di Francesco Cappello
Costi energetici associati al nucleare
Per ottenere energia nucleare da convertire in energia elettrica non è possibile fare a meno di enormi infrastrutture necessarie ad attuare il così detto “ciclo del combustibile”. Per realizzarlo si è costretti ad usare grandi quantità di energia fossile con relativa produzione di biossido di carbonio. Si preferisce, tuttavia, non parlare della produzione di gas serra connessa alla produzione di energia nucleare, tentando così di promuovere propagandisticamente quest’ultima quale soluzione strategica rispetto ai combustibili fossili, principali imputati, a torto o a ragione, dei cambiamenti climatici globali.
L’uranio va, infatti, estratto, raffinato ed arricchito; i rifiuti nucleari generati vanno trasportati, stoccati e monitorati a lungo termine. Le centrali costruite con cemento e acciaio devono essere smantellate, alla fine del loro ciclo vitale, per procedere, infine, alla bonifica del sito dell’impianto. Queste fasi comportano nel loro complesso l’impiego di enormi quantità di energia fossile.
Estrazione e raffinazione dell’uranio
Al diminuire del tenore di uranio, nelle miniere da cui si estrae, si arriva ad una soglia critica di concentrazione tale che l’energia necessaria alla sua estrazione supera quella ottenibile dal reattore che utilizzerebbe quell’uranio. L’energia che occorre spendere per estrarre e lavorare un grammo di uranio (che dipende dal grado di concentrazione e di estraibilità) deve essere, infatti, comparata con quella che si riesce a ricavare dalla stessa quantità di combustibile nucleare. C’è, perciò, un limite fisico per lo sfruttamento dei giacimenti con bassa concentrazione di uranio.
Le emissioni di anidride carbonica (CO2) crescono in maniera drammatica con il diminuire della concentrazione di uranio nel minerale utilizzato. Esiste un valore soglia della concentrazione superato il quale le emissioni di CO2 superano quelle del termoelettrico (vedi grafico). Nelle condizioni attuali, le emissioni totali del ciclo nucleare sono equivalenti a un terzo di quelle del ciclo combinato a gas (1).
A seguire le fasi del ciclo nucleare responsabili dell’emissione di anidride carbonica:
Estrazione, raffinazione, arricchimento dell’uranio e fabbricazione del combustibile
La fase preliminare all’arricchimento dallo 0,7% di uranio fissile 235 al 3% consiste nella conversione in gas esafluoride di uranio. Solo in questa forma l’uranio 235 può essere separato dall’uranio 238 ed utilizzato nei reattori a fissione.
Il gas viene ricomposto in piccoli cilindri grandi come il filtro di una sigaretta con cui si riempiono barre di zirconio lunghe 3 metri e mezzo e spesse mezzo centimetro. Un reattore di medie dimensioni ne contiene almeno 50 mila.
Occorrono per la costruzione degli impianti nucleari almeno 10 anni; seguiranno a fine vita (l’attività delle centrali esistenti si sta forzando sino a superare i 40 anni), la disattivazione e lo smantellamento (decommissioning) delle centrali. Prima di iniziare il processo di smantellamento devono passare dai dieci ai cento anni in modo che la radioattività da carbonio14, trizio, Calcio41 ecc… diventi meno intensa.
È necessario, come è noto, il trattamento e il confinamento dei rifiuti nucleari. L’acqua che raffredda il nucleo, contenente trizio (200 anni il tempo di dimezzamento) e carbonio 14 (114600 anni) non deve essere scaricata nei fiumi o nei mari; bisogna, altresì, evitare che finisca nelle falde freatiche dell’acqua potabile.
Sono previsti enormi costi energetici per lo smaltimento delle scorie nucleari. Una centrale media produce 30 tonnellate di scorie all’anno nella forma di 200 diversi isotopi.
Il combustibile nucleare una volta sottoposto al processo di fissione all’interno del reattore diventa un miliardo di volte più radioattivo. Per conservare l’efficienza del reattore, un terzo delle barre di uranio utilizzate ogni anno devono essere rimosse e raffreddate a causa della troppo alta radioattività generata. Tali barre dovranno essere successivamente imballate ed adeguatamente stoccate. Tali rifiuti nucleari devono essere trasportati presso siti di stoccaggio a lungo termine. È ovviamente necessaria l’individuazione di adeguati sedi geologicamente stabili per qualche migliaio di anni… La loro individuazione è tutt’altro che facile.
