Dove è finita la banana della Foxboro?

Quanto è stato facile manipolare medici, insegnanti, manager di grandi imprese facendo virare la cultura aziendale sull’obbedienza convinta

Banana di Catellan

di Cassandra

Tanti anni fa, quando studiavo le organizzazioni e vivevo di formazione aziendale, avevo imparato in teoria e nell’esperienza sul campo, quanto le culture all’interno delle aziende fossero importanti. Proprio dal confronto e a volte dallo scontro di culture diverse, una sapiente gestione poteva trovare vie vincenti. Cosa c’entra questo con quanto sta accadendo ora negli ordini professionali delle professioni sanitarie? Tra gli insegnanti? Nelle aule dei tribunali? Nelle più grandi aziende italiane? E cosa c’entra tutto questo con la banana della Foxboro? Moltissimo, ma questa mia lettura richiede che abbiate un po’ di pazienza, occorre ripercorrere un po’ di storia.

Il modello pluralistico basato sul confronto di competenze multidisciplinari aveva trovato, ad esempio, la sua massima espressione, alla fine degli anni ’90, in Ideo. Ideo si occupa, ancora oggi, di design e sviluppa per i propri clienti, oggetti, attrezzature, elettrodomestici e quant’altro vi venga in mente, con un design estremamente funzionale, gradevole, ad alto grado di usability. Per fare questo, incaricava un gruppo multidisciplinare (un ingegnere, un biologo, un sociologo, uno psicologo, uno chef o un vivaista, ecc.). Li metteva tutti assieme in équipe, a lavorare in un laboratorio con una vasta gamma di materiali e strumenti, al fine di trovare, una soluzione condivisa che rispondesse a tutte le caratteristiche del prodotto desiderate e dal posizionamento sul mercato da guadagnare. Scopro, a distanza di decadi, che Ideo è ancora lì, florida e lanciatissima (www.ideo.com). La multidisciplinarità si è sempre rivelata vincente nell’affrontare mercati mutevoli e nel rispondere a richieste di progettazioni di qualità, usabilità, gradevolezza, funzionalità. Tale approccio richiede all’azienda di riconoscere e rispettare tutti i contributi dei propri esperti, di lasciar seguire loro ogni strada avendo fiducia che sapranno correggersi attraverso il confronto. Un approccio per mosche bianche.

Negli anni ’60, ’70, le aziende americane erano, invece, permeate dal comportamentismo. Abbiate un po’ di pazienza, è utile a capire: stiamo arrivando alla banana e poi vi sarà chiaro anche l’ultimo passaggio. Intanto pensate al vostro lavoro e cercate di individuare in quale misura i tre approcci all’organizzazione del lavoro, qui schematizzati, siano presenti.

Dicevamo, negli anni ’70, l’importante era premiare tutti, agendo sull’effetto benefico della gratificazione personale nel motivare ogni singolo dipendente a migliorare le proprie performance (prestazioni per noi coloni); si riteneva che i premi fossero alla base dell’apprendimento e del commitment aziendale (impegno, adesione concreta e psicologica verso l’azienda, sempre per noi coloni). In altre parole, il premio era il modo migliore per accarezzare narcisisticamente ogni dipendente, facendo sviluppare quella brama di riconoscimento riportata al terzo scalino della piramide maslowiana. Era un ottimo modo, per il tempo storico, per la cultura dominante, per assicurarsi fedeltà e adesione, quasi incondizionata, dei dipendenti agli obiettivi aziendali.

Eccoci alla banana! “Ed eccoci ai primi anni di vita di un’azienda chiamata Foxboro. Questa azienda aveva disperatamente bisogno, per sopravvivere, di una qualche scoperta tecnica. Una sera molto tardi, un ricercatore piombò nell’ufficio del presidente con un prototipo. Colpito dalla raffinatezza della soluzione trovata e non sapendo come premiarla, il presidente…”[1] cominciò a cercare un premio per ogni dove. Alla fine trovò qualcosa e la offrì al ricercatore dicendo: “tieni!”. Si trattava di una banana! “Da quel giorno, una piccola spilla a forma di banana d’oro, ha rappresentato il maggior riconoscimento assegnato alla Foxboro per i risultati ottenuti in ricerca e sviluppo”. A questo punto sono certa che molti lettori, specie se medici o insegnanti, penseranno di aver ricevuto una banana d’oro con ben altri intenti. Cosa è cambiato?

