di Francesco Cappello,
Là, dove il fiume rallenta, l’impeto delle acque perde la capacità di trascinamento di detriti e sassi che perciò si depositano sul letto del fiume/torrente alzandolo continuamente rispetto al livello precedente. Molto sbrigativamente, piuttosto che intervenire dragando i fondali, si decide di alzare gli argini. Il risultato è che il torrente/fiume scorre “lassù”, sempre più in alto. È facile poi prendersela con il tarpone che scava le sue tane creando un varco alle acque o con i cambiamenti climatici globali e le bombe d’acqua mentre si grida alla necessità di alti argini di cemento armato (soluzioni ingegneristiche ad alto valore aggiunto…).
Là dove il fiume rallenta perde la sua capacità di trascinamento di detriti e sassi che si depositano sul letto del fiume/torrente. Molto sbrigativamente piuttosto che intervenire dragando i fondali si decide di alzare gli argini. Il risultato è che il torrente/fiume scorre “lassù, sempre più in alto.
piuttosto che intervenire dragando i fondali e ripulendo dalla vegetazione che trascinata dalla piena si accumula ostruendo presso strozzature naturali e soprattutto artificiali come ponti troppo bassi ecc. si decide di alzare gli argini…
È facile poi prendersela con il tarpone o gridare alla necessità di alti argini di cemento armato (soluzioni ingegneristiche ad alto valore aggiunto…).
Gli “attivisti del clima” dovrebbero smettere di imbrattare i monumenti nazionali e studiare le vere cause e i veri rimedi tenendo presente che:
Pigliandosela con l’anidride carbonica si può ignorare
1. la necessità di urgente intervento rispetto al dissesto idrogeologico in atto nel Paese da decenni mentre si continua indisturbati nell‘opera di devastazione del territorio;
2. la necessità di indagare sulla eventuale sperimentazione militare di armi per la alterazione climatica a scopo bellico e la loro eventuale applicazione così da fugare una volta per tutte dubbi di questo tipo;
Mentre si impongono:
3. la tassazione della produzione della CO2 a imprese e famiglie;
4. le stupide quanto esose tecnologie green proposte dalle grandi multinazionali e le “soluzioni” green con cui si intendono camuffare i nuovi sistemi di sorveglianza, i nuovi lockdown di colore green (vedi città “smart” 15 minuti).
Si tratta sempre di danni provocati dall’incuria del territorio, dalla mancata manutenzione e dal conseguente dissesto idrogeologico; basti pensare alle conseguenze dell’abbandono del territorio montano. Il patrimonio artistico, monumentale e culturale italiano è unico al mondo per il suo indissolubile rapporto con l’ambiente; nei secoli si è determinata una stratificazione tra patrimonio artistico ed ambiente. Per dare un futuro al paesaggio reso fragile da mille processi che ne negano conservazione e riproduzione, alla montagna povera e agli interni (in Italia piú della metà del territorio) «lungo le valli frontaliere delle Alpi Marittime, le antiche vie del sale appenniniche e il paesaggio delle case in terra cruda dall’Adriatico al Tirreno passando per la fragilità di tante città come Venezia»(1) e costruire ponti tra passato e progetti di futuro è necessario tornare a investire attraverso grandi piani nazionali di intervento e mobilitare le energie e le competenze in grado di reinventare il futuro che ci è stato sottratto. Siamo un paese a grandissima vocazione turistica. Cura e messa in sicurezza del territorio e dell’ambiente, cura della persona, delle strutture pubbliche, piani di intervento di riqualificazione urbana, ristrutturazione energetica di edifici pubblici e privati, possono dare l’idea di quanto lavoro utile si manca di fare. Avremmo bisogno di inaugurare un nuovo sistema economico che dovrebbe condurre alla piena occupazione delle nostre energie e alla piena applicazione delle nostre competenze. E pensare che ai giovani si dice che non c’è lavoro. In verità siamo circondati da lavoro incompiuto…
La geofisica del nostro territorio è generalmente caratterizzata da terreni argillosi o sabbiosi spesso in- coerenti e non stabilmente ancorati alla roccia. Il nostro è uno dei Paesi più franosi al mondo. Circa i 2/3 delle frane in tutta la UE sono italiane. Territori fragili, densamente abitati, con carenza di pianificazione e repentina scomparsa delle manutenzioni. Nel 42% dei centri abitati, in ottemperanza ai vincoli del patto di stabilità, non viene svolta regolarmente la manutenzione ordinaria di fossi e corsi d’acqua, canali di drenaggio e scolo malgrado si sappia che 1 euro speso in prevenzione fa risparmiare fino a 100 euro in riparazione dei danni. Alla pericolosità da frana si aggiunge quella idraulica. Il Rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale fornisce i dati degli indicatori nazionali di rischio per frane e alluvioni relativi a popolazione, imprese, beni culturali e superfici artificiali, elaborati sul territorio nazionale con l’obiettivo di fornire un importante base conoscitiva a supporto delle politiche di mitigazione del rischio.
Si monitora ma non si interviene adeguatamente (http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/ rapporti/dissesto-idrogeologico-in-italia-pericolosita-e-indicatori-di-rischio-rapporto-2015 e successivi).
È necessario piuttosto gestire l’impatto del cambiamento climatico come si è sempre fatto in passato con i mezzi allora a disposizione, nell’immediato, a breve e lungo termine, per adattarsi agli eventi di più intensa precipitazione, causa di inondazioni in territori fragili e franosi. Servono perciò mappe del rischio locale (zone a maggiore vulnerabilità), ad uso degli enti governativi locali, per giungere a piani di adattamento secondo le indicazioni del piano di adattamento nazionale. Tali piani presuppongono naturalmente piani di finanziamento a lungo termine. Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) è disponibile all’indirizzo che segue: http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio_immagini/adattamenti_climatici/documento_ pnacc_luglio_2017.pdf
Ridurre e gestire il rischio sarebbe un investimento strategico per ridare un futuro al Paese, per sbloccare economie e lavoro ed evitare lo spreco di territorio, cultura e bellezza, come il New Deal, lanciato dal Presidente Roosevelt per gli Usa, dopo la crisi del 1929. Purtroppo un New Deal italiano, nell’attuale modello economico, è visto solo come un costo (un lusso), impossibile da mettere in opera per mancanza di adeguate risorse finanziarie. È questa un ulteriore menzogna come è possibile capire se si analizzano le proposte del Piano di Salvezza nazionale che propone di usare moneta non a debito e risorse endogene. Vedi il mio:
Infine, non sarebbe meglio evitare l’ulteriore incremento di spese militari per compiacere i padroni USA-NATO (che intendono portarla da 80 a 100 milioni di euro al giorno e piuttosto tirare Fuori l’Italia dalla guerra (vedi Campagna (2))? Dopo tutto questa è una reale questione di Sicurezza Nazionale.
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