Senza lasciare spazio a futili polemiche lo diciamo subito: noi riconosciamo lo Stato di Israele, nato ufficialmente nel 1948, e ad oggi una delle poche democrazie di un “Medio Oriente” costellato di teocrazie e monarchie.
Peccato che quello stesso Stato democratico si sia reso autore, tanto nel passato quanto oggi, di veri e propri delitti contro l’umanità.
Ad essere oppresso è il popolo palestinese, espulso dalle città e dai territori dove aveva abitato per centinaia di anni, con intere popolazioni che dietro l’ondata violenta del neo esercito israeliano sono state costrette a rifugiarsi in Libano, Siria, Giordania e Striscia di Gaza. Ed è qui che oggi viene commessa l’ennesima violenza.
Le notizie delle ultime ore raccontano di potentissimi bombardamenti che hanno fatto crollare il grattacielo di al-Jala (alto 12 piani), nel pieno centro di Gaza, dove ivi erano le sedi di Al-Jazeera e di agenzie di informazione, tra le quali l’Associated Press. Poche ore prima un’altra pioggia di bombe aveva centrato un campo profughi di Al-Shati, nel nord della Striscia, in cui hanno perso la vita almeno 10 persone, tra cui 2 donne e 8 bambini. In questa nuova offensiva Israele si giustifica affermando colpire luoghi strategici di Hamas, peccato però che gli obiettivi sinora bombardati risultano essere campi profughi, residenze civili, edifici, condomini, scuole e addirittura centri umanitari. Si parla quindi di civili: sinora si contano 144 vittime innocenti, e tra loro ci sono 37 minori, 22 donne ed oltre mille feriti.
Ma ancor prima di questo conflitto le forze israeliane hanno commesso omicidi di civili palestinesi, compresi bambini, e arrestato migliaia di Palestinesi che hanno protestato o si sono opposti in altri modi alla perdurante occupazione militare. Per non parlare delle torture e dei maltrattamenti. A riprova di ciò vi sono decine e decine di testimonianze, di rapporti di associazioni umanitarie, Ong.
Ma alla “democratica” Israele non importa. Come non importa neanche della risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata il 23 dicembre 2016 con 14 voti a favore su 15 con la clamorosa astensione degli Stati Uniti, allora guidati dal Presidente Barack Obama. In quella risoluzione si chiedeva ad Israele di porre fine alla sua politica di insediamenti nei territori palestinesi dal 1967, inclusa Gerusalemme Est, in particolare “condannando ogni misura intesa ad alterare la composizione demografica, le caratteristiche e lo status dei territori palestinesi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme est, riguardante, tra gli altri: la costruzione ed espansione di colonie, il trasferimento di coloni israeliani, la confisca di terre, la demolizione di case e lo spostamento di civili palestinesi, in violazione delle leggi umanitarie internazionali e importanti risoluzioni“. Al contempo si auspicava una soluzione negoziale per il progresso della soluzione dei due Stati (quello israeliano e quello palestinese) al fine di addivenire ad una pace definitiva e complessiva.
Ma la politica di espansione degli insediamenti in Cisgiordania si è tutt’altro che interrotta in questi anni anche a causa di quelle politiche del Primo Ministro israeliano di destra, Benjamin Netanyahu, che può essere definito tranquillamente come populista, nazionalista e razzista.
Dall’altra parte c’è Hamas che ha iniziato a lanciare i suoi razzi dopo l’aggressione delle forze di occupazione di Tel Aviv nella Moschea di al-Aqsa.
Anche in questo caso vogliamo essere chiari. Non condividiamo e non giustifichiamo alcun tipo di guerra o reazione violenta.
Ma si può comprendere come, dopo così tanti e tali soprusi e provocazioni, ciò possa avvenire.
Nonostante la Comunità internazionale sia assolutamente favorevole alla risoluzione di pace con la nascita di uno Stato palestinese oggi vi è una Palestina che vive una situazione anche peggiore di ciò che avveniva per le riserve dei pellerossa o i Bantustan (territori del Sudafrica e della Namibia assegnati alle etnie nere dal governo sudafricano nell’epoca dell’apartheid).
