Che fine ha fatto lo spirito costituente?

Attuare una costituzione richiede consapevolezza del proprio ruolo, visione storica e lungimiranza

Piero Calamandrei "Ore e sempre resistenza"

di Sergio Bagnasco

Con questo intervento abbozzerò una prima analisi di alcuni aspetti critici che hanno caratterizzato il nostro momento costituente, anche perché sono gli aspetti su cui dovremmo soffermarci per non persistere negli stessi errori e insuccessi.

Lo spirito costituente animò per circa diciotto mesi le 556 persone elette per scrivere la Costituzione italiana. Le parti politiche si confrontarono per trovare una sintesi e, come spesso succede, talvolta la trovarono in modo efficiente e talaltra produssero un mediocre compromesso affidando ai posteri la soluzione del problema. Quando ciò avvenne, fu compromesso il compito che i Costituenti si erano assunti.

Legge elettorale, funzioni dei partiti, bicameralismo, regionalismo, poteri di garanzia, diritti civili e delle donne … sono alcuni aspetti su cui il compromesso trovato fu insoddisfacente, pregiudicando l’attuazione della società che la Costituzione prospetta.

D’altra parte, i Costituenti erano direttamente coinvolti nella lotta politica quotidiana e quindi erano sensibili agli interessi di parte. Era l’Assemblea Costituente a dare la fiducia ai governi che si susseguirono fino alle elezioni del 1948 e, conseguentemente, i Costituenti risentivano della pressione provocata dalla competizione politica e dalle imminenti elezioni. Così, successe che anche il dibattito costituente fosse piegato a finalità elettorali.

Il 2 giugno del 1946 dovrebbe essere ricordato come il giorno in cui, insieme alla scelta tra Repubblica e Monarchia, si votò per scegliere i deputati dell’Assemblea Costituente ai quali era affidato il compito di scrivere la nuova Costituzione italiana.

La decisione di scrivere una nuova Costituzione, a prescindere dall’esito referendario, era il prodotto di una esigenza storica: dotare l’Italia di una legge fondamentale che non rendesse possibile il ripetersi di quanto avvenuto nel 1922-1924, vale a dire che un Parlamento democraticamente eletto decida a semplice maggioranza il proprio suicidio consentendo l’instaurazione di un regime totalitario.

La consapevolezza storica avrebbe dovuto indurre i Costituenti a elaborare un sistema di contrappesi e garanzie tale da consentire a chi ha i numeri per governare di governare, ma senza il rischio di stravolgimento della cornice costituzionale posta a tutela di tutti.

Ogni costituzionalismo, infatti, trova la sua ragione di esistere nella garanzia che una maggioranza o la maggiore minoranza non possa prevaricare le minoranze.

I Costituenti, invece, scrissero una Costituzione così povera di contrappesi che il dibattito politico è da sempre inquinato dal “pericolo democratico”, al punto che si forma una maggioranza tra avversari per “mettere in sicurezza l’elezione del presidente della repubblica”!

Se l’elezione del nuovo Presidente può rappresentare un rischio per la democrazia, come è stato sostenuto dalla maggioranza del Parlamento, significa che il Presidente della Repubblica non è un potere di garanzia! Infatti, un potere di garanzia è tale solo se prescinde dagli equilibri politici contingenti.

Da sempre c’è una parte politica che presenta la possibile vittoria dell’altra parte come un “pericolo per la democrazia”, eppure le diverse parti politiche da sempre inseguono la governabilità trasformando una maggioranza relativa in assoluta, esattamente come avvenne nel 1923 con la legge elettorale Acerbo.

Oggi come ieri, chi ha la maggioranza in Parlamento controlla l’esecutivo, dispone dei regolamenti parlamentari, può eleggere il presidente della repubblica, può condizionare la Corte costituzionale, può modificare la Costituzione senza nemmeno avere la certezza di un referendum confermativo.

Il Parlamento, dunque, può trasformarsi nella più temibile minaccia ai diritti costituzionali per la mancanza di contrappesi istituzionali.

Da questo punto di vista, i Costituenti hanno fallito perché non hanno saputo costruire una rete di contrappesi istituzionali.

Anche il dibattito in Assemblea Costituente intorno alla Corte costituzionale e alle garanzie, è sintomatico della sottovalutazione dei temi istituzionali.

Palmiro Togliatti, 11 marzo 1947 intervento in Assemblea costituente: “si teme che domani vi possa essere una maggioranza, che sia espressione libera e diretta di quelle classi lavoratrici, le quali vogliono profondamente innovare la struttura politica, economica, sociale del Paese; e per questa eventualità si vogliono prendere garanzie, si vogliono mettere delle remore: di qui la pesantezza e lentezza nella elaborazione legislativa, e tutto il resto; e di qui anche quella bizzarria della Corte costituzionale, organo che non si sa che cosa sia e grazie alla istituzione del quale degli illustri cittadini verrebbero ad essere collocati al di sopra di tutte le Assemblee e di tutto il sistema del Parlamento e della democrazia, per esserne i giudici. Ma chi sono costoro? Da che parte trarrebbero essi il loro potere se il popolo non è chiamato a sceglierli?”.

Togliatti, che evidentemente aveva già dimenticato il regime fascista, si mostrò ostile al sistema delle garanzie e alla Corte costituzionale, formata da giudici che non sono stati eletti dal popolo, come direbbe Salvini. Tutto ciò per Togliatti era un inciampo!

