di Jacopo D’Alessio
Antonio Gramsci
La realtà oggettiva dell’essere sociale è la stessa nella sua immediatezza tanto per il proletariatoquanto per la borghesia.Gyorgy Luckàcs
Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere). Dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente.
Il post-moderno della Seconda Repubblica e la sua scissione dall’essere sociale
Il postmoderno invece è l’ideologia del tardo capitalismo che, dopo il crollo delle grandi narrazioni, inclusa quella socialista, è riuscito in circa quarant’anni a spoliticizzare del tutto le masse popolari, riportandole indietro nel tempo fino all’Ottocento. Quest’ultime sono attualmente persuase infatti di costituire monadi isolate e indipendenti, mettendosi a vaneggiare il mito, solo in apparenza sepolto, del Robinson Crusoe, e hanno sostituito gli ideali dei precedenti ismi con l’unica finalità consumistica del mercato (Jameson 1989) i. Il punto da considerare qui però è che anche il partito popolare, nonostante la buona fede, è composto oggi, come del resto accadeva in passato, dello stesso tessuto sociale spoliticizzato che ha finito per introiettare le logiche del grande capitale. Questo perché, come si è visto, soggetto po-litico e cosa in sé non sono affatto distinti l’uno dall’altro all’interno dell’essere sociale, anche se il primo, nella sua immediatezza, si illude di esserlo. La realtà oggettiva dell’essere sociale è la stessa nella sua immediatezza tanto per il proletariato quanto per la borghesia. Ma ciò non toglie che, a causa della diversa posizione che queste due classi occupano nello stesso processo economico, siano fondamentalmente diverse le categorie specifiche della mediazione attraverso le quali esse portano alla coscienza questa immediatezza (Luckàcs 1991: 198) ii. Se pen-siamo ad esempio alla sinistra post ’89 come Lotta comunista, che si è rinchiusa in una dimensione d’avanguardia iper-intel-lettualistica e incomunicabile verso l’esterno, oppure ai CARC (Comitati di Appoggio alla Resistenza del Comunismo), eterodiretti da un partito clandestino (Nuovo PC) che si eclissa di proposito dalla sfera pubblica per nascondere il suo progetto, ci rendiamo conto dello stato di dissociazione mentale anche del partito socialista post-moderno. Non fa eccezione una certa gamma di partiti al centro, come recentemente avvenuto con La mossa del cavallo del magistrato Antonio Ingroia, insieme alla collaborazione dell’ormai defunto Giulietto Chiesa. Questi ultimi, colpiti dall’ossessione del mero appuntamento elettoralistico, per ben due volte si sono persuasi invano di farsi conoscere agli elettori soltanto durante l’intervallo lampo della parcondicio, facendo a meno di un percorso egemonico tradizionale di lunga durata. C’è molto da riflettere nei confronti di questa totale indifferenza rispetto alle masse, escluse del tutto dalla prassi di partiti che, almeno sulla carta, si definiscono popolari. Si potrebbe sostenere infatti che il soggetto politico moderno fosse nevrotico nel senso riportato più sopra. Ovvero, che avesse dovuto rinunciare ad una forma di piacere narcisistico a causa di una rigorosa disciplina di partito, così come adeguarsi ad un ideale politico più importante rispetto all’opi-nione del singolo. In questo modo, infatti, chiunque fosse entrato a far parte dell’organizzazione politica doveva rinun-ciare a qualcosa della propria individualità per un bene più elevato. Ma fu proprio in virtù di tale cast-razione simbolica, per mezzo della quale il militante negava al contempo, marxianamente, la propria condizione alienata, che il progetto socialista potè essere diffuso al di fuori del partito. Fu in questo modo che i socialisti delle origini, fino a Berlinguer, continuarono ad incontrare il