Per alimentare un solo reattore nucleare da 1000MegaWatt bisogna estrarre 160 tonnellate di uranio naturale all’anno. Per ottenerlo, nel caso in cui esso andasse estratto dal granito che ne contiene solo 4 grammi per tonnellata, sarebbe necessario estrarre 40 milioni di tonnellate di granito che andrebbe frantumato (macinatura) e trattato chimicamente. Ma la capacità estrattiva è del 50%, di conseguenza servirebbe macinare 80 milioni di tonnellate di granito… Il costo energetico di questo trattamento di estrazione sarebbe del tutto insostenibile superando di 30 volte l’energia ottenibile dall’uranio così estratto.
Tuttavia partendo da granito ricco in uranio (1000 ppm), per ottenere le 160 tonnellate di combustibile necessarie occorre processare 160000 tonnellate di materiale. I lavori in miniera implicano lo sbancamento di quantità ancora maggiori di roccia. Le miniere e le cave devono, inoltre, essere tenute sgombre da infiltrazioni di acqua, che è spesso riversata nei bacini circostanti, con immissione in essi di metalli pesanti e isotopi radioattivi.
Le riserve di minerali di uranio a concentrazioni accettabili sono ormai quasi esaurite. Bastano per pochi anni agli attuali livelli di consumo
Le valutazioni più attendibilli risalenti ad un decennio fa avevano, infatti, stabilito l’esistenza di riserve utilizzabili, ai consumi di allora, per ulteriori 9 anni (1). L’uranio si estrae dall’argilla, dall’arenaria, o dal calcare con concentrazioni tra il 10 e lo 0,01%. Per concentrazioni inferiori allo 0,1% le emissioni di CO2 di una centrale nucleare divergono superando persino quelle emesse da un impianto a gas a ciclo combinato che producesse un equivalente produzione di elettricità.
Una centrale nucleare di 1GW è in grado di produrre nel corso della sua attività una quantità di radiazioni di lunga durata equivalente a quelle generate dall’esplosione di mille bombe di Hiroshima. Ecco perché Hiroshima è oggi ricostruita ed abitata mentre Chernobyl (2) non lo sarà mai più…
In generale i processi di costruzione ed implementazione di una centrale nucleare richiedono un debito energetico pari a 10 volte quello di una centrale a gas che produca la stessa quantità di energia elettrica.
In una centrale nucleare il rendimento è dell’ordine del 33%. Sono, infatti, necessarie torri di raffreddamento alte 200 metri per disperdere il calore di scarto generato, nella misura del 67% dell’energia nucleare prodotta. Si tratta di inquinamento termico che finisce inevitabilmente nell’ambiente (fiumi, atmosfera, mari) quale ulteriore contributo al riscaldamento climatico globale.
Il rendimento del ciclo è anche inferiore al valore ideale a causa delle inevitabili irreversibilità: all’incirca 32% per i reattori PWR (ad acqua pressurizzata) e leggermente meno per i BWR (ad acqua bollente). La lieve differenza fra BWR e PWR deriva da dettagli tecnici su come sono realizzati i cicli termodinamici.
La doppia faccia del nucleare tra civile e militare
La National Ignition Facility reduce del presunto (3) successo nella produzione di energia da fusione per confinamento inerziale, tramite laser di potenza, testa armi nucleari, simulandone le esplosioni. Successivamente essa è stata impiegata nella ricerca avanzata sulla fusione nucleare tramite laser.
Il suo vicedirettore è Vincent Tang, ex-manager della DARPA, l’agenzia del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che si occupa dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare.
Il rapporto tra Nucleare civile e militare è inscindibile. La prima centrale nucleare entrata in funzione nel 1956 in Gran Bretagna è stata quella di Calder Hall. Essa precede di un anno quella statunitense di Shippingport in Pennsylvania. Seguirà la Francia a Marcoule nel 59. Ciascuna di queste centrali, mentre producevano energia elettrica, fornivano plutonio per armare le testate nucleari dei rispettivi paesi.
Si ammortizzano così i costi di produzione del plutonio ad uso militare, producendo energia elettrica ad uso civile.
A produrre uranio a scopo militare sono anche i reattori autofertilizzanti e specifici reattori militari termici che utilizzano combustibile a uranio metallico.
Le reazioni di fissione coinvolgenti l’Uranio 235 producono, in generale, neutroni che vengono assorbiti dall’Uranio 238 trasformandosi in Uranio 239; quest’ultimo decade rapidamente in Plutonio 239.
Tutto il plutonio esistente oggi al mondo è di origine sintetica, prodotto attraverso reazioni nucleari di fissione nei reattori, in prevalenza civili. Il plutonio decadendo spara proiettili alfa (radiazione ionizzante). Ne basta inalare meno di un milionesimo di grammo per provocare irrimediabilmente il tumore del polmone. Dai polmoni il plutonio può migrare usando come vettore i globuli bianchi, sino a depositarsi nelle ghiandole linfatiche dove provoca mutazioni genetiche, causando linfomi e leucemie. Ha affinità con il ferro per cui si fa portare dalle transferrine fino al midollo osseo causando cancro dell’osso e tumori liquidi (leucemie). Si immagazzina nel fegato ove provoca cancro. Essendo teratogeno è in grado di attraversare la placenta e danneggiare il feto in formazione. Si accumula nei testicoli, negli spermatociti, provocando mutazioni genetiche ereditarie.
