Il punto di non ritorno

Allora, a che punto siamo?

Illustrazione di Brian Stauffer

di Danilo D’Angelo

Bella domanda! Potrei risponderti quello che sentii dire, molti anni fa, da David Bowie durante un’intervista, quando gli posero una domanda simile sull’umanità. Disse che durante un cambiamento non si può sapere a che punto si è; solo quando la transizione sarà completata allora si riuscirà ad avere l’esatto quadro del percorso compiuto. Mi piace come risposta e penso che sia vera. Ciononostante dobbiamo provare ad avere un quadro di dove stiamo andando, se non altro per non dire in futuro “se l’avessimo capito prima non saremmo arrivati a questo punto”.

Ma non è semplice. Oggi più che mai quello che sappiamo è ciò che ci viene detto; non abbiamo nessun controllo sulle notizie che ci arrivano tutti i giorni, da tutte le parti: non sto distinguendo tra l’informazione dei media dominanti da quella degli “alternativi”. Da qualunque fonte arrivino le informazioni abbiamo perso la nostra neutralità, la capacità di discernere tra vero e falso, o almeno, tra ciò che sentiamo vero e quello che ci suona dubbio.

Ecco, il dubbio: direi che non siamo più in grado di utilizzare il nostro spirito critico. Da qualunque fonte ci abbeveriamo buttiamo giù tutto, senza filtri. Ma non i filtri mediatici, quelli con i quali passano al setaccio ciò che dobbiamo sapere e ciò che è meglio non sapere. Parlo dei nostri filtri, quelli interiori, quelli che dovrebbero aiutarci a percepire la realtà, quei filtri che sono innati nell’uomo e in tutte le creature viventi, quelli che ci servono per la sopravvivenza. Ora diamo per scontato che riusciremo a sopravvivere in questo mondo, non abbiamo più paura di essere mangiati durante il sonno. Per uscire da quell’incubo ci siamo riuniti in gruppi, fino a dar vita alle città; grazie alla nostra capacità di manipolare il mondo abbiamo inventato la tecnica, che ci ha permesso una vita più agiata e meno dipendente dai cicli naturali. Questo, in breve, noi lo chiamiamo “progresso”.

Però non sono così sicuro di poter definire un progresso la perdita del pensiero critico, quel tipo di pensiero che deriva dall’osservazione, dalle esperienze precedenti, dall’analisi dei fatti concreti e di quelli più astratti. Un pensiero che non va confuso con lo scetticismo fine a se stesso, quasi una sorta di spirito di contraddizione. Mi riferisco a quel tipo di pensiero che fa sì che ogni essere umano sia unico, in quanto uniche le proprie esperienze, il proprio vissuto, il modo assolutamente personale di osservare la realtà e trarne un immagine viva, che si concili con il buonsenso.

Oddio, per favore non cadere anche tu nella nostalgia di “com’era bello prima”, per favore. Il mondo va avanti, come ha sempre fatto, pensieri di questo tipo mi sembrano alquanto anacronistici.

Beh, diciamo che la nostalgia per i tempi passati è qualcosa che è presente sia nell’uomo come singolo che come specie. Rimpiangere quello che eravamo fa parte di noi, di come siamo fatti, probabilmente è un effetto collaterale dell’avere una coscienza e una capacità riflessiva. Ma non è la nostalgia per i tempi andati che mi porta a queste riflessioni che credo, invece, siano frutto dell’osservazione della realtà che mi circonda, attraverso quella briciola minuscola di pensiero critico che ancora non mi è stato portato via. Il tipo d’informazione a cui siamo sottoposti tende a dividerci in due gruppi distinti e, pertanto, facilmente manipolabili. Con me o contro di me, non c’è spazio per il dubbio.

E invece io di dubbi ne ho molti. Su tutto, anche sul nostro primato sul resto degli esseri viventi e sulla stessa Natura. Per esempio ho letto un libro molto interessante di antropologia, anzi, a quanto pare è un testo che ha cambiato il concetto stesso di antropologia. S’intitola “Come pensano le foreste” di Eduardo Kohn che ci invita a prendere in considerazione il fatto che noi esseri umani non siamo i soli ad utilizzare il cervello per elaborare pensieri, ma che sia un’attività comune a tutte le forme viventi. E anche lui, a pagina 167, scrive: “E’ vero che la categorizzazione […] può portare ad una forma di violenza concettuale che cancella l’unicità di coloro che vengono categorizzati”, che è quello che stanno facendo con noi i nostri signori politici, come dicevo prima. Oppure penso a Maturana e Varela che, nella teoria dell’autopoiesi, sostengono che un sistema vivente è sempre un sistema che apprende. Il sistema risponde all’intorno in concordanza alla sua struttura e la risposta è in termini di cambiamenti nella struttura. Pertanto, la volta successiva che si proporrà la stessa influenza esterna, la struttura non sarà più la precedente e, pertanto, nemmeno la sua risposta sarà più la stessa. Questo è apprendimento, ed è chiamato “accoppiamento strutturale”. Qualche giorno fa, durante una trasmissione radio dove si parlava della mostra fotografica dedicata al fotografo Robert Doisneau, al Museo dell’Ara Pacis a Roma, il conduttore ha concluso dicendo che la sensazione che si prova uscendo dalla mostra e vedendo la realtà di oggi è che l’umanità sia stata sottoposta a un pesante maquillage.

“Sia stata sottoposta”, eccolo qui, il tuo ben nascosto spirito complottista che ogni tanto salta fuori!