desiderio di vasti blocchi sociali, sebbene molti di loro inizialmente fossero stati ancora incapaci di accogliere il loro progetto. Pertanto, secondo Gramsci, il compito della futura classe dirigente consisteva anche nell’educare la popolazione per elevarla ad un livello di consapevolezza politica che in partenza non possedeva: (Questo è il) Merito di una classe colta, perché sua funzione storica è quella di dirigere le masse popolari e svilupparne gli elementi progressivi. Se la classe colta (tuttavia) non è stata capace di adempiere alla sua formazione, non deve parlarsi di merito ma di demerito, cioè di immaturità e di debolezza (Gramsci 2000: 117) iii. Completamente agli antipodi si presenta invece il soggetto politico post-moderno che, tanto nella forma istituziona-lizzata del Partito Democratico e di Forza Italia, quanto in quella dei partiti costruiti dal basso, come Lotta Comunista, non ha alcuna intenzione di abbandonare il proprio Ego particolare di cui, anzi, esalta puntualmente la condizione di libera e isolata identità perfettamente conforme a se stessa. E questo accade perché la sua difficoltà non consiste, appunto, nell’accedere al desiderio dell’ Altro fuori di sé. Il soggetto politico post-moderno non sente più la preoccupazione, come fece Gramsci, di riesu-mare nevroticamente il rimosso censurato dal Partito d’Azione, che era venuto meno al compito di incontrare le rivendicazioni dei contadini siciliani. Sono questioni che non sono più annoverate nelle strategie di questi partiti. Si tratta adesso piuttosto del problema dello psicotico che, prima di ogni cosa, ha rimosso l’esistenza del popolo vero e proprio, in quanto oramai riesce soltanto a vedere se stesso. Pertanto, non percepisce più il bisogno di instaurarvi una dialettica di alcun tipo nella misura in cui non traduce affatto tale perdita in un lutto. Detto in estrema sintesi, il soggetto post-moderno, al contrario dei Turati e dei Gramsci, si è convinto, nel suo delirio allucinatorio, di poter diventare egemone pur essendo privo di consenso, in assenza di qualsiasi mediazione con l’essere sociale.
Due forme di rimozione dell’essere sociale nella galassia sovranista-costituzionale
Non è un caso infatti come, diversamente dalle tesi weberiane del soggetto ascetico protestante, Lacan nel 1972 sostenesse invece che il capitalista cercasse di perseguire solo ed esclusivamente il fine del piacere assoluto, libero cioè da qualsiasi vincolo sublimatorio proveniente da ideali religiosi (e comunque universali), o da legami con altri attori sociali, entrambi posti al di fuori della propria etica di classe (Recalcati 2010) iv. Così, in tempi non sospetti, Lacan, ne Il discorso del capitalista, sembra aver anticipato davvero anche la parabola dei partiti post-moderni tramite due dinamiche apparentemente opposte ma che in realtà convergono sullo stesso punto: a) quella dell’emancipazione di un Es liquido, libero dalle mediazioni dell’essere sociale, che produce così un’espansione smisurata del soggetto in assenza di limiti esterni ideali, dove i legami con gli altri si riducono per questo motivo solo ad una proiezione feticistica di se stesso su quelli, tanto da fagocitarli; b) oppure quella simmetrica e specu-lare di un Super-Ego solido, liberato anch’esso dall’essere sociale, che tuttavia stavolta si ritira radicalmente entro un’identifi-cazione ideale del soggetto, recidendo gli agganci esterni con la prassi, dove pertanto i legami con gli altri si riducono in realtà ad una mera esibizione feticistica di se stesso al di fuori di essi, tanto da rimuoverli; Veniamo quindi adesso a considerare da vicino due esempi di area sovranista-costituzionale e neo-socialista che riproducono nella sostanza questi ritratti gemelli.