Con il plutonio si armano le testate nucleari
Dall’inizio dell’era atomica le centrali hanno prodotto 2000 tonnellate di plutonio. Non a caso Plutone è il dio greco degli inferi. Il 9 agosto del 45 una bomba al plutonio, scherzosamente battezzata FAT BOY (ragazzo grasso), fu fatta esplodere su Nagasaki per decisione del presidente Truman e del suo seguito. Si trattava di 6 chili di Plutonio. Morirono disintegrati in qualche istante 80 mila civili. Molte altre migliaia seguirono a causa degli effetti devastanti delle radiazioni. Il tempo di dimezzamento del Plutonio è di 24 mila anni! Praticamente eterno… Il mercato del plutonio è legato a quello della produzione di testate nucleari. Il suo costo si attesta oggi sui 4000 dollari al grammo.
Bomba sporca, Uranio impoverito
Di recente si è temuto l’uso da parte di Kiev di bombe sporche nel conflitto in corso. Si tratta di normali bombe a scoppio in grado però di diffondere scorie radioattive – che gli ucraini avrebbero a disposizione quali rifiuti nucleari delle centrali atomiche ucraine. La detonazione, spargendo materiali radioattivi nell’area colpita, contaminerebbe la zona rendendola inabitabile sino a che una bonifica non ripristinasse le condizioni di assenza di radiazioni nocive nell’ambiente.
L’uranio impoverito è un sottoprodotto del processo di arricchimento dell’uranio 238 che piuttosto che essere conferito nelle discariche nucleari viene venduto alle industrie militari per fabbricare proiettili pesanti, in grado di perforare, grazie alla sua natura piroforica, le corazze dei carri armati. Al momento dell’impatto esplosivo si forma aerosol radioattivo, microparticelle che si spargono nell’ambiente, in grado di provocare tumori e gravi danni genetici alle popolazioni che abitano i territori ove hanno trovato uso.
Anche i militari che li hanno impiegati hanno subito gravissime conseguenze causate dal loro uso. Furono impiegati per la prima volta dagli statunitensi nel 91 a Bassora e nel Kuwait ove le stime esistenti documentano un uso dell’uranio impoverito in quantità variabile da 300 a 700 tonnellate. Ne subiranno le conseguenze 697 mila soldati statunitensi tra cui si conteranno 9mila vittime.
Più tardi, malgrado si conoscessero le conseguenze del loro uso sui militari, furono impiegati dalla NATO durante i bombardamenti del 1999 in Jugoslavia. A subirne le conseguenze, oltre alle popolazioni locali, 7600 militari italiani che si sono ammalati di cancro; di questi, 400 sono deceduti (4).
(1) Queste affermazioni risalgono a valutazioni risalenti a 17 anni fa, dovute a J.W. Storm van Leuwen, in Nuclear Power – Some Facts. La situazione odierna è necessariamente assai peggiorata anche a causa del crollo degli investimenti nel settore.
Il report dell’Oxford Research Group afferma che le emissioni climalteranti derivanti da energia nucleare si attestano su valori intermedi tra quelli delle fonti fossili e quelli delle fonti rinnovabili ove si ribadisce che l’aumento esponenziale delle emissioni sarà causato dalla progressiva indisponibilità di miniere ad adeguata concentrazione di uranio.
(2) Chernobyl, 26 aprile 1986, liberate in atmosfera 6,7 tonnellate di materiale radioattivo. Coinvolte più o meno direttamente 8 milioni e mezzo di persone, 784 mila ettari di terreno agricolo e 694 mila ettari di foreste.
Un’area di 30 km quadrati intorno alla centrale è ancora altamente contaminata. Nessuno sa ancora dove collocare le migliaia di tonnellate di materiale radioattivo della centrale distrutta. C’è un pericolo di collasso del “sarcofago” di cemento con cui è stato ricoperto il reattore per contenere alla buona la radioattività. Il progetto di una struttura di contenimento (NSF, New Safe Confinement) 110×270 metri non è mai stato ultimato. Seicento mila le persone colpite da radiazioni. I morti sono stimati tra 56 e 200. 4000 i bambini ucraini colpiti da cancro alla tiroide, 350 mila persone evacuate.
(3) vedi, https://www.youtube.com/watch?v=o6pGC2uxeBs&t=278s ; https://youtu.be/HGou_u-sxME ;
(4) Dati forniti dal Centro studi Osservatorio Militare.
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