di Alida Parisi
Solita storia ma catastrofe globale su una miriade di fronti. É incredulità tra informazione, disinformazione e propaganda. È rabbia ma è anche incapacità, a livello internazionale, di fronteggiare una guerra piombata sulla testa di milioni di civili innocenti e lanciata da una volontà distruttiva ineluttabile. Se Volodymyr Zelensky ha chiesto agli uomini di Kiev di non abbandonare la città ma di opporre resistenza, distribuendo loro circa 10.000 fucili e più, il messaggio è chiaro, bisogna collaborare tutti per la difesa e la riconquista della pace violata, ciò che il presidente Zelensky non è riuscito a garantire perché la guerra imminente non è contemplata in una società civile. Un’altra guerra è scoppiata, purtroppo bisogna ammetterlo, con tutto ciò che comporta: bombardamenti e incendi, palazzi, solo una settimana fa abitati da una vita quotidiana, adesso abbandonati, con dentro tutte le cose della vita quotidiana, squarciati, in fuoco. Un popolo in fuga, altrove dalla loro vita di tutti i giorni, non si sa dove ma ovunque pur di portare in salvo null’altro che la vita e, nella memoria, la propria storia. Un capo dovrebbe sapere sempre cosa fare, soprattutto nelle situazioni di difficoltà; un presidente dovrebbe verosimilmente percepire in anticipo, attraverso l’opera della sua ‘intelligence’, cosa bolle in pentola lungo i confini del suo paese, vicini e lontani, perché in un mondo incastrato, come è il nostro, in una fitta rete di interessi economici e politici, nessuna azione avviene per caso o all’improvviso, così come la pace, sebbene sia l’obiettivo perseguito da tutti i paesi – per alcuni solo demagogicamente – è e resta un’utopia. La guerra, per alcuni paesi instabili sul piano socio-politico-economico interno, è un atou, una carta sempre pronta ad essere giocata in caso di bisogni relativi ovviamente a mire espansionistiche. E di questo dovrebbe esserne consapevole soprattutto il mondo occidentale, sdraiato e al sicuro nella sua sfera antiproiettili, anche se meta ambita e battuta da continui flussi migratori, provenienti da paesi in ginocchio da carestie o distrutti da guerre, (non sempre raccontate perché di assoluto disinteresse politico), come quella in atto in Ucraina. Dunque nessuna sorpresa per ciò che è avvenuto in quella strana alba del 24 febbraio, anzi a guardare bene anche un miope avrebbe visto o immaginato ciò che, rimasto in sospeso nel 2014, si sarebbe avverato di lì a poco, anche in considerazione della veloce avanzata della NATO, da sempre contraltare per eccellenza della Russia. E avrebbe anche visto l’inevitabile solitudine politica che questo tipo di eventi trascinano con sé; sconsigliabile intervenire fattivamente da parte di altre nazioni, come avevano insegnato all’epoca le ultime due guerre mondiali. Tante le manifestazioni pacifiste di condanna in giro per il mondo ma chi mai potrebbe o vorrebbe sporcarsi le mani in un intervento concreto contro l’invasore, se non per un tornaconto importante, a maggior ragione per quei paesi appartenenti al tavolo dei vari G7, G8, cioè gli untouchable. L’alternativa quindi, piuttosto che scatenare una terza guerra mondiale, l’invio di aiuti, armi e l’adozione di sanzioni internazionali. Intanto, mentre il paese si organizza alla resistenza, politici e politicanti in Italia, durante le loro informative in parlamento del 25 febbraio, giorno dopo l’invasione, proferiscono discorsi stucchevoli, asettici e demagogici, “Putin non deve vincere questa guerra. Con le sanzioni dobbiamo essere sicuri di mettere in ginocchio l’economia russa” (E.Letta). Peccato che l’economia russa, non gli oligarchi ma il popolo, è già genuflessa. Oppure F.Lollobrigida di FDI “…non possiamo accettare una guerra nel cuore dell’Europa”; infatti più naturale che si sviluppino altrove, in Africa per esempio (31 paesi in guerra con circa 300 tra milizie-guerrigliere e gruppi terroristi-separatisti coinvolti). L’intervento di Draghi poi ha avuto addirittura il respiro di una assunzione di responsabilità pubblica, “La nostra imprudenza è stata di non aver pensato di diversificare gli stoccaggi di gas, dipendendo per buona parte da quello russo(…). Dobbiamo pensare alle energie alternative (…). E poi il gas italiano è meno caro(…)”
Incommentabile ma riemerge l’ipotesi di riabilitare il carbone. Ma quali sono gli obiettivi e i tempi strategici che un paese, nelle strategie programmatiche dei suoi governanti, dovrebbe preventivare e perseguire per mantenere e garantire uno sviluppo possibile e sostenibile, e una pace duratura, anche in vista e in virtù delle relazioni politico-diplomatiche con gli altri paesi? E questa guerra davvero è emersa dal profondo nulla e non è stato possibile prevenirla e quindi bloccarla? E possono essere sufficienti le sanzioni internazionali per disincentivare e punire i comportamenti criminosi di capi di governo fuori controllo? E su chi ricadono di fatto le sanzioni internazionali? Domande retoriche certo ma che forse dovrebbero far riflettere su come sanzionare più direttamente gli autori di disastri umanitari, sociali e strutturali che una guerra comporta. Visto com’è andata poi, forse dovremmo anche smetterla di crescere i nostri figli con l’idea utopica di un mondo di pace, ma educarli fin da piccoli alle possibili catastrofi che possono piombare sulle loro teste da un momento all’altro e attrezzarci mentalmente anche noi adulti al peggio rispetto al migliore dei mondi possibili che, in fondo in fondo nel nostro pensiero, i piccoli piaceri quotidiani ci danno l’illusione di vivere.
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