Breve riflessione sul giornalismo italiano

Cari doppi standard in merito ai casi "Navalny"

di Vittorio Regoloni
Dal momento dell’arresto dell’oppositore russo Alexey Navalny il tornado mediatico scatenato dai media e politici nostrani contro Mosca non si è ancora spento. Una sensibilità senza precedenti verso un caso simile, motivato con definizioni nobili come il solito sostegno di “diritti” e “democrazia”. Chi non ha letto i titoli strappalacrime con cui sono stati presentati i presunti maltrattamenti in carcere descritti da lui stesso sul suo profilo instagram? E quando lo hanno dato per spacciato, in punto di morte? Tutta questa narrazione prosegue, scadendo in ipocrisia ogni volta che vengono chiusi gli occhi di fronte a violazioni di diritti ben più limpide.
In questi giorni, ad esempio, in quell’Ucraina per cui si sono altrettanto spesi gli stessi giornalisti preoccupati da una possibile crisi militare, si sono intensificate le repressioni politiche. Ad essere colpito da queste repressioni c’è il deputato Viktor Medvedchuk, vertice del partito “Piattaforma d’opposizione per la Vita”, il quale è finito ai domiciliari. Medvedchuk, a differenza delle insignificanti percentuali di Navalny in Russia, gode di un forte appoggio, specie nelle regioni centro-orientali, dove si pone come garante dei diritti dei russofoni e considera che il conflitto “sia in gran parte dovuto alla politica interna del governo ucraino”. Una vera minaccia (politicamente parlando) per il presidente Vladimir Zelensky, eletto allora anche grazie al “voto di protesta” contro il partito della guerra rappresentato da Petro Poroshenko. Il politico – ora ai domiciliari – è stato accusato di “alto tradimento” per presunti affari tenuti in Crimea, dove, tra l’altro, lo stesso Zelensky detiene un immobile e paga puntualmente le tasse.
Renat Kuzmin, parlamentare ucraino e esponente del partito di Medvedchuk si è rivolto ai leader degli Stati membri dell’UE e del Consiglio d’Europa e agli ambasciatori del G7 chiedendo di condannare le pressioni del presidente Vladimyr Zelensky. Nel frattempo il vertice del Consiglio Nazionale per la Difesa e la Sicurezza dell’Ucraina Alexey Danilov ha proposto di spedire Medvedchuk in Russia in cambio di ucraini detenuti in Russia (magari gli estremisti arrestati a fine aprile?).
Appelli del genere non sono serviti nemmeno quando, di punto in bianco, nel febbraio 2021 a Kiev hanno deciso di mettere a tacere tre canali televisivi “112 Ucraina”; “ZIK” e “NEWSONE”. Per non parlare del blogger Anatoliy Sharij, costretto all’esilio in Europa a causa della sua opposizione non tollerata dal regime ucraino.
Inutile dire che i giornalisti nostrani, sensibilissimi ai diritti ed alla democrazia a targhe alterne, hanno ignorato quanto accaduto.
In molti potrebbero dire: “cosa me ne dovrebbe fregare dell’Ucraina?” Eppure la causa di molti problemi in Europa passa anche da Kiev e dalla mancanza di informazione su quanto accade in questi luoghi. Questi buchi neri fanno sorgere le fondamenta della propaganda e della disinformazione.
Per gli esponenti della politica occidentale e dei media fare luce su quanto accade potrebbe dare risultati spiacevoli. C’è troppa paura di far sapere che non tutti in Ucraina sostengono la guerra i guerrafondai e la linea ufficiale del regime. Se si scoprisse che per buona parte degli ucraini Mosca non rappresenta una minaccia, come potrebbero poi propinare a noi, in Italia e in Europa, lo spauracchio della Russia per giustificare dubbie posizioni politiche, geopolitiche o misure economiche di diverso tipo?

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