Al tempo degli indiani d’America e dell’invasione dei bianchi i Geronimo, considerati come “terroristi”, scendevano a difesa del proprio popolo trucidando i “visi pallidi“.
Oggi l’organizzazione di resistenza di matrice islamista Hamas, nella “Resistenza”, commette a sua volta i propri delitti ed atti illegali.
E non è certo bombardando la Striscia di Gaza che ci si difende dagli attentati o dagli attacchi. E’ come se lo Stato italiano decidesse, aiutato dalla Nato, di bombardare la Sicilia, Palermo, Catania, Trapani, per combattere Cosa nostra, ad oggi l’organizzazione criminale più forte del mondo, e colpire Matteo Messina Denaro. Un paragone sicuramente azzardato, ma che rende l’idea su quanto sta avvenendo oggi in terra di Palestina.
Benjamin Netanyahu © Imagoeconomica
Guerra “farsa”?
Ma perché proprio ora c’è stata questa escalation? L’analisi passa da una considerazione: quella a cui stiamo assistendo è una guerra “farsa” nella misura in cui lo scontro è tra isolate forze di resistenza ed uno degli eserciti più potenti del mondo che sta letteralmente sterminando un popolo.
Ciò avviene nel sostanziale silenzio dei principali governi del Mondo, mentre le Nazioni Unite si esprimono con timide richieste di “cessate il fuoco”.
Dov’è l’Unione Europea con la Corte dei diritti dell’Uomo? Dov’è la Corte internazionale di giustizia, nota anche con il nome di Tribunale internazionale dell’Aia?
La Procuratrice capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, dovrebbe avviare quanto prima delle indagini e portare a processo il Primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu per i crimini che sta perpetrando contro l’umanità.
Specie ora che, dallo scorso febbraio, è stata allargata la giurisdizione della Cpi, sulla Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est sempre grazie alla procuratrice Bensouda.
Avrà ancora questo coraggio? O si dovrà attendere il suo successore, Karim Khan, avvocato britannico specializzato in diritto internazionale, che prenderà possesso dell’incarico a partire da giugno? Anche se Israele non riconosce la Corte dell’Aia, sarebbe, seppur sulla carta, un’azione giudiziaria fortissima.
Per molto meno di quanto sta avvenendo in Palestina l’Onu approvò l’intervento della Nato, a nostro parere sbagliando clamorosamente, dando il consenso all’attacco contro la Serbia, per deporre Slobodan Milosevic, autore di crimini contro l’umanità contro la popolazione del Kosovo. Come mai vi sono due pesi e due misure?
Al tempo, era il 1998, anche l’Italia ebbe un ruolo. Il Presidente del Consiglio di allora Massimo D’Alema, tradendo ogni ideale di sinistra e la nostra Costituzione, autorizzò l’uso dello spazio aereo italiano per la guerra della Nato contro la Serbia.
Oggi il redivivo D’Alema ha denunciato il tradimento e l’abbandono della Palestina da parte dell’Occidente, mentre altri leader come Matteo Salvini si schierano in favore di Israele parlando di “attacco alla democrazia“.
Non è solo questione di ideologia. Perché l’Italia, legata a Israele da un accordo di cooperazione militare (Legge n. 94, 2005), e le forze nucleari israeliane sono integrate nel sistema elettronico Nato, nel quadro del “Programma di cooperazione individuale” con Israele, Paese che, pur non essendo membro della Alleanza, ha una missione permanente al quartier generale della Nato a Bruxelles. E vi sono piani per cui forze Usa e Nato arriverebbero dall’Europa (soprattutto dalle basi in Italia) per sostenere Israele in una eventuale guerra contro l’Iran, mai così vicina.
A Gaza la sede di Al Jazzera e AP, colpita dai caccia israeliani
Cui prodest?
Ma guardando ciò che accade in Medio Oriente, sorgono comunque dubbi ed interrogativi. Perché osserviamo come i missili di Hamas, spesso, cadono ai confini, addirittura nello stesso territorio di Gaza, distruggendo le case del loro stesso popolo. Perché dunque ostinarsi in questi simili attacchi che causano anche la morte di civili? Cui prodest?
