di Umberto Franchi
Si chiamava Giuliano De Seta: aveva 18 anni, frequentava il 5° anno in un istituto tecnico di Portogruaro ma per ottenere i crediti necessari al diploma, in base a una infamia chiamata «legge della buona scuola» – voluta dai padroni di Confindustria e sostenuta dai partiti di centrodestra e centrosinistra con in testa Renzi – era stato obbligato a fare lo stage “scuola-lavoro”;
Così appena iniziata la scuola, Giuliano è andato a lavorare gratuitamente nell’azienda metalmeccanica “BC SERVICE” a Niventa Piave (Venezia). Con la sua morte, il secondo giorno di scuola, iniziano di nuovo gli assassinii sul lavoro.
In questo contesto la ministra per le Pari Opportunità e famiglia Bonetti (Italia Viva) ha subito messo le mani avanti dicendo: «la legge non si tocca e i progetti scuola lavoro sono validi» … dobbiamo solo (sic) garantire più sicurezza nei contesti educativi e lavorativi.
Come avvenuto a gennaio 2022 per il diciottenne Lorenzo Parelli e nel febbraio 2022 per il sedicenne Giuseppe Le Noci, gli studenti continueranno a essere assassinati per sostenere uno sviluppo economico sbagliato, distorto, tutto basato sul risparmio del costo del lavoro, dove per aumentare i profitti lor signori “imprenditori” non effettuano la formazione e gli investimenti necessari per la prevenzione e sicurezza e per di più cercano di incrementare la produzione togliendo anche i dispositivi di sicurezza esistenti.
Ogni giorno in Italia nei luoghi di lavoro muoiono 3 persone. Non sono “incidenti ma la conseguenza del mancato rispetto delle regole, delle norme legislative esistenti e di processi produttivi e organizzativi del lavoro dove la stragrande maggioranza delle imprese vedono gli investimenti da destinare alla prevenzione come costi aggiuntivi da evitare o limitare alla sola applicazione burocratica della legge81 (“Testo unico Sulla sicurezza”) riempiendo gli appositi moduli assieme al medico competente e ai rappresentanti dei lavoratori (RPP e RLS).
Inoltre le imprese adottano un modello organizzativo distorto con lo sfruttamento attraverso lavoro in appalto, subappalto, in affitto, in false cooperative, contratti pirata… Ogni giorno chi si reca al lavoro non sa se farà ritorno a casa: circa 1.400 ogni anno verranno uccisi da “incidenti” che in realtà sono omicidi.
Di fronte a questo scenario servono a ben poco i “protocolli di intesa” fra istituzioni e parti sociali. Nemmeno servono le denunce agli ispettorati e i controlli nei luoghi di lavoro, in quanto nel marzo 2009 Berlusconi depenalizzò la legge “Testo Unico Sulla Sicurezza” e i datori di lavoro sapendo che non andranno mai in galera preferiscono pagare una multa anziché fare gli investimenti necessari sulla prevenzione e sicurezza degli impianti lavorativi.
Il sindacato confederale dovrebbe aprire subito una vertenza nazionale con al centro:
a) assemblee ovunque per identificare assieme ai lavoratori, ai tecnici dei servizi ispettivi e ai medici i pericoli esistenti e imporre l’eliminazione dei rischi tramite gli investimenti e gli interventi formativi;
b) chiedere e rivendicare l’abolizione della legge che prevede l’alternanza scuola lavoro;
c) chiedere e rivendicare l’abolizione della legge “Biagi” che prevede 45 forme di lavoro precarie e flessibili;
d) chiedere e rivendicare il ripristino dell’articolo 18 dello «Statuto dei lavoratori» impedendo così che i lavoratori siano obbligati a dover accettare vessazioni e ricatti senza un giusto motivo da parte dei datori di lavoro;
e) fare una campagna di sensibilizzazione affinché d’ora in avanti i lavoratori rifiutino ogni forma di lavoro a rischio.
Per tutto questo serve un sindacato che torni ad essere quello delle sue “storiche radici” e capace di esercitare il conflitto necessario a livello articolato e generale.
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