di Maurizio Torti
“Più braccia per abbracciare” è lo slogan lanciato dal Movimento Europeo di Azione nonviolenta e altre organizzazioni unite in un sogno, in 5000 a Kiev l’11 luglio.
L’attivismo nonviolento italiano ed europeo non è alla sua prima esperienza, ha una storia antica, negli ultimi 35 anni nel momento in cui il mondo ci ha presentato una crisi e poi un conflitto armato, centinaia di cittadini hanno partecipato alla costruzione della pace. Ricordiamo I volontari di pace in Medio Oriente nel 1990’ a Baghdad, unitamente a ulteriori riflessioni all’interno di quell’area che aveva dato vita all’iniziativa irakena ed alla Campagna per una Soluzione Nonviolenta nel Kossovo, nacque la prima idea dell’apertura di quella che è stata chiamata l’”Ambasciata di Pace” di Pristina. Nel 1990 “Time for Peace”, 1400 cittadini italiani ed europei in Palestina e Israele come forza di interposizione e per consegnare un messaggio di pace ai cittadini palestinesi e israeliani. L’elenco degli interventi è lungo quanto quello delle crisi e delle guerre. L’ambasciata di pace può essere una prima presa d’atto dei nuovi compiti del movimento nonviolento, (oggi che l’intervento armato è di fatto uno strumento della politica dei governi, in particolare degli Stati potenze nucleari e che la NATO tenta di sostituirsi al ruolo dell’ONU) e il tentativo di dotare il movimento nonviolento internazionale e le popolazioni del nostro pianeta, di uno strumento nuovo di opposizione reale alla guerra. (Il testo “Ambasciata di pace” fu pubblicato nel N.15 di Guerre & Pace uscito nel settembre del 1994.)
L’attivismo nonviolento negli anni 90’ ha raccolto il pensiero di Alex Langer su i “Corpi Civili di Pace Europei e a seguito delle esperienze realizzate, il Parlamento Europeo, a gennaio del 1999 con una raccomandazione ne suggerisce la realizzazione.
Tutte le iniziative nonviolente incluse nella cornice del “Corpo Civile di Pace Europeo”, le ambasciate di pace, la Rete dei Caschi Bianchi, l’Ambasciata di Pace a Belgrado, le marce della pace in Bosnia e a Sarajevo, sono esempi concreti intesi a costruire la pace, la mediazione e il rafforzamento della fiducia tra le parti belligeranti. Questo cammino difficile, faticoso arricchito dall’ascolto per comprendere le ragioni dell’uno e dell’altro ci ha portato ad un altro obiettivo, la definizione di un piano di pace per l’Ucraina, i cittadini europei e non solo sono attivi e lo dimostrano con proposte ed un agire nonviolento. (qui link: https://www.sovranitapopolare.org/2022/05/22/piano-di-pace-in-ucraina-proposta-dei-cittadini/).
Non è la prima volta che durante alcune crisi e conflitti armati, osserviamo movimenti nonviolenti come nel 2014 nella Regione del donbass, i cittadini ucraini, disarmati, hanno posto i loro corpi per fermare i carri armati dell’esercito ucraino, come è accaduto poche settimane fa, ancora in Ucraina nella città di Kharkiv e in altre cittadine. La nonviolenza mostrata da questi cittadini, è un messaggio chiaro, forte e per tutti noi. Durante questa guerra, il desiderio di pace, oltre alla ricerca dell’acqua, è nei pensieri dei cittadini del donbass e dei cittadini di Kiev. Perché non portare “più braccia per abbracciare” e regalare dei fiori di campo ai cittadini del donbass?
Sono consapevole delle difficoltà politiche e per gli eventuali problemi logistici per l’azione nonviolenta nei paesi dell’est europeo, in quell’area si può arrivare con dei voli fino a Mosca e poi proseguire in treno ed altri mezzi di trasporto pubblico. Non è certamente un aereo a mettere paura oppure i russi ci fanno paura? Per il progetto Mean è necessario portare il messaggio di pace, il manifesto, la lettera e il desiderio di pace di noi cittadini europei a tutte le vittime e gridare insieme, noi con gli ucraini e con i cittadini del donbass, basta guerra. È fondamentale prevenire ogni forma di strumentalizzazione speculazione politica per questa azione nonviolenta ed è possibile solo ascoltando e informando entrambi le parti dell’esistenza, della realizzazione e del progetto da portare in quell’area, entrambi devono essere consapevoli della presenza, in contemporanea, di cittadini europei a Kiev e nel donbass. Se le politiche dell’azione nonviolenta del progetto Mean riusciranno a trasmettere a tutti il messaggio chiaro di neutralità e in prospettiva della fine del conflitto armato, questa posizione non ambigua, rafforzerà la fiducia necessaria per lavorare per la riconciliazione dei popoli, che la guerra ha allontanato ulteriormente, affinché possano continuare a convivere anche su uno stesso territorio, cercando forme nuove di organizzazione.
Durante il conflitto nella ex Jugoslavia fu pubblicata una lettera firmata da diversi pacifisti dei vari paesi che componevano l’ex-Jugoslavia. In questa si diceva, in modo molto dolce, ma deciso, qualche cosa di simile: “Apprezziamo la vostra buona volontà di appoggiare i nostri movimenti pacifisti ma crediamo che dovreste studiare anche forme nuove di intervento. Voi venite da noi per una settimana o due. Durante questo periodo siamo lieti di collaborare con voi e ci mettiamo in luce come vostri amici. Ma quando ripartite noi restiamo qui, e il fatto di essere vostri amici ci mette molte volte in difficoltà e ci espone alle angherie dei governi e della gente che è favorevole alla guerra. Dovreste perciò studiare la possibilità, invece di venire in tanti per pochi giorni, di venire anche in un piccolo gruppo restando a vivere qui da noi a lungo in modo da poter comprendere meglio le condizioni in cui viviamo e da darci una mano, alla pari, con consigli, sostegni materiali o in altri modi da concordare insieme, per raggiungere i nostri comuni obbiettivi di pace e di convivenza tra i popoli”.
Ogni azione nonviolenta produce una reazione, a volte non la vediamo, forse ci vuole tempo, perché si presenta in un altro capo del mondo. Qualcuno potrebbe dire che non abbiamo alcuna possibilità di fermare la guerra in atto. In realtà chi fa questo rilievo non tiene conto di 2 aspetti.
1) I grossi interessi economici e strategici coinvolti tuttora nella guerra, che portano gli stati più potenti ad investire nella produzione e nel traffico di armi quantità di risorse ingentissime, che sperano di riavere o attraverso la vendita di armi “nuove” o nella ricostruzione del paese distrutto o nell’influenza politico-strategica in una zona importante del mondo.
2) L’immenso squilibrio tra le spese investite per fare la guerra, i costi della ricostruzione di ciò che la guerra distrugge, (ma le vite umane non saranno ricostruibili), la gestione di milioni di profughi e quelle invece dedicate alla prevenzione dei conflitti armati, all’educazione, allo studio della nonviolenza, alla formazione del Corpo Civile di Pace Europeo. Se alla prevenzione verranno assegnate più risorse, economiche ed umane, sicuramente i risultati saranno più pregnanti.
Chiediamo 3 miliardi di euro dei 28 che il governo italiano spende per la spesa militare. (articolo suggerito al link: https://www.sovranitapopolare.org/2022/05/25/guerra-russia-ucraina-diplomassia-sempre-piu-assente/).
L’11 luglio in 5000 regaliamo un fiore di campo a kiev e nel donbass, più braccia per abbracciare.
Qui il link per ulteriori informazioni
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