Israele-Palestina, illusioni perdute

La Palestina e i palestinesi sottomessi alle politiche colonizzatrici di Israele

Bandiera dello Stato di Palestina

di Patrizia Cecconi

Settantacinque anni di soprusi e stragi, cinquantacinque di occupazione sanguinaria dei territori sfuggiti alla prima annessione, trent’anni di illusorio processo di pace accompagnato da altri soprusi, da omicidi quasi quotidiani, da furto di terre e di case, da violazioni della legalità internazionale impunite e, di quando in quando, da stragi di migliaia di civili, le uniche che fanno scrivere due righe alla stampa mainstream “solo” perché tre o quattrocento bambini e uno o due mila adulti ammazzati in pochi giorni fanno notizia. Tutto questo, in estrema sintesi, è ciò che viene comunemente e impropriamente chiamato “conflitto” israelo-palestinese.
Invece è lo sviluppo di un progetto sionista di annessione illegittima e illegale che va avanti ininterrottamente da quasi un secolo senza che Israele abbia mai subito sanzioni, né tantomeno condanne per i numerosi crimini di guerra e contro l’umanità commessi fin dalla sua nascita, in continuità con le azioni esecrabili dei suoi padri fondatori, anch’essi impuniti, non solo contro i palestinesi ma, come conferma la storia del terrorismo ebraico pre-nascita di Israele, anche contro gli amici britannici quando questi osarono porre un freno alla colonizzazione della Palestina prima del 1948. La Gran Bretagna “abbozzò”, per usare un termine gergale ma efficace, e le bande terroristiche andarono avanti nel progetto sionista che non si è ancora concluso.
Per essere più chiari ricordiamo al volo il feroce attentato all’hotel King David di Gerusalemme, quartier generale britannico, che nel luglio “46 uccise 91 persone e ne ferì gravemente 46. Menachem Begin, stimato statista israeliano ne fu l’autore, e nel 1978 ricevette anche un bel Nobel per la pace. Non possiamo ricordare tutti i massacri che Irgun, Haganà e banda Stern commisero prima, durante e dopo l’autoproclamazione dello Stato di Israele, giorno che, sull’altra la faccia della medaglia, quella palestinese, porta scritto Nakba, cioè catastrofe per un popolo intero. Però un’altra bell’azione terrorista israeliana ai danni dei suoi alleati e protettori un cenno lo merita.

Coincide con un’altra data tragica per il popolo palestinese, la Naksa, cioè la ricaduta, la seconda catastrofe, quella che diede il via all’occupazione di Cisgiordania e Gaza, la guerra dei sei giorni. L’8 giugno del “67 Israele mise in riga gli statunitensi – ancora non del tutto “governati” dalle lobbies ebraiche – affondando in acque internazionali la nave Liberty. Morirono alcune decine di militari USA e ne restarono feriti quasi duecento. Tutto dimenticato e perdonato. Israele non paga mai pegno, né per le numerose stragi di palestinesi, né per i suoi crimini sparsi per il mondo, e neanche per le stragi ai danni dei suoi stessi alleati, benefattori e padrini quando questi hanno osato avanzare qualche critica.

