Libia: un’Ucraina mediterranea

Olet Oil

di Francesco Cappello

Piuttosto che alimentare la guerra in Libia supportando il governo fantoccio di Tripoli, l’Italia potrebbe riconoscere il vero governo libico, quello di Bengasi, ed assicurarsi commesse, petrolio e gas a basso prezzo

C’era una volta Enrico Mattei
Ricordate Enrico Mattei, fondatore e Presidente dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) dal 1953 al 1962? Durante la sua vita è stato un attivo sostenitore dell’Indipendenza algerina tanto da aiutare il Fronte di Liberazione Nazionale algerino nel suo compito storico di emancipazione dal giogo coloniale francese che aveva, sino ad allora, sfruttato indebitamente le risorse minerarie algerine (1).

Le legittime autorità libiche non sono quelle di Tripoli, ma quelle che stanno a Bengasi
Oggi l’Eni è una partecipata – non più un’azienda di Stato – controllata per un terzo dal Tesoro attraverso Cassa Depositi e Prestiti, e per il resto da investitori quasi tutti stranieri, tra cui grandi Fondi statunitensi. Ebbene, in totale contrapposizione al modus operandi di Mattei, l’attuale Eni ha voluto un accordo con il governo fantoccio di Tripoli, voltando le spalle al vero governo libico, quello di Bengasi. Legittime autorità libiche perché elette dal popolo libico nelle ultime elezioni del 2014: il parlamento di Tobruk, il governo di Fathi Bashagha così come l’esercito nazionale libico del generale Haftar. Ricordiamo contestualmente che la Risoluzione 2362 del consiglio di sicurezza dell’ONU del 2017 vieta al governo legittimo dell’EST di vendere il petrolio sui mercati internazionali. Essa dovrebbe urgentemente essere ridiscussa!

In pratica il governo insediato a Tripoli è privo di legittimità mancandogli la fiducia del parlamento di Tobruk. Esso è alimentato dai fondi che riceve dai governi occidentali; fondi che ufficialmente sarebbero destinati a supportare la guardia costiera libica per la sua attività di contrasto all’emigrazione ma che in realtà sono usati per finanziare partiti e gruppi armati; armi e milizie, con cui difendere militarmente la capitale, gestire la Banca centrale libica e perpetrare il saccheggio del petrolio libico a discapito della popolazione cui appartiene (3).

Accade che, nel bel mezzo della crisi energetica, i pozzi di petrolio in Libia sono quasi del tutto chiusi dallo scorso febbraio.
Oggetto di interesse di Eni sarebbe un enorme giacimento di gas. L’ente intende avviare investimenti nel settore energetico, pari a 8 miliardi di dollari, per lo sfruttamento di giacimenti di gas naturale nella Libia occidentale.

Accordi scritti sulla sabbia
Supportato dal governo italiano, l’ente ha però sottoscritto accordi con la parte sbagliata contribuendo ad alimentare la guerra in Libia. Un’Ucraina mediterranea a cui nessuno dedica attenzione. Gli accordi non sono con la Libia ma con il governo di Tripoli.
Come su accennato, il Governo insediato a Tripoli, guidato da Abdulhamid Dabaiba, sostenuto dall’occidente, si regge grazie ad aiuti camuffati (stimati in mezzo miliardo di euro), spesi in milizie mercenarie, alle quali ultimamente si è aggiunto anche l’Isis; i fondi permettono il controllo di una piccola parte del territorio libico.
Viceversa, il Governo di Bengasi riconosciuto dal Parlamento di Tobruk controlla le zone di estrazione del petrolio come Zintan e tutta la Cirenaica con il Primo Ministro a Bengasi, Fathi Bashagha. Eni, quindi, pur di ottemperare alle richieste degli alleati occidentali, sta sottoscrivendo accordi sulla sabbia.
I libici che controllano i pozzi petroliferi, infatti, preferiscono chiuderli non accettando il fatto che Tripoli sia l’unico autorizzato a vendere il petrolio sui mercati internazionali e che quasi la metà del petrolio che giunge a Tripoli, alla società statale NOC, sia sistematicamente saccheggiato dalle milizie

La Libia dipende quasi del tutto dalla produzione di combustibili fossili
A Gheddafi non fu mai perdonata la nazionalizzazione del petrolio libico. A questa colpa, alla sua volontà di transare in euro il petrolio libico, insieme ad altri imperdonabili progetti, pose rimedio la demolizione della Libia condotta dalla Nato nel 2011, della quale l’Italia è stata coprotagonista.

