di Francesco Cappello
Derivati sul debito pubblico
Derivati sul debito pubblico per un valore di quasi 4 miliardi. Una scommessa, intorno all’andamento dei rendimenti dei titoli di stato che i nostri funzionari sapevano di perdere. La Corte dei Conti vuol vederci chiaro. A processo Morgan Stanley, Grilli e Siniscalco. Difensore della banca, l’ex sottosegretario del governo Monti, viceministro dello Sviluppo Economico sotto Letta, Antonio Catricalà, che in questi giorni è stato trovato “suicidato”. Tra il 2013 e il 2016 l’impatto negativo causato dai derivati di Stato è stato di 24 miliardi di euro (Reuters) e di 8 miliardi nel 2017 (Eurostat). Ricordiamo anche che il valore negativo dei derivati in essere al 31 dicembre 2017 era di 31,8 miliardi. A sovrintendere all’emissione di tali derivati da parte dello Stato, negli anni Novanta, in veste di direttore generale del Tesoro italiano era MARIO DRAGHI. Egli ha ricoperto quella carica per un decennio a partire dal 1991. A pensar male questa operazione, condotta ai danni delle casse dello stato e a vantaggio di grandi banche d’affari come la Morgan Stanley, lo abbia poi promosso alla Goldman Sachs. I Derivati sono strumenti appartenenti alla peggiore finanza speculativa.
L’acquisizione di Antonveneta sotto la regia di Draghi
L’attuale capitalismo ultrafinanziario vive grazie ai dissesti e ai fallimenti che sistematicamente provoca. È la fase ultima del processo di finanziarizzazione dell’economia. Si pensi alla catena di fallimenti delle più grandi banche europee, che anticiperanno l’arrivo della crisi americana in Europa, a seguito di quella frenesia per le fusioni bancarie del 2007, come emerse dalla indagine di Elio Lannutti e Franco Fracassi in Morte dei Paschi (PaperFIRST, 2017), che vedono dapprima l’olandese ABN-AMRO acquisire Banca Antonveneta a sua volta acquisite dal gruppo Santander, Royal Bank of Scotland e la belga Fortis. Il gruppo acquisisce ABN-AMRO, in una operazione del valore complessivo di 90 miliardi di euro, coinvolgendo, per iniziativa di Santander, la Fondazione Monte dei Paschi di Siena (presidente Mussari, condannato a 7 anni e mezzo) nell’acquisto fallimentare (a debito, senza mezzi propri, con strumenti ibridi, derivati) di Banca Antonveneta per 17 miliardi, il tutto sotto la regia di Mario Draghi allora governatore della Banca d’Italia, che autorizza l’acquisto con delibera del 17 marzo del 2008. A oggi nessuna condanna per Draghi né messa in stato di accusa, eppure il danno erariale che ha comportato l’operazione Antonveneta è stato di complessivi 64 miliardi. Al tempo, il nostro svolgeva anche il ruolo di presidente del Consiglio per la stabilità finanziaria, il Financial Stability Board (FSB), con sede a Basilea presso la BRI, organismo finanziario internazionale del G20 con il compito di evitare le crisi sistemiche, dotato di un’organizzazione, come descritta dallo stesso Draghi, “flessibile, tecnica e non politica” esso promuove la riforma delle normative a livello internazionale al fine di stabilizzare il sistema finanziario.
Banca Antonveneta era stata dichiarata in decozione dalla filiale della Banca d’Italia di Padova in una lettera riservata del marzo del 2007. L’operazione complessiva porta al fallimento di tutte le banche coinvolte che saranno nazionalizzate esclusa Banca Santander che con questa operazione, liberandosi di Antonveneta a spese di MPS, diventa la più grande banca del Sud America.
Il 2 giugno 1992, festa della Repubblica, sul panfilo Britannia
Al largo della costa di Civitavecchia, si erano dati appuntamento esponenti italiani tra cui M. Draghi, allora direttore generale del Tesoro, relatore alla conferenza introduttiva che presentò al mondo finanziario i pezzi d’industria pubblica in offerta speciale. La coppia Ciampi-Andreatta (autori del divorzio tra Tesoro e Banca centrale), R. Galli dirigente dell’IRI, M. Baldassarri, e investitori stranieri, quali Barclays, Goldman Sachs (futuro datore di lavoro di M. Draghi). L’evento era stato organizzato dalla British Invisibles più di 150 aziende del settore riunite sotto la sigla International Financial Services, una sorta di Confindustria di imprese finanziarie inglese. La finanza anglossassone, ben rappresentata sul Britannia, stabilisce un patto con i futuri tecnocrati italiani consistente nello smantellamento dell’IRI. Molti osservatori sono, infatti, d’accordo nel ritenere che quell’appuntamento avviò la stagione delle privatizzazioni italiane. Dietro le quinte Romano Prodi (il salvatore della patria), presidente dell’IRI dall’82 e per sette anni, la cui mission sarà quella di svendere pezzi dell’IRI. L’articolo 15 del decreto legge 11 luglio 1992, n.333, convertito in legge in agosto (n. 359), privatizza Iri, Eni, Enel ed Ina. Il virtuoso sistema delle banche pubbliche italiane sarà completamente privatizzato. All’elenco degli attori protagonisti delle privatizzazioni italiane va aggiunto M. D’Alema, presidente del consiglio in due fasi dal 1998 al 2000.
