di Danilo D’Angelo
Premessa: non ho la televisione.
Il mio modo d’informarmi passa dalle radio ad internet (quindi quotidiani on line, blogs, siti d’informazione attendibili e meno, canali dedicati interamente all’informazione, ecc.) attraversando vari strati della società civile italiana con notizie di prima mano. Poi il mio benedetto senso critico, mi fa setacciare tutto quanto assimilato per raccogliere ciò che il buon senso mi suggerisce.
Quindi è il modo giusto d’informarci? No, non credo proprio, ma mi dà la possibilità di confrontarmi con una pluralità di voci anche dissonanti e di poterne trarre le conseguenze, ovviamente sempre filtrate dal mio vissuto, dai miei pregiudizi e dalle poche convinzioni che mi sono formato nei decenni.
Non credo che sia o che ci sia un modo giusto d’informarci, perché negli ultimi anni l’abbondanza d’informazione ha dato vita ad alcuni fenomeni imprevisti e forse anche imprevedibili, tra cui l’assuefazione all’informazione e la difficoltà di reperire notizie sicure, vere, affidabili.
Mi sono sempre piaciute le fragole, ma da quando ne ho fatto indigestione, a casa di un mio amico, anche solo il loro odore oggi mi disturba. Questo è quello che può succedere con la sovrabbondanza di notizie disponibili: parafrasando un detto anglosassone “No news, good news”, nessuna notizia, buona notizia – ergo, tante notizie, brutte notizie. E in effetti non si può dire che ciò che il mondo dell’informazione ci presenta quotidianamente sia una realtà positiva, che ci possa aiutare ad evolvere in quanto esseri umani.
Prendo spunto, per esempio, dal detto inglese che ho citato e dalla proposta di legge che il governo Meloni vuole applicare per sanzionare chi, nella pubblica amministrazione, utilizza termini inglesi.
Non voglio entrare nel merito se sia una proposta sensata o meno, ma voglio attirare la vostra attenzione su quanto sta dietro alla notizia, diciamo ne fa da corollario, piuttosto che sulla notizia stessa.
La politica prende una decisione, i mezzi di comunicazione ne danno notizia. Ma i mezzi di comunicazione non hanno un palinsesto interamente dedicato ad una informazione scevra da giudizi, tranne in alcuni casi. Capita, quindi, che durante le trasmissioni i conduttori, o i loro ospiti, facciano riferimento alla notizia in questione, e il modo con il quale si pongono nei confronti della notizia influenza, inevitabilmente, l’ascoltatore. Se a me piace Fazio, per esempio, e lui ironizza su di una notizia o, di contro, ne parla con un atteggiamento favorevole, questo suo comportamento influirà sul giudizio di chi lo ascolta.
Se questo è un atteggiamento comprensibile in chiunque, diventa molto insidioso quando proviene da chi ha un ruolo pubblico che può influenzare chi l’ascolta.
Ripeto, non parlo della notizia in sé, ma in generale di come vengono riportate le notizie e dell’influenza che certi atteggiamenti possono avere sulla “conoscenza” di un intero popolo. Ho messo conoscenza tra virgolette perché l’informazione non è mai conoscenza. Sapere che è successo un evento e capire perché è successo, quali ne sono state le cause e quali possano essere le reazioni che questo potrebbe provocare (quindi conoscere) sono due cose diverse.
Facciamo degli esempi pratici: durante la pandemia non c’era TG, TGR o qualunque tipo di programma radiotelevisivo che non aprisse con la conta dei decessi, le percentuali dei ricoverati nei reparti intensivi e così via. Questi bollettini, questa continua attenzione da parte dei media ai vari aspetti legati alla pandemia, hanno notevolmente (e inevitabilmente) influenzato la maggior parte della popolazione italiana, la quale si è immediatamente – e acriticamente – assoggettata alle, a volte, bizzarre richieste dei vari DPCM. Il bombardamento mediatico ha influenzato notevolmente le decisioni di milioni di persone. Se i media avessero dato pochissimo – o perlomeno, il giusto – risalto agli editti governativi, probabilmente non ci sarebbero stati i vari eccessi a cui abbiamo assistito sia nei programmi radiotelevisivi, che nella vita vissuta, con prese di posizione che rasentavano il fondamentalismo e che hanno avuto come unico effetto quello di dividere la popolazione tra “buoni e cattivi”. Questo è quanto è successo.
Oggi si stanno palesando effetti collaterali dovuti ai vari vaccini che stanno mostrando quante persone che in buona fede hanno seguito le direttive governative stiano avendo problemi di salute anche gravi, fino ad arrivare a casi accertati di decessi dovuti ai vaccini.
