di Antonio Monopoli
Non dobbiamo avere paura dell’intelligenza artificiale in quanto tale, ma dobbiamo avere timore di un errato atteggiamento nei suoi confronti da parte nostra.
Si è acceso in questi ultimi tempi il dibattito riguardo al fatto che un’intelligenza artificiale, molto avanzata, possa essere considerata un soggetto senziente. Questa discussione induce una serie di riflessioni sul rapporto tra esseri umani e intelligenze artificiali.
Specifichiamo subito che l’intelligenza artificiale è essenzialmente un software che possiamo trovare sia in un computer come anche in un’apparecchiatura quale ad esempio un’automobile a guida autonoma oppure in un robot classicamente inteso.
In questo discorso un elemento veramente importante è ciò che avviene nella mente di noi persone e che si concretizza nel fatto che tendiamo a proiettare schemi mentali, già presenti dentro di noi, fino al punto di giungere a poter “umanizzare” ciò con cui ci relazioniamo. Tutti conosciamo quel fenomeno psicologico che si crea nel momento in cui guardando le nuvole ci sembra di riconoscere nel loro profilo oggetti, volti o animali. E tutti noi sappiamo, per esperienza personale, di come la nostra capacità affettiva possa giungere al punto di legarci profondamente ad un oggetto o ad un luogo. Si tratta in tutti questi casi di un vissuto fondamentalmente interiore alla nostra persona e che, nel tempo, abbiamo imparato a gestire in maniera armonica con gli altri aspetti della nostra esistenza.
Nel rapporto con intelligenza artificiale può venirsi a creare lo stesso fenomeno soprattutto lì dove la relazione si sviluppa attraverso il linguaggio naturale sia esso parlato o scritto. Dentro di noi scattano dei meccanismi associativi legati al fatto che questo tipo di dialogo lo abbiamo utilizzato sempre relazionandoci con gli altri esseri umani, va da sé quindi che noi tendiamo ad attribuire una qualche forma di umanizzazione allo strumento con cui ci stiamo relazionando.
Se il tutto si limitasse a questo atteggiamento emotivo di per sé non ci sarebbero particolari problemi, si tratterebbe essenzialmente di imparare un modo equilibrato per gestire questo tipo di relazione psicologica.
Il grosso rischio che si profila all’orizzonte, però è un altro e cioè l’idea di poter giungere a riconoscere alle intelligenze artificiali una qualche forma di personalità giuridica da cui derivino una serie di diritti esercitabili anche nei confronti di noi stessi esseri umani.
Queste considerazioni non sembrino oziose o troppo premature, perché oggi inizia a nascere una linea di pensiero che porta a prendere in considerazione l’ipotesi che queste intelligenze abbiano una forma di autoconsapevolezza, il che di per sé non sarebbe un grosso problema se da questo non discendesse l’idea che se vi è una forma di autoconsapevolezza occorre tutelare giuridicamente il soggetto che ne è portatore. Questo è stato già fatto nei confronti degli animali, che in quanto esseri senzienti, sono oggi tutelati in molti paesi nei confronti del comportamento umano. Se però riguardo agli animali il riconoscere loro una qualche forma di diritti trova un limite biologico naturale dato dalle loro caratteristiche determinate dalla natura, ciò non avviene nel caso delle intelligenze artificiali che sono state studiate volutamente per evolversi e per interagire sempre meglio con gli esseri umani.
A questo punto occorre fare una considerazione: tutti sappiamo che esiste la figura della cosiddetta persona giuridica che deriva dall’attribuire diritti, che tradizionalmente in passato appartenevano soltanto alle persone fisiche, anche ad entità differenti quali ad esempio le società per azioni. in questi ultimi decenni siamo stati. d’altro canto, spettatori di come le società multinazionali stiamo diventando gradualmente padrone del mondo arrivando a giungere ad avere un potere superiore, in determinate situazioni, agli stessi Stati sovrani. Ebbene dobbiamo comprendere che se non torniamo a sviluppare un istinto di protezione della nostra specie umana potrebbe accadere che per un uso esperto, ma sostanzialmente perverso, del sistema giuridico potremmo trovarci a essere sottomessi nei fatti e nella forma a delle decisioni prese dalle intelligenze artificiali alle quali riconoscendo eventuali diritti abbiamo dato impropriamente ed imprudentemente cittadinanza in quella che in origine era esclusivamente una “comunità umana”.
Occorre quindi che, rifuggendo da un pericoloso buonismo, riprendiamo una “coscienza di specie” e iniziamo a prendere consapevolezza che il bisogno di salvaguardare la nostra libertà e la nostra stessa sopravvivenza non è cessato con l’avvento e l’evoluzione della civiltà ma si presenta oggi sotto nuove forme e con nuove sfide. Non dobbiamo quindi pensare, per un malinteso senso ingenuo di giustizia, che abbiamo l’obbligo morale di concedere dei nuovi diritti a questi software perché il rischio è quello di consentire loro l’utilizzazione di strumenti che potrebbero essere usati contro di noi e non dimentichiamo, del resto, che il ricorso agli strumenti giuridici prevede in ultima analisi l’uso della forza dello Stato nei confronti del soggetto soccombente.
In conclusione, però, dobbiamo comprendere come non dobbiamo avere paura dell’intelligenza artificiale in quanto tale, ma dobbiamo avere timore di un errato atteggiamento nei suoi confronti da parte nostra.
Se comprenderemo che essa è essenzialmente uno strumento al nostro servizio e se non ci lasceremo sedurre dalle sirene della nostra mente che in maniera imprudente ed inopportuna proietta su di essa le nostre illusioni e i nostri desideri trasformandoci in moderni pigmalioni, riusciremo a dare alla nostra specie, e cioè a tutti noi umani, un grande aiuto ed un grande strumento di crescita e sviluppo individuale e sociale; viceversa se non comprenderemo la necessità di prudenza e di autotutela, rischieremmo di cadere “prigionieri” di ciò che noi stessi abbiamo creato.
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