In questo momento c’è una gravissima crisi internazionale e l’escalation vede anche rivolte interne in territori che in passato non erano stati toccati dagli scontri.
E a noi sorge un sospetto. E’ possibile che questo stato d’allerta generale sia direttamente funzionale a distrarre la popolazione, salvando per l’ennesima volta il Premier Netanyahu da quel processo che lo vede sotto accusa per corruzione? Possibile che Hamas si renda “complice”, salvando “Bibi” dal suo destino, rafforzandone la posizione estrema? Non è un’ipotesi peregrina. E in questo senso leggiamo anche il sostanziale silenzio dell’Iran ed altri Paesi.
Ovviamente non auspichiamo che si arrivi ad una guerra aperta, anche perché qualora gli Hezbollah (organizzazione paramilitare islamista libanese) decidessero di usare i propri missili dal Libano per colpire Israele, sarebbe l’inizio di un conflitto internazionale senza precedenti, ma ci chiediamo come sia possibile che la difesa di un popolo sia di fatto lasciato ad un gruppo di estremisti fanatici.
L’intera comunità araba dovrebbe unirsi e schierarsi a difesa della Palestina, ma ciò non avviene per mero interesse.
Quale? Basta osservare il volume degli affari che viaggia tra Israele ed Arabia Saudita. Del resto sono loro le Nazioni leader di una grande fetta dell’universo economico. Basta guardare i nomi dei membri dei consigli di amministrazione delle banche più potenti per scorgere figure provenienti dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi, dal Qatar, dallo Yemen. Paesi che sulla carta dovrebbero proteggere il popolo palestinese, ma che sottobanco lo tradiscono, lavorando e stringendo patti accanto agli israeliani.
Ecco l’ipocrisia. Ecco l’inganno.
Mentre sul campo di battaglia vengono commessi da Israele, giorno per giorno, crimini contro l’umanità. Trucidando un popolo inerme, alla ricerca di terroristi che con il servizio di intelligence del Mossad sarebbe perfettamente in grado di colpire senza il bisogno di devastare e distruggere intere città.
Un complotto internazionale in cui ognuno porta avanti il proprio interesse. Netanyahu pronto a salvare sé stesso dai processi ed evitare le condanne. I Paesi Arabi silenti in nome dei petrodollari. Gli Stati Uniti complici, proni e promotori di una promessa di pace farlocca. La Russia taciturna così come la Cina e lo stesso Iran, attualmente concentrato ad avere l’ok per l’utilizzo dell’energia nucleare.
Un negoziato che dura da anni che viene osteggiato dalla stessa Israele, in quanto teme che possa portare allo sviluppo di un’arma nucleare.
Un paradosso, se si pensa che sono oltre cinquant’anni che Israele, pur senza ammetterlo, produce armi nucleari. La stima parla di oltre 200 testate, tra cui mini-nukes e bombe neutroniche di nuova generazione, a cui si aggiunge la produzione di plutonio e trizio in quantità tale da costruirne altre centinaia.
Tenuto conto che l’unica potenza nucleare in Medioriente non aderisce al Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, che invece l’Iran ha sottoscritto cinquant’anni fa, ecco che si manifesta l’ennesimo atto illegale e criminale dello Stato israeliano. E, c’è da starne certi, se si sentono minacciati potrebbero anche essere tanto folli da usarle per colpire i propri stessi fratelli.
Allora sì che sarebbe la fine di ogni speranza.
Rimane l’ultimo appello alla democrazia israeliana. All’opposizione interna, agli scrittori, gli intellettuali ed i politici di sinistra. Che facciano pressione nel Parlamento di Israele e raggiungano una maggioranza trasversale e caccino il fascista e presunto corrotto Netanyahu affinché inizi finalmente la pace e si fermi il Genocidio.
Donbass è Palestina 2.. sterminio di popolo-
Ciao Cristina hai ragione e ne parliamo dalle nostre pagine. Seguiamo con attenzione quanto accade nel Donbass.