di Guido Grossi
Forse è venuto il tempo di mettere seriamente in discussione il concetto di Stato, così come lo conosciamo. Quello sostanzialmente fondato sulla rappresentanza parlamentare e sul contrappeso fra vari “organi” che, comunque, esprimono un “potere centrale”.
Il Potere è fondato sulla legge ma questa è sempre astratta, discutibile, interpretabile, e oggi lo stiamo toccando dolorosamente con mano quanto possa essere velleitario sentirsi protetti dalla legge, perfino da quella “costituzionale” che, almeno in teoria, avrebbe dovuto essere incorruttibile e insuperabile. Non solo: il Potere, per quanto fondato sulla legge, è e resta comunque il diritto di imporre una scelta; imporla con la violenza, anche se “violenza di stato” (polizia, carabinieri etc.). Direi che non è il massimo a cui possiamo aspirare in quanto esseri dotati di libero arbitrio (e, per chi vuole: in quanto esseri divini).
Il tema è cruciale: esiste un “bene assoluto” che un Potere centrale può e deve imporre”? Oppure il libero arbitrio è sacro, e va solo conciliato con il libero arbitrio del nostro prossimo?
Se la scelta è per il rispetto del libero arbitrio, un modo che rende possibile (almeno in teoria) una “conciliazione efficace” fra diversi liberi arbitri, è quello di “far condividere la scelta” ai diretti interessati, che sono i cittadini (o comunque i membri delle diverse comunità).
Spingere dunque a collaborare, tanto nell’analisi dei problemi quanto nell’individuazione delle soluzioni. Questo è dunque il tempo di immaginare altre forme di condivisione delle responsabilità politiche, per renderle più coinvolgenti, più vicine, più distribuite.
A scanso d’equivoci, non pensiamo certo alle forme ingenue di “democrazia diretta” che hanno infiammato l’immaginazione dei grillini e di tanti altri! Intuizione corretta, applicazione infelice.
La responsabilità della scelta condivisa, infatti, presuppone una serie di cose: elevato livello di coscienza sociale; formazione adeguata; informazione libera, corretta e plurale; capacità di impegno; disponibilità alla partecipazione; capacità di ascolto e di interazione non conflittuale; ma, anche: apertura e trasparenza delle strutture di partecipazione. Senza questi presupposti (tutti indispensabili!), il “diritto di votare su qualsiasi cosa” si trasforma in una colossale presa in giro.
Neppure possiamo rivolgerci indietro, verso quelle idee di “anarchia” non strutturate che, sebbene anch’esse nate da un’intuizione corretta, non sono riuscite a fornire una struttura alternativa allo Stato a sostegno dell’idea di libertà. Idee pur degne, ma non sufficienti.
L’Individuo esiste, ma non è isolato (circostanza confermata senza ragionevole dubbio dalle frontiere delle scienze della fisica e della biologia). Possiamo dunque domandarci: quale è la “libertà di un individuo che non è, né può mai essere, isolato? Quale struttura “unisce, ma non imprigiona”?
Forse la Co-scienza: cum scientia, “sapienza condivisa”?
Quella che permette di prendere insieme decisioni soddisfacenti per tutti, perché in grado di riconoscere e rispettare le esigenze reali di ogni partecipante; perché sa andare oltre le apparenze e sa distinguere i bisogni profondi dai “capricci infantili”, quelli che poi condizionano pressoché tutti gli adulti, ancora oggi, sebbene inconsapevolmente e in misura variabile.
Quella che esplora le frontiere della Cono-scienza e tende a completare e approfondire la rappresentazione di come sia fatto il mondo, dagli spazi stellari alle particelle infinitesimali e, soprattutto, si rifiuta di ignorare l’antimateria e quant’altro sappiamo che esiste ma non sappiamo (ancora) rappresentare.
Lungo è il cammino, ma almeno la direzione può essere chiara.
La gran parte degli italiani usciti dalla guerra non sapeva né leggere né scrivere. Oggi tutti leggono, scrivono e usano pure un cellulare. Ma restano da costruire con gran pazienza quelle capacità culturali, menzionate sopra, che sono indispensabili per potersi incamminare verso una forma politica partecipata in cui la responsabilità della scelta possa essere davvero, seriamente e proficuamente, condivisa.
Il metodo più efficace per imparare è attraverso l’esperienza e la riflessione sull’esperienza. Possiamo quindi ricercare quelle forme sociali che possono agevolare questo tipo di crescita individuale e collettiva.
Quali strutture politiche portano la decisione a livello distribuito, al fine di consentire l’esperienza, e contemporaneamente “spingono” verso la riflessione comune sull’esperienza?
Come si applica il criterio eventualmente individuato all’economia, alla finanza, alla scuola, alla ricerca, alla sanità, alla giustizia… e ogni altro ambito delle relazioni sociali?
Quale progresso materiale e spirituale dell’umanità potremmo impegnarci ad immaginare?
Sapremo costruire un organismo che leghi in maniera armonica gli individui alla Comunità Politica, immaginata come “essere vivente”? Un corpo (sociale) che racchiude le cellule (gli individui), ordinate in tessuti e organi (le strutture sociali), dove ogni cellula ha una funzione importante ed armonica.
Quell’obiettivo, se non altro, ci porta psicologicamente in un’altra dimensione, dove l’Io smette di pensare solo a sé stesso perché assorbito dal nuovo compito di “far funzionare” la relazione, necessaria a dar vita al nuovo Essere.
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