In realtà, temo, qui nella colonia, siamo tornati indietro, saltando a piè pari la Ideo. Abbiamo ripreso la vecchia teoria comportamentistica pavloviana (premi e punizioni per condizionare il comportamento – condizionamento classico) e l’abbiamo, prima sostituita a quella skinneriana che prevedeva prevalentemente premi e gratificazioni come leve di condizionamento (condizionamento operante), poi l’abbiamo applicata non solo alle strategie di gestione del personale ma anche alle modalità di selezione del personale dirigente e della stessa cultura organizzativa.

Così il cambiamento desiderato in seno alle più grandi aziende del Paese è stato molto rapido e in direzione di un asservimento tale da non dover neppure più faticare a correggere o censurare.

Pensate che stia esagerando?

Ecco quanto afferma Francesco Starace, amministratore delegato ENEL, nel 2016, su come attuare il Francesco Starace (trascrizione di un suo intervento a una conferenza).

“Per cambiare un’organizzazione ci sono cose abbastanza semplici e stranamente viene sempre creato un problema sul cambiamento. Innanzi tutto ci vuole un gruppo di persone convinte su questo aspetto. Non è necessario che sia la maggioranza, basta un manipolo di cambiatori, poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare e bisogna distruggere, distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando ad essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all’organizzazione del ganglio si vuole distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento. E questa cosa va fatta nella maniera la più plateale e possibilmente manifesta possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta velocemente, con decisione, senza nessuna requie e dopo pochi mesi l’organizzazione capisce perché alla gente non piace soffrire. E quando capiscono che la strada è un’altra, tutto sommato si convincono miracolosamente e vanno tutti lì. È facile!” (ride, applauso della sala).

Bene, state vedendo la banana? Abbiamo capito ora dove sia stata inserita nella strategia!

La prevalenza della punizione, della messa al bando del dissenso e, soprattutto, della molteplicità arricchente di prospettive, pare stia vincendo. In particolare, con la riforma degli ordini professionali (decreto attuativo della legge 3/2018 a firma Lorenzin), si è lavorato proprio su questo gioco di prestigio: la banana non è più usata come premio, somiglia ora al fante di picche che rimane in mano quando giochi a “peppa”. La banana è il marchio dell’onta, indesiderabile e deprecabile. Il bravo collaboratore evita la banana e si sente legittimato a infierire su chi se la piglia. Nel 2003 avrei detto che si tratta di mobbing istituzionalizzato. Oggi però, questa parola è svanita nel nulla, non a caso. Come sostenevo già vent’anni fa, il dramma è per la vittima ma il danno più grave verrà prodotto dal contorno di gregari pusillanimi, a volte poco lungimiranti, che accettano di sacrificare uno di loro per la semplice ragione di essere fieri di essere (loro) capaci di scansare il pericolo (dell’omo nero alias fante di picche) con tanto pelo sullo stomaco.

Oggi sappiamo però che molti gregari hanno scansato un pericolo per la loro carriera ma dovranno, purtroppo, pagare ben altro prezzo in termini di adesione incondizionata ad una campagna di inoculazione. I fanti di picche, invece, combattono e si dibattono tra il desiderio di trovare un confronto per salvarsi (e salvare) e la consapevolezza di una selezione naturale che sbaraglierà, in pochissimi anni, i propri delatori.

Nessuno può, in conclusione, essere soddisfatto. L’immaginare il cambiamento organizzativo degli ordini professionali, della nostra società, del nostro stesso Stato, invece, è, nel bilanciamento delle cose, l’atto più sano e propulsivo che mai, come ora, è stato tanto forte.

[1] Studio di Peters e Waterman in “Images” di Gareth Morgan, Franco Angeli, 1994.

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