Stiamo ricordando questi episodi perché i commenti alle elezioni in Israele, elezioni ormai più frequenti delle feste comandate, e alle elezioni di midterm degli USA, sono del tutto fuorvianti rispetto al futuro della Palestina, nonché alla lettura del suo passato.
In Israele ha nuovamente vinto il superindagato per frodi e corruzione Benjamin Netanyahu, uomo di estrema destra che, a scanso di equivoci ha subito ribadito che la Cisgiordania ha solo un destino: quello di entrare a far parte dell’originario progetto della Grande Israele. Si chiama annessione e presenta solo un problemino: come sbarazzarsi degli abitanti indigeni perché, se venissero annessi insieme alle loro terre, creerebbero squilibrio demografico in uno Stato che vuole essere degli e per gli ebrei. Definire Netanyahu non democratico non è un’offesa, lui lo sa e se ne vanta e proprio a questo deve i voti che lo hanno riportato al potere. Gli elettori lo hanno scelto, con buona pace di chi si ostina a dire che non va confuso il governo di uno Stato col suo popolo. Certo, non con tutto il popolo, ma con la maggioranza sì. Quindi la maggioranza degli elettori israeliani è complice dei crimini contro i palestinesi commessi da Netanyahu. Eppure tutti i governi democratici, e ovviamente non solo loro, si sono congratulati con l’eletto, veramente senza vergogna.
Le organizzazioni filopalestinesi hanno invece levato alti lai per la sua elezione, come se con i suoi rivali fosse cambiato qualcosa. Nelle parole magari sì, non tutti hanno la sfrontatezza di chiamare annessione il progetto di annessione dei Territori palestinesi occupati. Forse sta proprio qui la vera differenza: l’estrema destra non ha come stile la farsa e, quindi, sapendosi impunita, va diritta verso lo scopo, criminale, ma condiviso dai propri numerosi seguaci e votanti.
La non destra invece gioca sull’ambiguità, sceglie la farsa come stile e mira allo stesso scopo! Lo scomparso giornalista e scrittore israeliano Uri Avnery molti anni fa, nella sua indiscutibile lucidità di analisi definiva il laburista Simon Peres, altro Nobel per la pace, “una menzogna che cammina”. Infatti, credere che la destra, almeno rispetto ai palestinesi, sia peggiore della sinistra è una vera illusione.
Non era forse socialista Ben Gurion? O Golda Meir? E l’altro Nobel per la pace che faceva spezzare le ossa ai bambini durante la prima Intifada non era forse anche lui laburista? Parlo di Yitzhak Rabin, assassinato da un estremista ebreo che probabilmente immaginava Rabin amico dei palestinesi.
L’anno in corso, quello che non ha visto Netanyahu al potere, conta in 10 mesi, cioè 300 giorni fino ad oggi, circa 180 palestinesi uccisi tra cui una ventina di bambini; gli arrestati per “insubordinazione verso l’occupante” sono circa 5300 tra cui oltre 600 bambini e adolescenti. Un “piccolo” bombardamento su Gaza non è mancato neanche in assenza di Netanyahu e, essendo poca cosa, ha ucciso “solo” una cinquantina di palestinesi democraticamente non discriminati tra uomini, donne, vecchi e bambini. Ed il governo Bennett-Lapid era sostenuto anche dal partito laburista nonché dalla lista araba!
Ma allora perché gioire se la farsa continua, magari con un gesto senza importanza effettiva strappato a un organo non deliberante dell’ONU, mentre in parallelo proseguono le uccisioni dei resistenti palestinesi e il furto delle loro terre? Perché non sostenere la lotta di decine e decine di giovani che hanno capito che non c’è trattativa con Israele che non sia un imbroglio e che, soprattutto tra Nablus e Jenin si stanno organizzando attivamente? Da diversi anni, soprattutto giovani e giovanissimi che non hanno ceduto all’occupazione e rivendicano dignità e diritti, hanno superato la contrapposizione tra fazioni in nome di un’unità che si è palesata durante i venerdì della Grande Marcia del Ritorno nella Striscia di Gaza e che ora si sta dimostrando attiva in un movimento di recente emersione detto “fossa dei leoni”. Sembra che questi resistenti veri respingano l’illusionismo che ha ingannato molti loro padri.
Sempre mantenendo il focus sulla Palestina spostiamo lo sguardo verso gli USA: è desolante vedere quanti milioni di dollari sono stati spesi dall’AIPAC e da altre organizzazioni sioniste, anche rivali tra loro, per sostenere alle elezioni di midterm sia candidati democratici che repubblicani, purché schierati per Israele. Gioire se vincono i dem pensando che ciò comporterà un vantaggio per i palestinesi non è più neanche un’illusione, è una pura sciocchezza.
Allora che fare? Non spetta a noi dirlo. Per rispetto del popolo palestinese possiamo solo analizzare i fatti, senza dimenticare la storia. Saranno i palestinesi a decidere se è ora di gettare le illusioni nel calderone degli inganni e agire di conseguenza pur sapendo che istituzioni e portavoce mediatici, entrambi addomesticati dalle lobbies sioniste, useranno il magico termine “terrorismo” per screditare ogni loro lotta. Ma né l’oppressore né i suoi lacchè possono essere interlocutori credibili. Questo lo mostra la Storia, e non solo quella palestinese.

 

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