L’interesse nazionale come Metro di giudizio: il caso Draghi

Riflessioni sul governo Draghi

di Franz Ferrè

Mentre scriviamo queste note si intrecciano i commenti e le riflessioni sul governo Draghi, sulla lista dei ministri e su quello che sarà presumibilmente il suo programma. Tuttavia, credo che si possano riassumere tutti i possibili criteri di giudizio in uno solo: il neo-Presidente del Consiglio in che misura perseguirà l’interesse nazionale? Veniamo da decenni di teoria e pratica del “vincolo esterno”, adottato ormai diffusamente come metodo di governo, talmente generalizzato da avere esteso ampiamente il concetto stesso di “esterno” oltre i confini del singolo paese: tempo fa, il vincolo era rappresentato dai tecnicismi di “qualche economista morto” (come disse Keynes) che, dopo avere contribuito a provocare un paio di guerre mondiali, in Europa si erano incarnati in una istituzione sovranazionale – l’Unione Europea – che degli economisti morti ha fatto i propri idoli e h tradotto le loro polverose agende in diktat (ma non per tutti i paesi). Poi si stava affermando, tra molte difficoltà e non poche resistenze, il vincolo derivante dalle tematiche della così detta “agenda green”, alla quale tutti i governi avrebbero dovuto votarsi, ma ora, con l’“emergenza sanitaria” derivata dal Covid sembra che le élites abbiano trovato un espediente retorico talmente pauroso, e quindi talmente efficace, da diventare non solo permanente, ma da consentire anche il “recupero” in extremis anche della remunerativa agenda green.

Tornando a noi, l’interesse nazionale è stato a lungo e concordemente sacrificato prima di tutto in Italia, in nome del “fogno” europeo (alla Nichi Vendola), come disse esplicitamente l’allora premier Matteo Renzi in un tweet che ha fatto epoca (vedi immagine), configurando forse una fattispecie di “alto tradimento”, dato che il giuramento tuttora richiesto in sede di insediamento dei governi richiede ai componenti dell’esecutivo di agire “nell’interesse esclusivo della Nazione”. E il curriculum del neo-premier non lascia ben sperare, in questo senso, dato che ha lavorato per la gran parte della sua carriera per istituzioni o enti sovranazionali o multinazionali (Banca Mondiale, Goldman Sachs, BCE) e che, anche quando ha lavorato per entità italiane (il Ministero del Tesoro) si è distinto per operazioni che non hanno certo fatto l’interesse nazionale, ma hanno favorito, a volte smaccatamente, gli interessi di quegli enti sovranazionali che sembrano essere il suo vero habitat culturale.

Eppure, proprio oggi, nel bel mezzo della peggiore crisi della storia del capitalismo, imbrigliati nei meccanismi vischiosi della UE e immobilizzati da decenni di vincolo esterno, ci sarebbe lo spazio per fare – con il consenso di tutti i soggetti sovranazionali citati – delle politiche espansive a livello di singolo paese, in particolare in Italia! I dati macroeconomici parlano di un paese il cui crollo verticale del PIL non è stato compensato che in minima parte dalle misure del governo precedente, bloccato dalla propria servile insipienza che gli impediva perfino di chiedere ciò che gli sarebbe stato concesso. Un esempio per tutti: come riportato dall’ottimo Giuseppe Liturri su “LaVerità” e sul suo canale Telegram, verso la fine di gennaio la Germania ha ottenuto dalla UE fondi per decine di miliardi di Euro, finalizzati al completo indennizzo delle imprese del settore fieristico e degli altri settori ad esso collegati (bar, ristoranti, etc) bloccate dalle misure anti-Covid. Nello stesso momento, l’Italia otteneva, per le stesse imprese, rimborsi per un totale di circa 370 milioni con un tetto massimo di 800 mila euro ad impresa (pensate che la sola Fiera di Milano fatturava nel 2019 ben 230 milioni di euro). Favoritismi verso i tedeschi? Non del tutto: al di là del fatto che – come racconta Liturri – i tedeschi sapevano del varo della misura in sede europea prima che la misura stessa fosse pubblicata, il rimborso totale sarebbe stato comunque ottenibile da tutti i paesi che ne avessero fatto richiesta, Italia compresa, se non che il nostro governo ha qualificato la richiesta come “mancanza di liquidità”, anziché come buco vero e proprio di fatturato, accedendo quindi ad un capitolo diverso (ed inferiore) del programma di aiuti. Ignoranza? Stupidità? Timore reverenziale? Fate voi. Quel che è certo è che oggi l’Italia potrebbe, tra misure comunitarie ordinarie (non il Recovery Fund) ed acquisti di titoli pubblici da parte di BCE, garantiti per tutto il tempo che sarà necessario, reperire facilmente e senza condizioni tutte le risorse che la situazione richiederebbe, ma finora il governo in carica non lo ha fatto.