a) Partiti post-moderni privi di un ideale fuori di sé La prima impostazione corrisponde a quella del partito liquido che ha accentuato la componente kantiana del soggetto demiurgo. Per cui, una volta divenuto libero di fondare la propria legge, l’Io continua invece ad essere represso proprio in virtù del suo obbligo di godere contro ogni forma di legame e di disciplina esterna verso se stesso (Devo godere!). Fu Theodor Adorno (2000) v, per primo, a dimostrare che la conseguenza più evidente della Libertà dell’Es privo di mediazioni avesse generato l’opera letteraria del marchese De Sade, dove i suoi personaggi si macchiano di ogni genere di efferatezza sulla base di un proprio autogoverno che non doveva più tenere conto di nessun limite tranne quelli stabiliti razionalmente da loro medesimi. Così Juliette è la protago-nista dell’omonimo romanzo che, seguendo fino in fondo questa logica interna priva di un ideale fuori di sé, porta a compimento, uno ad uno, tutti i vizi di cui sarà capace. Ma, esat-tamente per questo, rimarrà infine prigioniera all’in-terno di un eterno ritorno da lei non scelto. Sarà difatti il mercato ad imporle le sue regole, così che la donna rimbal-zerà dalla casa di un protettore all’altro e, pur vivendo nello sfarzo, resterà sempre priva dell’opportunità di realizzare uno scopo eccetto quello di rimanere la cortigiana al servizio degli altri. Rientrano in questo tipo di clinica le patologie, tanto del tossico, quanto dell’ alcolizzato, i cui rispettivi malati tendono a ripetere gli stessi atti nell’ambito di un circolo vizioso, spinti da un impulso irrefrenabile di piacere perverso nei confronti di una fedeltà ossessiva verso la libertà assoluta (Recalcati 2010) vi. Tossici e alcolizzati, privi di un vincolo che possa imporsi dall’esterno per interrompere il loro ecces-so, si illudono infatti ogni volta di appagare il loro istinto insaziabile finendo invece per diventare succubi di quello stimolo. Oppure, ci rientra il caso del bulimico che distrugge il proprio corpo, mentre lo sottrae a qualsiasi costrizione, nell’idea angusta per cui il cibo sia in grado di offrirgli l’unica sensazione di piacere possibile. Si comportano allo stesso modo le masse spoli-ticizzate del XXI secolo, che hanno tramutato la loro condizione di lavoratori in quella di consumatori, quando antepongono la necessità di usufruire a tutti i costi di una merce, offerta loro dal mercato, a qella di lottare per esigere un diritto. Così come avviene nella metamorfosi dei cittadini in tifosi, quando si illudono di ottenere un cambiamento della politica lasciando però che siano sempre gli altri ad occuparsene al posto loro. È in questo modo che il potere nutre la folla mentre le dà in pasto uno scandalo sul quale lamentarsi piuttosto che domandarle un impegno attivo per la costruzione del progetto. La politica in questo caso ambisce a spettacolarizzare se stessa e, piuttosto di realizzare un autentico incontro con le masse, le manipola mediante un discorso che sia il più traumatico e scioccante possibile alla stregua di un intrattenimento puro. Ebbene, gli attori di una tale comunicazione consumistica possono essere soltanto dei soggetti narcisisti che, invece di ascoltare l’alterità dei lavoratori, viimpongono il proprio discorso. È questa in fondo la parabola del passaggio, da una strategia di partito incentrata sulla corretta diffusione del progetto politico attraverso la consueta propaganda, a quella delle mere apparenze dettate dal marketing, che ha avuto come suo capo scuola il produttore televisivo Silvio Berlusconi, seguito dai proseliti come Grillo, Renzi e Salvini. In questo caso il leader politico, sebbene venga colto in un continuo sproloquio con il popolo, non lo fa mai per proporgli l’ideale fuori di sé ma soltanto l’immagine cosmetica di una merce priva di contenuto. Appartiene sicuramente a questa scuola la figura del giorna-lista Gianluigi Paragone che, nell’attività quotidiana di sostituire lo spettacolo alla politica, finisce così per rimuovere il progetto del partito stesso. Difatti, la nomenclatura di Italexit stenta a penetrare i territori a causa della mancanza di un’organizzazione che rimane sempre disgregata sotto il peso del famoso showman, concentrato più che altro sulle sue performance piuttosto che sulla costruzione di una clas-se dirigente. Per cui, se da una parte, il popolo si avvicina ad Italexit proprio in quanto quest’ultimo riesce a godere della luce riflessa del leader, dall’altra, non lo fa rispetto ad un’ideale condiviso che prescinde dalla sua persona, quanto piuttosto a causa del tifo che viene rivolto verso la figura accattivante del personaggio tele-visivo. Di conseguenza, gli scandali giornalistici di Paragone diventano simili ad una droga come avveniva per il tossico, oppure al cibo per il bulimico, e riescono a placare la fame dei fan soltanto fino al prossimo scandalo mediatico, ma sempre a fronte della vuotezza del prog-ramma politico. Pertanto, il soggetto narcisista, slegato dall’ideale, si ingran-disce ma, proprio in conseguenza di ciò, le folle finiscono per seguire soltanto il leader, proprietario del partito, piut-tosto che riconoscersi in uno scopo collettivo e perseguirlo.
