“Ecco gli elmi dei vinti e quando un colpo ce li ha sbalzati dalla testa non fu allora la disfatta fu quando obbedimmo e li mettemmo in testa” (cit. Bertold Brecht)
Queste poche parole esprimono una profondità infinità e rappresentano la sintesi di due secoli di storia della nonviolenza testimoniata da centinaia di analisi, studi, procedute e proposte, raccolte in migliaia di pubblicazioni, dispense, libri sulle lotte non armate in tutte le epoche. La nonviolenza ha scritto la storia nella lotta all’indipendenza in India, fondata sulla resistenza passiva, sulla disobbedienza civile, sul boicottaggio e l’azione nella lotta per i diritti civili della popolazione di colore negli Stati Uniti d’America. Negli ultimi anni, studiosi e pensatori contemporanei ci hanno consegnato uno strumento politico oltre che di aspirazione etico-morale. Nella cornice della nonviolenza si sono sviluppati studi sulla difesa civile o difesa popolare nonviolenta, sull’azione diretta nonviolenza, sull’interposizione nonviolenta e la diplomazia popolare.
Nel pensiero dell’opinione pubblica, foraggiata da una stampa e da un giornalismo spesso povero e superficiale, i nonviolenti vengono dipinti come anime belle, incapaci di vedere che il mondo si sostanzia di aggressioni, conflitti e uccisioni e che i problemi si risolvano mettendo fiori nelle canne dei fucili. E’ un’immagine utilizzata per ironizzare e mai per riconoscerne il punctum e lo studium rappresentato da quella fotografia. Questo è quanto sa esprimere nel 2022 il giornalismo? Le origini di questo impoverimento sono osservabili nell’incapacità di riconoscere l’attivista nonviolento, come pure chi imbraccia un fucile per difendere la libertà di un popolo, sullo stesso livello, si muovono entrambi dall’esigenza, dall’urgenza, di modificare uno status quo ritenuto inaccettabile, ma perseguono il cambiamento con metodi opposti. Non si tratta però di una scelta facile, di comodo. “Un uomo”, avverte Gandhi “non può praticare la nonviolenza ed essere nello stesso tempo un codardo. “La pratica della nonviolenza richiede il più grande coraggio”. E’ sempre opportuno chiarire gli ambiti in cui agiscono la nonviolenza e i suoi strumenti come il rifiuto programmatico, di ogni forma di violenza sia fisica sia psicologica, proclamato e praticato come metodo di lotta politica e sociale, per principi sia religiosi, sia morali, civili e umanitari. “E’ la scelta di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o distruzione di qualsiasi essere vivente e particolarmente di esseri umani (Aldo Capitini).
La scarsa sensibilità verso l’azione dell’attivista nonviolento è presente nei governi italiani, nelle istituzioni, nei partiti, nella rete educativa e formativa. Non è più accettabile una continuità di scelte parziali, specie in un momento di crisi mondiale rappresentata da 28 guerre e decine di crisi sull’orlo di trasformarsi in nuovi conflitti armati. Il nostro governo spende per le spese militari quasi 28, entro il 2028 il pil per le spese militari sarà del 2% all’anno, il governo attuale non ha ratificato, il “Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari”, diventato giuridicamente vincolante per tutti i Paesi che l’hanno firmato. Questo Trattato, votato dall’Onu nel luglio 2017 da 122 Paesi, rende ora illegale, negli Stati che l’hanno sottoscritto, l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari.
Non c’è ombra di dubbio, è la risposta della sudditanza del governo italiano verso paesi terzi.
Quale è l’investimento per la prevenzione dei conflitti? Quali percorsi educativi mette in campo lo Stato, l’università, la scuola per accogliere un cittadino che matura una scelta determinata e coraggiosa come quella della nonviolenza?
Ancora oggi questa risposta è data solo dalla rete di decine di organizzazioni del volontariato, una delle componenti del terzo settore e dice il falso chi sostiene che queste organizzazioni vengano finanziate con soldi pubblici.
La forza, il motore e il cuore della nonviolenza è la persona, uomo, donna, adulto e giovane che crede nell’azione della nonviolenza, la condivide e partecipa.
Il volontariato italiano è invidiato in tutto il mondo ed oggi più che mai è da sostenere ma bisogna fare molto di più, lo Stato deve investire negli enti educativi e formativi ampliando l’area di intervento, migliorare le strutture esistenti, facilitare la costruzione di reti internazionali, promuovere l’esistenza della nonviolenza come strumento politico.
Superare la violenza, sul piano dell’etica, dell’efficacia, della qualità dei risultati è l’orizzonte ideale per come intendere la nonviolenza e se non guardiamo verso altre direzioni, allora capiremo la storia del riscatto delle popolazioni contro il sistema clientelare-mafioso. Negli anni cinquanta, Danilo Dolci ci ha fatto un dono prezioso con il suo studio sulla “continuazione della resistenza senza sparare”.
Tra qualche mese tutti abbiamo una meravigliosa opportunità, conoscere il pensiero di attivisti nonviolenti come: Richard Gregg, Gene Sharp, Kenneth ed Elise Boulding, Jean Marie Muller e Johan Galtung, Danilo Dolci, Aldo Capitini, Govanni Sarubbi, Alberto L’Abbate e l’elenco non è esaustivo.
Noi di Sovranità Popolare, in collaborazione con altre realtà, ne siamo promotori e mediapartners e invitiamo colleghi giornalisti, educatori, politici, governatori a condividere e partecipare alla prima edizione del “Festival del libro della pace e nonviolenza” come al solito, completamente autofinanziato, a Roma dal 2 al 5 giugno 2022
Alle pagine www.eirenefest.it troverete tutte le informazioni necessarie.
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