La negligenza nella gestione delle emergenze

I 600 giorni dell'emergenza sanitaria

Abbiamo prodotto 48 tipologie di immunizzati mai nella storia delle vaccinanzioni. Sistema tracciamento impossibile

di Sergio Bagnasco

L’emergenza è una circostanza imprevista nei tempi: non sappiamo quando potrà verificarsi il fatto emergenziale, ma sappiamo che esiste il rischio che si verifichi. Per questa ragione tutti gli Stati moderni si attrezzano per gestire e ridurre gli effetti dovuti a eventi critici.

Sebbene la locuzione “stato di emergenza” non abbia una precisa connotazione giuridica, essa rimanda allo stato di pericolo pubblico. L’art. 120 della Costituzione prevede che, in caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni.

Questa previsione è strettamente collegata alla lettera q) del 2° comma dell’art. 117 Cost. in base alla quale la profilassi internazionale è una competenza esclusiva dello Stato. Per profilassi internazionale s’intende l’insieme delle misure atte a prevenire e contrastare una situazione sanitaria di origine internazionale.

Inquadrato il tema nei suoi aspetti costituzionali, veniamo a quanto successo quando il rischio di pandemia da coronavirus divenne concreto e attuale.

Il 31 gennaio 2020 il Governo proclamò lo Stato di emergenza per sei mesi, rinnovandolo di volta in volta sino a oggi. (A questo link è possibile leggere la Delibera https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/02/01/20A00737/sg)

La delibera fa espressamente riferimento a un’emergenza sanitaria internazionale sulla base di quanto dichiarato dall’Organizzazione mondiale della sanità il 30 gennaio 2020; siamo quindi nel pieno delle competenze esclusive dello Stato e del Governo, come da norme costituzionali prima richiamate.

Lo stato di emergenza, per esplicita affermazione di chi lo ha emanato, mirava alla realizzazione di misure preventive atte a contenere il rischio imminente di crisi sanitaria, ma dopo il 31 gennaio non c’è stata la realizzazione di alcuna misura preventiva.

Lo stato di emergenza non ha influenzato la vita quotidiana. I festeggiamenti del carnevale, di san Valentino, le sciate sulla neve, le trasferte per il calcio … tutto si svolgeva con la spensieratezza di sempre. Non c’è stata alcuna pianificazione degli interventi, nessuna traduzione delle intenzioni in misure concrete.

Perché nonostante lo “stato di emergenza” non è stato fatto nulla per diverse settimane?

Questa inerzia del governo è probabilmente il prodotto della dominante cultura politica che preferisce l’azione emergenziale, trascurando la prevenzione e la pianificazione … che si tratti di discariche, scorie nucleari o pandemia …

D’altra parte, il Governo è espressione di una maggioranza politica, in questo caso una maggioranza variegata che ancora a fine febbraio minimizzava ogni cosa.

Dopo i provvedimenti su Codogno e Casalpusterlengo, quando da due giorni a Milano, scuole e università erano chiuse il sindaco Sala su Facebook il 25 febbraio scriveva: “Dobbiamo lavorare affinché questo virus non si diffonda, ma non si deve nemmeno diffondere il virus della sfiducia: Milano deve andare avanti”.

Nicola Zingaretti, segretario del PD, il 27 febbraio, a Milano affermava: “Ho raccolto l’appello del sindaco Sala. Non perdiamo le nostre abitudini, non possiamo fermare Milano e l’Italia. Usciamo a bere un aperitivo, un caffè, o per mangiare una pizza”. Il 7 marzo annunciava di essere positivo al Covid-19!

Il 27 febbraio Di Maio minimizzava quanto avveniva in Italia e invitava gli stranieri a venire in Italia (qui l’intervista https://tg24.sky.it/economia/2020/02/27/coronavirus-italia-turismo-di-maio).

Se questa era la sensibilità dei maggiori azionisti del governo, quando già avevamo le prime zone rosse, come poteva il Governo prendere decisioni più rigorose?

Non è consueto osservare i capi politici delle maggiori forze di maggioranza essere così sfrontatamente distanti con i loro comportamenti e con le loro parole dal più stringente atto emergenziale che un governo da loro sostenuto possa emettere.

E le opposizioni?

Salvini, il 29 febbraio a Porta a Porta: “Il mondo deve sapere che venire in Italia è sicuro, perché siamo un Paese bello, sano, e accogliente, altro che “Lazzaretto d’Europa” come qualcuno sta cercando di farci passare”.

Meloni, 2 marzo, davanti al Colosseo esalta le bellezze dell’Italia e si rivolge in inglese ai potenziali turisti: non siamo chiusi in casa “La realtà è un’altra… ci sono turisti ovunque, ristoranti, bar e negozi sono tutti aperti, le persone sono felici e il tempo è fantastico. Una normale situazione”.

Si è parlato di sottovalutazione, ma se si dichiara lo stato di emergenza, vuol dire che non c’è alcuna sottovalutazione del problema!

Questi atteggiamenti, ovviamente, alimentano le proteste perché a tanti sfugge il senso di provvedimenti restrittivi che fanno a pugni con quanto sostenuto fino a poche ore prima, nonostante da un mese fossimo in stato di emergenza.

Ecco allora il tentativo di nascondere la colpevole inerzia e negligenza dietro un piano pandemico che non era stato aggiornato.

D’accordo, è verissimo che colpevolmente il piano nazionale negli anni non è stato aggiornato per “la sorveglianza delle infezioni respiratorie acute”, ma è anche vero che questo non significa che il piano fosse inservibile e inutile.

In quel piano si affermava che in caso di rischio è necessario predisporre l’approvvigionamento di respiratori meccanici, di dispositivi di protezione individuali, mettere in sicurezza gli ospedali e il personale sanitario creando percorsi differenziati per i pazienti, predisporre misure per il distanziamento sociale. Misure che d’altra parte erano già note sulla base di quanto avveniva in Cina, ma cominceremo ad attrezzarci soltanto dopo metà marzo, perdendo settimane preziose che avrebbero potuto limitare i danni.

Il diario potrebbe proseguire con l’analisi dei mille provvedimenti contraddittori e grotteschi, ma sarebbe forse un inutile esercizio che nulla aggiunge a quanto già evidenziato.

Uno Stato moderno sviluppa la resilienza, vale a dire la capacità di superare eventi traumatici e periodi difficili, dotandosi preventivamente di strutture adeguate per fronteggiare situazioni che generano oggettiva difficoltà e pericolo.

Da qui l’istituzione della Protezione Civile, dell’Istituto superiore di sanità con il suo eccellente Centro epidemiologico, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo …

Eppure, in questo Bel Paese ogni volta che c’è da affrontare una situazione oggettivamente difficile ci si comporta come se si debba partire da zero e inizia il balletto dei Comitati tecnici, delle Task force, delle Cabine di regia …

Tutto ciò è il contrario della resilienza che, invece, valorizza le strutture e le competenze esistenti, la capacità di prevenire e programmare, di intervento, di lavorare in squadra, la conoscenza dei territori e della macchina centrale e periferica.

La gestione per emergenza, così prediletta dalla politica, consente il ricorso a procedure emergenziali che derogano alle norme codificate e allo stesso tempo genera una cortina fumogena che rende più difficoltoso vedere le responsabilità politiche e gli errori gestionali ….

Un’autentica manna per il trionfo della retorica e della propaganda.

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