b) Partiti post-moderni privi di un consenso fuori di sé
La seconda impostazione invece, che si presenta apparentemente opposta a quella precedente, ma in realtà del tutto speculare, nasce a causa dell’identificazione solida del soggetto politico con il proprio dover essere ideale. Per cui l’Io stavolta si reprime a causa del suo obbligo di godere la tenace volontà di identificarsi con l’imperativo categorico (Devo ubbidire!). In questo caso, ci serviamo di Herbert Marcuse (2000)vii per spiegare come l’evoluzione più naturale della Legge kantiana precipiti inevitabilmente nella categoria del Super-Io separato dall’essere sociale. Secondo l’autore, l’utopia di un’emancipazione dal perbenismo vuoto che caratterizzava la Vienna di fine Ottocento, dove i desideri veni-vano risarciti parzialmente con le nevrosi, non si era affatto risolta in seguito alla rivoluzione dei costumi avutasi dur-ante il boom economico. Si trattava anzi di un’illusione. Il desiderio, ap-parentemente liberato grazie alla concessione del consumo, era stato assorbito invece dall’ industria del divertimento che, con regole codificate e strumentali, continuava viceversa a disciplinarlo. Diversamente da Freud, quindi, per Marcuse il capitalismo avanzato non aveva avuto più bisogno di pretendere dal soggetto una prestazione efficiente che gli veniva imposta tramite l’imperativo di una morale esterna. In maniera rovesciata e paradossale, ora la coercizione del mercato era stata introiettata direttamente dal soggetto che ne domandava il godimento mediante un comandamento etico proveniente da sé medesimo. Quello che Marcuse però non fece in tempo a vedere è come l’evoluzione di tale fenomeno potesse degenerare successivamente in patologie nuove, tipiche dell’intrattenimento alienato iper-moderno, una volta giunti alle soglie del tardo capitalismo (Recalcati 2010) viii. Rientra ad esempio in questa casistica il consumo digitale, secondo cui, di contro al rituale collettivo di una visione cinematografica, il soggetto libero preferisce tuttavia isolarsi per acquistare prodotti su Amazon e Netflix nell’ubbidienza ossessiva alla propria legge individuale. Oppure, quella del palestrato mentre compiace se stesso con la ferrea disciplina ma-sochistica necessaria per creare un fisico scolpito che assolva ai suoi fini esibizionistici, utilizzando gli altri alla stregua di spettatori passivi utili soltanto ad ammirarlo. Viene poi, ancora, il caso speculare dell’ anoressica che castra se stessa in modo altrettanto rigido ma, nel disperato tentativo di privarsi dei piaceri del corpo, non fa altro che ostentare con godimento la sua immagine sfigurata davanti agli occhi di un genitore assente e inaffettivo. Sono tutte figure sorelle della prassi solipsistica di un militante di partito che si limita alla cura autoerogena dei social, oppure a quella della conferenza, chiudendosi così ad ogni legame con il mondo del lavoro. Riconquistare l’Italia è il partito sovranista dal basso che appartiene a questa seconda categoria. Controparte di questo atteggiamento, simile a quello del consumatore digitale post-moderno, è difatti la strategia di una candi-datura d’ufficio in vista del mero appuntamento elettorale, organizzato con lo scopo di esibire il soggetto politico come fa il negoziante per mezzo della merce pre-confezionata di cui dispone in vetrina. Durante il brevissimo lasso temporale ‘usa e getta’ della par-condicio, ci si illude di instaurare infatti un legame con la popolazione, che viene ridotta alla stregua di clienti, perce-piti come meri spettatori-consumatori, cui è stato precluso il dialogo durante e altre fasi di vita dell’organizzazione. Così, l’auto-promozione alienata del soggetto politico, realizzata in assenza di qualsiasi forma di ascolto, oppure di una diffusione del pro-getto, verso i lavoratori, corrisponde, in ultima analisi, ad una forma identica, soltanto rovesciata, dell’ipernarcisismo di Para-gone, che escludeva anch’esso la prassi egemonica come era stata tradizionalmente intesa. Da notare come la ‘disciplina di partito’, osannata dal presidente Stefano D’Andrea (Appello al Popolo 2021) ix, faccia parte di un’autentica prerogativa iscritta nella letteratura socialista. Solo che, rispetto al passato, viene adesso distorta in modo perverso. Ovvero, la costruzione del Sé nell’ambito dell’organismo collettivo non serve più, come accadeva in Gramsci, a negare contemporaneamente l’egoità alienata del corpo militante affinché potesse evaderla per condividere il progetto politico all’esterno, grazie allo sforzo organizzativo del partito. Ma viene sigillata ora entro un’iper-identi-ficazione ideale, realizzata mediante l’addestrato cinismo di una monade, avvitata su se stessa, nel godimento narci-sistico di essere partito. Dunque, diversamente dall’Es liquido che informa Italexit con Paragone, che tramite il marketing celebra la figura del leader a discapito dell’ideale, stavolta è l’Io solido dell’ideale che celebra il partito tramite il marketing a discapito dei legami con l’essere sociale. Proprio il popolo, del quale, ironia della sorte, il partito
vorrebbe fare le veci, finisce difatti per essere considerato sempre nella sua condizione irriconoscibile e reificata, avulsa cioè da ogni forma di mediazione: ora come inutile e depresso consumatore, quindi incompatibile con il progetto; ora come utile spettatore che tuttavia, durante la campagna elettorale, dovrà assistere passivamente al progetto.