Guarda, su questo ti posso assicurare che non ho per niente le idee chiare. La prima volta che mi sono confrontato con la possibilità dell’esistenza di un piano ben orchestrato per dirigere gli essere umani nella direzione voluta è stata davvero tanti e tanti anni fa in un’isola sperduta della Thailandia. Lì incontrai un ragazzo di Roma sostenitore della teoria del complotto. Avrebbe voluto che leggessi alcuni testi al riguardo, ma non lo assecondai. Il giorno della mia partenza arrivò tutto trafelato in motorino all’aeroporto (che distava diversi chilometri da dove viveva lui) e mi consegnò tutti i suoi testi complottisti fotocopiati! Un lavoro enorme. Naturalmente li lessi, come ne ho letti altri nel tempo ed ho ascoltato conferenze e dibattiti al riguardo. Come sai tanti miei “amici” sostengono la teoria del complotto. Durante la presentazione di un mio libro a Roma ero accompagnato da Enzo Pennetta e Giulietto Chiesa che definii “il padre dei complottisti italiani.” Non so perché, ma la teoria del complotto non l’ho mai digerita. Credo di più nell’abilità di sfruttare le circostanze e la stupidità della gente.

Le persone hanno demandato tutto ad un sistema che li fa sentire protetti, sicuri, all’interno del quale non devono preoccuparsi di nulla, c’è sempre qualcuno che pensa per loro: istituzioni, amministrazioni pubbliche e non, esperti, aziende. Un sistema che pretende di reggersi su certezze, una delle quali è che nessuno è responsabile di nulla. Esattamente l’opposto del pensare con la propria testa.

E questo sistema di vita ci porta molto lontano da quelle che sono le nostre radici. Ricordiamoci che innanzitutto siamo mammiferi, animali, parte integrante della Natura. Non m’interessa se tutto ciò è stato pianificato, organizzato, come non mi entusiasma l’uscita dell’ultima App. Sono convinto che ci stiamo allontanando troppo dalla nostra vera natura; è vero che nei secoli l’umanità ha scelto di seguire strade non battute e che molti si opponevano al cambiamento, ma questa volta sento che è diverso. Questa volta non solo stiamo entrando in una selva oscura, ma è una selva tecnologica che nulla ha di naturale.

Non ho nulla contro la tecnologia, ma questo “oceano tecnologico” in cui siamo immersi – come dice giustamente il filosofo Roberto Mancini – sta facendo annegare la nostra umanità, per far emergere un tipo diverso di “uomo” e questo nella storia non è mai accaduto.

Stai pensando alla transizione verso il connubio uomo-macchina, microchip iniettati tramite i vaccini o pseudo tali e cose simili?

Non lo so, sinceramente non credo che si disponga di informazioni sufficienti al riguardo, anche perché, come dicevo prima, oggi è tutto “bianco o nero” o con noi o contro di noi. Per cui è veramente difficile scovare un’informazione equilibrata, soprattutto su questo argomento. O sono complottisti che ci allarmano strillando che Bill Gates è a capo di una nuovo ordine mondiale che sta rimpiazzando gli esseri umani con l’uomo 2.0, oppure sono informazioni che arrivano da chi le utilizza per ridicolizzare i complottisti e sminuire l’argomento.

Quindi, come diceva Battiato: “com’è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore”. Lui si riferiva ai famosi anni di piombo, ma la situazione non è cambiata. Prima era “o sei di destra o sei di sinistra” e oggi è “o sei con noi o contro di noi”, ma le dinamiche sono sempre quelle: fare tanto rumore, distrarre, terrorizzare, in modo che le persone non abbiamo la tranquillità per poter pensare con la loro testa.

Ma è proprio questo che dobbiamo fare: fermarci, distaccarci da tutto questo e sentirci dentro.

Nonostante la corsa frenetica verso una vita sempre più corrotta dalla tecnologia ci è rimasta, per ora, un briciolo di umanità, quella famosa scintilla divina che dentro di noi ancora resiste. È sempre più flebile, ma è ancora lì. È quella piccola luce che si è rivelata importante in molte delle nostre scelte, anche se non ne eravamo consapevoli. È quella sensazione che non sappiamo spiegare, ma che, dopo aver ponderato la situazione con gli strumenti che la razionalità ci mette a disposizione, ci fa scegliere d’istinto. È formata dall’incontro tra la nostra coscienza più profonda e il buonsenso.

Per questo è così importante cosa e come lo si insegna nelle scuole, soprattutto negli asili e nelle elementari. Quelli sono gli anni cruciali che aiutano l’essere a sviluppare tutto il suo potenziale. Aiutiamo i nostri figli ad evolversi, non pensiamo di doverli “formare”, che verbo tremendo in ambito scolastico! Non siamo vasai che danno forma alla loro creazione. I figli non sono “nostri” così come noi non siamo dei nostri genitori. Sono una benedizione per l’umanità e, forse, per il pianeta intero; quello che dobbiamo fare è lasciare che si sviluppino da soli, aiutandoli in questo, ma non formandoli.

Aiutiamoli fornendogli gli strumenti per capire il mondo, ma con questo non intendo l’economia, il mondo del lavoro, le guerre… Capire il mondo vuol dire capire il nostro ruolo su questo magnifico pianeta, in relazione con tutte le altre creature che lo abitano, a cominciare dai nostri simili per abbracciare tutte le altre specie. Comprenderli nel senso etimologico del termine, averli dentro di noi, abbracciarli, sentirli, viverli. Chi fa questo non può pensare che stiamo andando verso la giusta direzione.

È vero, siamo in un momento di transizione e non possiamo sapere a che punto siamo finché il cambiamento non sarà completato. E una volta che ciò sarà avvenuto o avremo capito il nostro ruolo nella vita oppure non proveremo mai più a capirlo.

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