di Massimo Franceschini
Il mondo “alternativo” deve avere ben chiare prospettive culturali e responsabilità politiche. Credo occorra meglio comprendere un aspetto della realtà politica e civile, sul quale non credo si rifletta abbastanza: la questione relativa al mondo dei media indipendenti, o “alternativi”. Questa particolare riflessione parte da una principale necessità: dato che non possiamo più non ammettere di essere sottoposti al giogo di una “dittatura corporativa globale” che annulla le prerogative degli Stati di diritto, credo sia utile iniziare a ragionare su ruolo, prospettive e metodologie che un’informazione indipendente potrebbe e dovrebbe adottare per distinguersi dal mainstream ed evitare di essere risucchiata dal suo potere attrattivo e corruttivo, anche da un punto di vista tecnico- espressivo. È assolutamente certo che il Paese abbia bisogno di un’informazione libera, e di un panorama in cui anche la cultura, l’arte e l’intrattenimento siano svincolati dall’influenza mediatica corporativa, oggi soverchiante. In effetti, il mondo dell’informazione potrebbe molto in tal senso, ma sconta problemi per certi versi simili a quelli della “politica alternativa”, di cui facevo cenno nel precedente “Per la Costruzione di una Formazione Politica Unitaria di Liberazione Nazionale”. Veniamo quindi a ruolo, prospettive e metodologie. Per il ruolo credo sia abbastanza chiaro: l’informazione indipendente dovrebbe farsi carico, possibilmente nella maniera più coordinata possibile, di assolvere alle funzioni che dovrebbe avere l’informazione pubblica di una società democratica, organizzata in uno Stato di diritto. Se vogliamo avere una minima chance di restaurare la democrazia, e la Repubblica stessa, non possiamo più sopportare che l’informazione privata, praticamente imitata da quella che un tempo poteva ancora considerarsi “servizio pubblico” – perché dalle stesse corporazioni posseduta –, fornisca la “scenografia culturale”, la cronaca e l’agenda politica delle Nazioni: la lotta politica deve concentrarsi grandemente su questo aspetto, almeno tanto quanto si impegna per gli aspetti economici con sforzi che, forse proprio per questo, insieme ad altri problemi, non paiono sortire apprezzabili risultati. La politica esclusivamente “economicista” credo abbia ormai dimostrato la sua inade-guatezza: abbiamo visto le apparentemente soverchianti ragioni per la sovranità monetaria e contro la UE, diventare così incredibilmente vacue, data la capacità di penetrazione del “pensiero unico”. Per concludere con l’aspetto del ru-olo: finché saremo nell’attuale regime corporativo, che non lascia praticamente spazio alla diversità rispetto al mainstream, l’informazione indipendente non deve cadere nell’errore di voler svolgere un ruolo meramente “pluralista”, senza ricordare la necessità di rappresentare costantemente un’al- ternativa, ora grandemente inespressa. Non dobbiamo aprire la strada, anche il solo sospetto, al cedimento rispetto a prassi e contenuti mainstream, non possiamo permette il progressivo deterioramento visto tante volte: quindi nessun cedimento nei contenuti, ma al limite usare le posizioni del mainstream per argomentare contro, quando opportuno. Se il giornalista indipendente vuole essere efficace nel suo lavoro, deve quindi farsi anche un po’ “politico”, sia nella scelta dell’inquadratura come nella sceneggiatura, partendo però da una ben precisa scelta nel soggetto. E siamo alle prospettive. Come accennavo nelle premesse sin qui esposte, credo che l’informazione indipendente necessiti, per quanto possibile, di un forte momento unitario di coordinamento, proprio come auspico per la politica nel mio ultimo libro. Oltre a questo, arrivando al merito della questione prospettica, credo che i media indipendenti debbano porsi, per quanto possibile, come completamente sostitutivi rispetto al mainstream, quindi generalisti: se vogliamo che la gente inizi a capire come possa esistere un mondo diverso, se percepito con occhi liberi e senza conflitti di interesse, l’informazione e la cultura “alternative”, appunto tali perché libere, dovrebbero occuparsi di tutte le rubriche, anche relative al mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport; certo, eliminando le derive “realistiche” e competitive tanto care a quei media che fanno dell’intrattenimento distraente, ma al contempo emotivamente penetrante, l’arma principe nel condurre per mano le nuove generazioni in una realtà di falsa espressione e performance, omologata, destinata al nulla artistico e creativo, possibilmente transumano. Veniamo ora alle metodologie. Date le premesse, penso sia auspi-cabile anche un grosso ripensamento da un punto di vista tecnico-espressivo, proprio a demarcare la differenza con l’universo mainstream: strillato e terrorifico da un lato, distraente, ipnotizzante e falsamente informativo dall’altro. La realtà confezionata dalle corporazioni globali ci appare, a ben vedere, come una continua, ossessiva pretesa di convertire od inserire ogni contenuto in una veste “spettacolarizzante”, adatta al solo scopo intrattenitore. Occorre quindi marcare una diversità, non solo contenutistica, ma anche formale, espressiva, senza certo pretendere di eliminare le opportunità tecniche per raccontare tutto in modo asettico e didascalico. Occorre quindi un equilibrio, che può essere dato solo da una consapevolezza che vada oltre la conoscenza tecnica e storica, certamente necessaria, per ricostruire un’opportuna ri-cognizione del senso più puro e delle enormi responsabilità implicite nel concetto di “comunicazione”. Se non riusciremo in questo obiettivo, possiamo star certi che il mondo non riuscirà a sottrarsi all’oscuro reame della tecnocrazia transumanista, che apparirà ai più come l’unico eden possibile.
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