Conclusione. Il ritorno del rimosso contro le forme di rimozione del consumo
Nell’epoca post-moderna, lo strapotere del soggetto, che si esprime nella disperata affermazione narcisistica di molteplici Io alienati, conduce verso quello che Freud aveva definito pulsione di morte (Toderstrieb) (Freud 2006)x. Si tratta di una spinta auto-distruttiva che, se adeguata al nostro discorso, mostra di sabotare i vari tentativi di costruzione del partito moderno nazional-popolare a causa della riproduzione inconscia delle logiche di consumo come viene deter-minato dalle attuali leggi di mercato. Purtroppo, la castrazione simbolica, che aveva caratterizzato da sempre l’orga-nizzazione politica otto-novecentesca è stata rimossa, dando luogo: o ad un eccesso di forme irrazionali populiste che si lanciano per mezzo di proiezioni feticistiche di sé verso l’esterno; oppure ad un eccesso di forme intellettualistiche che congelano l’azione entro un sé feticista a dispetto dell’es-terno. La chiave per uscire da questa impasse non bisogna inventarsela ma si trova ovviamente nel vecchio concetto di egemonia così come emerge dai socialisti delle origini fino alla Prima Repubblica. Questi ultimi si servirono della filosofia della prassi per contrastare faticosamente gli ostacoli che impedivano la lotta e la diffusione delle loro idee grazie ad un saldo legame con l’essere sociale, e non certamente, co-me accade nella nostra epoca, tramite un’estetica nichilista che ne celebra la rimozione privata del lutto. Proprio questo si evince, ad esempio, in un recente articolo di Simone Garilli (2021)xi, dal quale emerge la precisa volontà di mettere in mostra la purezza del partito rispetto alle contraddizioni reali dalle quali si percepisce la missione epocale di rima-nerne scrupolosamente a distanza. Difatti, il discorso del capitalista non si limita a distruggere i legami sociali al suo esterno ma inghiotte anche la Storia, distorcendone la parabola, al proprio interno. E difatti l’immagine di una volontà soggettiva, che si proietta arbitrariamente sulla condizione dei nostri patrioti nel passato, durante il Ventennio, finisce per decontestualizzare quel periodo dalla cornice storica del socialismo nel suo insieme (Colorni 1962)xii. Non sembra chiaro infatti che la rivoluzione del 1943 sarebbe stata impensabile se non ci fosse stato quell’enorme sforzo di costru-zione egemonica accumulato nei sessant’anni precedenti, ma di cui oggi, dopo quarant’anni di dominio liberale, non si può più disporre. Fu infatti il risultato di quell’es-perienza, culminata tra il Biennio rosso del 21-22 e l’ingresso al gover-no con il PSU (Partito Socialista Unitario) di Matteotti nel 1924, che potè essere tesaurizzata dai socialisti anche durante il periodo di clandestinità. E’ proprio perché i partiti popolari clandestini erano riusciti a capitalizzare quell’egemonia sulle masse che poterono mantenere anche in seguito dei legami così forti verso di esse, tanto da poterne diventare infine la guida durante la guerra civile (Togliatti 1962)xiii. La Resistenza non fu infatti il risultato di quadri di partito rimasti isolati ma la conclusione del processo risorgimentale attraverso il quale si realizzò quell’incontro tanto agogna-to tra partiti socialisti e popolo che i partiti post-moderni non sono in grado di comprendere. i. Jameson F., Il postmoderno o la logica del tardo capitalismo. ii Luckàcs G., Storia e coscienza di classe. Milano: Sugarco Edizioni; 1991, cit. pg. 198. iii. Gramsci A., Il Risorgimento., cit. pg. 117.iv. Il discorso del capitalista, in Recalcati M., L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica. Milano: Raffello Cortina Editore; 2010. v. Excursus II. Juliette, o