Tutto questo – a differenza dei vari Conte e Gualtieri – Draghi e il neo capo del MEF Franco lo sanno perfettamente. Quindi sarà facile determinare se avremo a che fare con un esecutivo valido oppure no, basandoci proprio su quanto il nuovo Governo perseguirà l’interesse nazionale, perché oggi, e almeno per i prossimi 12-18 mesi, non ci sono scuse: niente Fiscal Compact o austerità, nessun vincolo all’emissione di nuovo debito pubblico, nessuna procedura di infrazione. C’è solo la fame, e la povertà per i milioni di italiani che da 12 mesi ormai non guadagnano più nulla o quasi con il loro lavoro.

Certo, le varie istituzioni sopra citate si affrettano a dirci che il debito non si può cancellare (Lagarde) o che bisognerà presto riprendere il sentiero dell’equilibrio di bilancio attraverso prolungati e consistenti avanzi di bilancio statale che dovranno passare da tasse patrimoniali, tagli pensionistici etc (le “raccomandazioni” che vincolano i fondi del Recovery Plan). Ma tutto questo dovrà accadere “dopo” la fine dell’emergenza sanitaria, cosa che, tra varianti esotiche che spuntano come funghi e vaccini dall’esito ondivago, non sembra essere dietro l’angolo. Nel frattempo, molte saranno le occasioni per il nuovo Premier di far valere nelle sedi opportune quella che è l’indubbia statura del suo curriculum, questa volta nell’interesse dell’Italia. Per esempio, partendo proprio dalle “raccomandazioni” che fanno da precondizione per l’erogazione dei fondi del Recovery Plan; la Banca d’Italia, ha stimato, come riporta sempre Liturri in un suo articolo, che le misure di aiuto previste da questo strumento creerebbero una crescita del PIL italiano dello 0,5% annuo nei prossimi 4 anni; peccato che, per ottenerli, l’Italia dovrà impegnarsi a garantire avanzi primari di bilancio nell’ordine di 3-4 punti percentuali di PIL ogni anno, per tornare al 135% di rapporto debito / PIL già nel 2030 (oggi siamo poco meno del 160%). Draghi sa perfettamente che è impossibile che un qualsiasi paese possa ottemperare a tali richieste, come lo sapeva (e lo diceva ) Varoufakis nel 2015: spenderà il suo peso e la sua influenza per fare un tentativo di correggere tali assurde intenzioni, oppure lascerà il problema in eredità ai prossimi governi (tanto lui, presumibilmente sarà al sicuro al Colle), o addirittura non porrà in essere alcuna misura espansiva e si metterà da subito al servizio dei nemici dell’interesse nazionale, come ha fatto negli ultimi trent’anni della sua carriera? Il discorso alle Camere con cui ha chiesto la fiducia non lascia affatto ben sperare.

Follow the money, si dice quando si vuole dare la chiave per interpretare qualche mistero particolarmente complesso. Oggi con Draghi si potrebbe dire “follow the flag” ovvero “segui la bandiera”. Il 13 febbraio ha giurato anche lui di “servire l’interesse esclusivo della Nazione”; alla luce della sua recente onorificenza di Gran Croce al Merito della Germania, speriamo di non doverci troppo presto chiedere quale.

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