Un anno fa le elezioni in Libia sono state cancellate, ad una settimana dal voto, molto presumibilmente perché i sondaggi davano Saif Gheddafi, figlio del colonnello, sicuramente eletto a presidente della Libia.
Attualmente, movimenti popolari, insieme alle unioni sindacali con l’appoggio dell’Esercito Nazionale Libico di Haftar, controllano quasi totalmente i pozzi per impedire che i proventi del petrolio possano servire per finanziare la repressione militare comandata da Tripoli e sponsorizzata dalla Nato ai danni del popolo libico. Hanno quindi preso il controllo dei pozzi libici per proteggerli dalla rapina continuativa a cui erano soggetti a danno della popolazione.
Tutto ciò è confermato da un’intervista, di Michelangelo Severgnini (2), a Abdullah Al-Zaidi, sindacalista e giornalista economico libico.

In un’altra intervista di Severgnini, l’intervistato, Abdul Hadi Al-Huweej, già Ministro degli Esteri del Governo AlThani, legittimato dal parlamento libico ma non dalla comunità internazionale (compresa l’Italia), segretario del Partito del Futuro Libico, dichiara che il governo di Bengasi può fornire all’Italia petrolio e gas a prezzi molto inferiori a quelli di mercato e può offrire alle imprese italiane grosse opportunità di lavoro in Libia. I libici hanno bisogno e chiedono collaborazione all’Italia, attraverso il consolato italiano recentemente aperto a Bengasi, per la costruzione di reti idriche, elettriche ed energetiche. L’Italia, in ossequio al diktat Usa/Nato, riconosce e finanzia il governo usurpatore di Tripoli mentre dichiara “illegale” il vero governo libico, quello di Bengasi. Così facendo, stando dalla parte sbagliata, si perde la possibilità di importare petrolio e gas a basso prezzo dalla Libia.
Sbloccare il petrolio libico attraverso il pieno riconoscimento della sovranità libica, evitando il finanziamento di milizie e il sostegno ad un premier “illegale”, potrebbe procurare all’Italia quelle risorse necessarie per contrastare la crisi energetica che rischia di precipitare in stagnazione e recessione economica.

dal 16-esimo minuto M. Severgnini e a seguire la sua importante intervista a Abdul Hadi Al-Huweej

Nelle prime righe dell’Appello della Campagna “Fuori l’Italia dalla guerra” non a caso si legge: Uscire dalla guerra che divampa dall’Europa al Nordafrica e al Medioriente, operare per una soluzione diplomatica, salvare l’economia.
Invitiamo a leggere l’appello nella sua forma integrale e a partecipare attivamente alla Campagna. https://www.fuorilitaliadallaguerra.it/

(1) ENRICO MATTEI E L’ ALGERIA durante la Guerra di Liberazione Nazionale

(2) Michelangelo Severgnini, regista e scrittore, autore del film “L’Urlo”, e dell’omonimo libro pubblicato da LAD Gruppo Editoriale, denuncia e smaschera un decennio di politiche di guerra italiane in Libia, finanziate attraverso i fondi per la Guardia Costiera, per il contrasto alla migrazione, al fine ultimo di sfruttarne le risorse. Il libro “L’urlo” è il risultato di una ricerca lunga quattro anni, documentata attraverso decine di interviste a libici e migranti-schiavi in Libia. Esso porta alla luce “la drammatica condizione dei 600-700 mila migranti-schiavi africani intrappolati in Libia da una rete formata da milizie, trafficanti di esseri umani, contrabbandieri di petrolio, multinazionali, ong sorosiane e politici corrotti, finanziata e sostenuta direttamente e indirettamente dai governi europei compreso quello italiano. Crolla, di fronte a queste testimonianze, l’impalcatura demagogica della politica dell’accoglienza” mettendo a nudo i reali interessi che essa nasconde”.

(3) Il governo Draghi, a fine luglio 2022, ha stanziato 11 milioni 884 mila euro per la Guardia Costiera Libica. Secondo Breka Beltamar, capo della Commissione per la società civile libica e Yousef Al-Aquory, capo della Commissione affari esteri del parlamento di Tobruk, i fondi inviati dall’Italia sono stati impiegati dal governo di Tripoli per obiettivi assai diversi da quelli stabiliti ufficialmente stabiliti. Ecco le dichiarazioni di Yousef Al-Aquory: “Il governo di Tripoli è un governo de facto, non è soggetto all’autorità del parlamento e quindi non c’è alcun controllo su di esso, e non c’è alcuna garanzia che questi fondi vengano destinati agli obiettivi per i quali sono stati stanziati, ed è molto probabile che questi stanziamenti finiscano a partiti e gruppi armati sospetti”.

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