illuminismo e morale, in Adorno T., Dialettica dell’Illuminismo. Roma: Biblioteca Einaudi; 2000. vi Recalcati M., L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica. vii. La conquista della coscienza infelice: la desublimazione-repressiva, in Marcuse. H., L’uomo a una dimensione. Roma: Biblioteca Einaudi; 2000. Non è Mar-cuse ad utilizzare direttamente il paragone con Kant ma Freud che nei suoi scritti paragona super ego e imperativo categorico. Su questo filone, da leggere ad esempio il testo di Zupancic A., (a cura di) L.F. Clemente, Etica del reale, Kant, Lacan. Napoli: Othodes; 2012. viii Recalcati M., L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica. ix. ”Il partito non è il luogo dove il singolo esprime la sua personalità, il partito è un luogo di crescita, nel quale si imparano contenuti, regole, ratio di regole, disciplina, fermezza, tenacia, si apprendono esperienze. Poi, al momento
dei congressi, nelle forme dello statuto si dà un contributo volto a allargare la base programmatica o a modificare lo statuto o ad assumere una delibera strategica”, in Appello al Popolo, 16.04.2021 https://riconquistarelitalia. t/riconquistare-litalia-il-partito/.x. Freud S., Al di là del principio del piacere. Torino: Bollati Boringhieri; 2006.xi. Garilli S., Candidarci alle elezioni del 2023. Ad ogni epoca la sua rivoluzione, in Appello al popolo, 16.06.2021, https://appelloalpopolo.it/?p=65298. xii. La questione risulta imprecisa sul piano della ricostruzione filologica. Nel senso che i quadri di partito non si persero d’animo e cercarono egualmente di fare propaganda anche in modo clandestino con il mondo del sindacato, il volantinaggio presso i luoghi di lavoro, le riviste censurate che continuavano ad essere distribuite, ecc., anche prima del ’43. Per questo, vedi ad esempio: Colorni E., Intorno al manifesto del PcdI. La lotta all’interno del fascismo, in Merli S., Fronte antifascista e politica di classe. Socialisti e comunisti in Italia (1923-1939). Bari: De Donato editore; 1962. Ma il testo si cita più per spiegare la diversa attitudine di quel corpo militante anche nel contesto oppressivo a dispetto di quello odierno, piuttosto che l’effettiva efficacia di quel disperato tentativo di proseguire la propaganda. Tuttavia, c’è ancora un punto dirimente. E cioè che le manifestazioni spontanee dei partigiani e gli scioperi di fabbrica scatenatesi nel ’43 furono prontamente intercettati dai militanti dei partiti popolari, i quali si impegnarono tempestivamente ad interagire con tali gruppi mediante partecipazioni dirette e concrete, in virtù del fatto che questi ultimi erano in possesso di una lunga tradizione della prassi che aveva già insegnato loro come farlo.xiii. “La iniziativa spetta infatti, nella Resistenza, a quelle forze popolari che durante il Risor-gimento erano state ridotte a una funzione subalterna e talora persino battute, allo scopo di escluderle dalla direzione politica. Sono in prima linea, quindi, non le classi borghesi, inerti quasi sempre, quando non identificate col fascismo e con l’invasore straniero, ma gli operai, i contadini, il ceto medio lavoratore. Alla loro testa i comunisti, i socialisti, democratici radicali e cattolici d’avan-guardia. È un blocco storico del tutto nuovo, che sancisce la vittoria sul fascismo, conquista una Costituzione repubblicana e democratica avanzata e apre la prospettiva di nuovi sviluppi progressivi. La Resistenza quindi, per questi aspetti politicamente e socialmente decisivi, non ha continuato, ma corretto il Risorgi-mento” cit. in Togliatti P., Il Risorgimento e noi. Torino: ciclo di lezioni, febbraio-aprile,1962.
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