In questo caso, però, il tam-tam mediatico si ode alquanto in sordina, per usare un eufemismo. Ogni tanto, per radio, si sente che qualche organizzazione sta muovendosi legalmente contro Speranza o altri, ma queste “pillole” di notizie non sono nemmeno lontanamente paragonabili al risalto che si è dato ai proclami e alle certezze del governo di turno. Di conseguenza nessuno per strada, nei bar e nei vari punti d’aggregazione sociale parla dei danni subiti da ignari cittadini che hanno avuto la colpa di fidarsi di ciò che sostenevano gli “esperti” di turno. Se i media dessero la stessa attenzione alle notizie relative ai casi di decesso causati dai vaccini che hanno riservato alla propaganda messa in atto per convincere gli italiani a farsi vaccinare, oggi non si dovrebbe parlare d’altro in televisione, per radio, sui giornali e per le strade, così come accadeva durante la pandemia. E invece no.
Altro esempio: il governo, giusto o sbagliato che sia, impone a chi è dipendente pubblico di non utilizzare termini in inglese, ma di parlare in italiano.
In diverse trasmissioni ho sentito i conduttori e gli ospiti ironizzare su questa iniziativa con frasi del tipo. “Oh, mio dio, ho usato un termine inglese, ora mi multeranno!” e tutti giù a ridere.
Ripeto, non sto analizzando o criticando il contenuto delle varie notizie, ma l’atteggiamento dei media nei confronti della notizia e l’influenza che hanno sulle menti deboli.
I media, i vari sistemi d’informazione sono sempre stati molto importanti ed efficaci come cassa di risonanza dei vari messaggi che la politica voleva far arrivare alla popolazione; un modus operandi che, a seconda delle convenienze, è stato identificato come propaganda o come libera informazione. Ma così è ed è sempre stato.
Oggi, però, mi sembra di poter dire che l’informazione, o almeno quella che viene vista come l’informazione generalmente riconosciuta autorevole e raramente messa in discussione, ha preso il sopravvento sulla politica. Mi sembra che ci siano diversi segnali in tal senso, come gli esempi sopra riportati penso abbiano dimostrato.
È ormai evidente a tutti che le decisioni importanti vengono prese in ambiti finanziari ed economici e che tali decisioni vengono trasmesse dai canali di cui sono proprietari gli stessi che prendono le decisioni. Quindi il ruolo della politica a cosa si riduce? A nulla, a poco più di una parvenza di legalità istituzionale che avvalla le decisioni presi da altri protagonisti, i veri protagonisti dell’epoca che stiamo vivendo e che dispongono di tutti i mezzi necessari per convincere le popolazioni.
Allora mettiamo dei punti relativamente fermi:
- Le decisioni importanti che determinano il percorso da seguire sono una prerogativa dei poteri economico-finanziari.
- Questi poteri sovranazionali dispongono dei mezzi d’informazione necessari per condurre il gregge.
- La politica nazionale è assoggettata ai voleri del mondo del mercato e utilizza i mezzi d’informazione come megafono delle decisioni altrui.
- In alcuni rari casi alla politica è concesso utilizzare l’informazione per scopi propri, se questi non si scontrano con le direttive e gli scopi del mercato.
Se queste affermazioni sono vere dobbiamo renderci conto che il ruolo della politica è quantomeno sminuito, se non inutile e che i media sono al servizio dei mercati e, raramente, della politica di casa.
Io non so se questo risponda a verità, perché non mi ritengo depositario di alcuna verità. Osservo solo quanto la realtà mi propone e cerco di trarne delle conclusioni.
Di certo parlare di libera informazione oggi mi fa sorridere, almeno quanto parlare della rilevanza della politica, soprattutto in Italia.
Osservate, ponete l’attenzione necessaria e poi traete le vostre conclusioni, ma solo per rimetterle in gioco in una prossima occasione. Non affezionatevi a quello che credete o pensate, ma siate sempre disposti a mettere tutto in gioco di nuovo. Non accettate per buono nulla, non date mai niente per scontato. Andate anche a leggere le notizie dalle fonti secondo voi meno accreditate o che sono in pieno contrasto con la vostra visione del mondo.
Solo così potrete formarvi una vostra, personale e precisa idea su quanto accade e, soprattutto, su come vengono presentate le notizie.
Forse vi ho dato dei consigli inutili e di ciò chiedo scusa, ma il mio compito è di scrivere quello che penso, dopo aver osservato attentamente e da tutti i lati la realtà…non la verità.
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