Si sottovalutava che nel sistema repubblicano si traghettavano le leggi fasciste che avevano compromesso i diritti individuali, sociali e associativi.

Così abbiamo convissuto con le leggi fasciste sulla religione di Stato e i “culti ammessi”, il reato di “incitamento a pratiche contro la procreazione” (abrogato solo nel 1978 sebbene dichiarato incostituzionale nel 1971 con sentenza n. 49), i reati contro la pubblica morale tra cui rientrava anche lo stupro … perciò una donna subiva violenza ma per la legge dello Stato era la “pubblica morale” a dover essere risarcita! E sarà così fino al 1996!

I Costituenti erano consapevoli che stavano traghettando nella repubblica nata “dalla resistenza e dall’antifascismo” leggi incompatibili con la Costituzione, ma ciò non provocava nella maggioranza di loro il minimo turbamento.

Lo spirito costituente contribuiva alla ricerca della mediazione, ma poco influiva sulla ricerca di modalità che agevolassero la realizzazione di quella società che la Costituzione delineava.

La Corte Costituzionale, per esempio, vide la luce solo nel 1955; la prima udienza si tenne il 23 aprile 1956 e riguardava una norma della legge di pubblica sicurezza del 1931, che richiedeva un’autorizzazione di polizia per distribuire volantini.

L’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio (Antonio Segni, futuro presidente della Repubblica), sosteneva che la Corte Costituzionale avesse competenza solo sulle leggi approvate dopo la Costituzione. Passò la linea che la Corte avesse competenza su tutte le leggi in vigore in Italia, prescindendo da quando fossero state approvate.

Grazie alla sentenza n. 1 del 1956 iniziò la lenta opera di bonifica delle leggi non in linea con la Costituzione, ma serviranno decenni per liberarci delle obbrobriose norme del Titolo X, “Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe”, previsti dal Codice Penale e la bonifica non è ancora conclusa.

La Costituzione prevede l’esistenza dei Partiti, ma senza regolarne la vita e le funzioni. I partiti dovrebbero agevolare la partecipazione dei cittadini alla vita politica, al fine di contribuire alla definizione degli obiettivi politici e alla scelta dei candidati tra i quali saranno scelti i rappresentanti politici del popolo sovrano. Invece, i partiti si sono sostituiti ai cittadini nella scelta dei rappresentanti politici.

Il risultato è la perdita di rappresentatività del Parlamento.

Il tema della democrazia rappresentativa è da sempre connesso con il ruolo e la natura dei Partiti: non può esservi democrazia se non sono democratici i partiti politici, sostenne Calamandrei in Assemblea Costituente.

In Assemblea Costituente la discussione divenne accesa quando si toccò il tema della democrazia interna ai Partiti sulla base dell’emendamento di Costantino Mortati, ma prevalse la tesi di rinviare al domani, come disse l’on. Merlin, la definizione delle funzioni dei partiti.

Un domani che non è ancora arrivato perché la Costituzione non pose alcuna norma stringente.

Il frequente richiamo allo spirito costituente stride con le frequenti sottovalutazioni dei Costituenti e l’indifferenza dei legislatori per i quali l’attuazione della Costituzione non è mai stata un punto centrale della loro attività.

Tutto ciò è anche il prodotto della circostanza che mentre i costituenti scrivevano la Costituzione pensavano anche, inevitabilmente, alle elezioni politiche che si sarebbero svolte a Costituzione approvata.

Molti temi dibattuti in assemblea costituente risentono del clima da competizione elettorale e furono utilizzati per fini propagandistici.

Un esempio clamoroso è l’art. 29 della Costituzione che considera la famiglia “come società naturale fondata sul matrimonio”.

Un evidente ossimoro: una società naturale che preesiste allo Stato non può fondarsi sul matrimonio che è un istituto giuridico determinato dallo Stato.

L’indissolubilità del matrimonio, rozzamente sostenuta dai vertici democristiani con Dossetti in testa, rispondeva a una strategia politica: costringere i comunisti a dichiararsi contrari all’indissolubilità del matrimonio in Costituzione per farli passare come dei divorzisti che vogliono distruggere la sacralità della famiglia; tema propagandistico di grandissimo impatto. Togliatti non cadde nella rete, ma a quale prezzo?

Il prezzo è stato l’approvazione di autentiche “perle” che macchiano in modo indelebile la Costituzione.

Eppure, continua a non essere compreso quanto sia pericoloso mescolare lotta politica e impegno costituente. Così i legislatori, in forza del potere di “revisione” riconosciuto dalla Costituzione, continuano a miscelare l’attività costituente con l’attività politica ordinaria e il risultato è che ogni volta che mettono mano alla Costituzione producono danni.

Evidente che sarebbe necessario definire i limiti del potere di revisione costituzionale. Il concetto di revisione richiama l’idea di una azione manutentiva per mantenere in efficienza qualcosa. Non ci sono però dubbi sul fatto che i tentativi di riforma del 2005 (Berlusconi) e 2016 (Boschi-Renzi), al pari di quelli ancora più vecchi, non erano di tipo manutentivo ma avrebbero condotto a un diverso assetto istituzionale.

Dovremmo probabilmente rinunciare a evocare lo spirito costituente e abbandonare la retorica sulla “Costituzione più bella del mondo”, per privilegiare l’analisi storica e la consapevolezza della funzione della Costituzione che deve essere al servizio di tutti e non servire interessi di parte

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