Dal ’96, comincia la privatizzazione dei servizi pubblici locali anch’essi trasformati in società per azioni in cui i Comuni, saranno obbligati a bandire gare per l’assegnazione del servizio a società miste e privati, a cui potranno partecipare con quote minoritarie. Il 21 aprile ’99, il governo D’Alema approva un disegno di legge che inizia il processo di privatizzazione dei servizi pubblici locali sino al DDL numero 772 del 2006: “Delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali”, presentato dal ministro per gli Affari regionali della Margherita Linda Lanzillotta e promosso dal ministro per lo Sviluppo dei Ds Pierluigi Bersani, Governo Prodi. Le aziende municipalizzate che erogano acqua, gas, elettricità, rifiuti e trasporti urbani, vengono trasformate in “imprese’’ secondo la più classica delle ricette neoliberiste. D’Alema vende persino beni demaniali ai privati, fra cui il Foro italico e lo Stadio olimpico. Frattanto continua la privatizzazione dell’IRI: Finmeccanica, Fincantieri, Autostrade, Alitalia, Aeroporti uno a uno messi sul mercato, fino alla liquidazione definitiva, il 28 giugno 2000. La privatizzazione di Ferrovie (decreto del 27.3.98) e dell’Ente Poste trasformato in Spa il 16.1.98 continua oggi. Il 2015 è stato l’anno delle Poste, il 2016 quello di Enav, nel 2018 si intende procedere con le Ferrovie dello Stato. La parte che si intende quotare in borsa, le Frecce e gli Intercity, è quella che promette margini migliori di redditività e perciò sicuramente gradita agli investitori; la rete dei binari rimarrà pubblica. Con la quotazione in borsa il miglioramento del servizio sarà sacrificato all’aumento dei saggi d’interesse, altrimenti il titolo perderebbe valore; l’aumento sarà realizzabile diminuendo gli investimenti e innalzando le tariffe che saranno richieste ai viaggiatori.
Banca universale e derivati
Nel 2001 il modello economico finanziario rivelerà la sua insostenibilità. Gli speculatori di borsa cominciano a disinvestire. I corsi azionari diventano decrescenti. Il focus degli operatori è ovviamente sulla redditività dei titoli borsistici. Nel caso in cui questo sia costante o crescente si investe al rialzo con un effetto feedback positivo che esaspera la tendenza al rialzo (+ si alzano e più li compri, + li compri e + si alzano). Gli operatori di borsa si dividono in due categorie fondamentali: quelli che guadagnano sempre indipendentemente dalla particolare congiuntura economica in atto giocando, quando è necessario, anche al ribasso e cioè sulle dismissioni, fallimenti e vendite, ecc. e i normali operatori di borsa (quelli che guadagnano solo quando i titoli vanno bene) che rappresentano la maggioranza. È su di loro che si scaricano le conseguenze negative del calo dei titoli borsistici. Alle banche, ormai tutte privatizzate, nel 1999, è concesso nuovamente il libero accesso ai giochi in borsa. È ripristinata, infatti, la banca universale che consente nuovamente la pericolosa commistione tra attività di finanza speculativa e credito con la cancellazione della glass steagall act negli USA ad opera di Clinton (ex membro della Commissione Trilaterale) e l’abolizione, voluta da Draghi (1993/94) in Italia, della corrispondente legge bancaria del ’36, sessanta anni dopo (1). Le banche possono così, tra l’altro, vendere ai propri clienti i propri titoli bancari.
Con la banca universale si diffonde in Italia una sorta di euforia bancaria sulla scia del boom di borsa degli anni ’90. Le banche iniziano a investire in campo finanziario (obbligazioni, titoli, azioni) inducendo al contempo la propria clientela di depositanti e correntisti a fare altrettanto, con la chimera di rendimenti elevati. La crisi della borsa arriva però già nel 2001. Le banche, infatti, non potendo speculare al ribasso ovvero sui titoli che perdono valore, utilizzano speculativamente particolari prodotti assicurativi, i derivati.
Fate presto! La lettera di J.C.Trichet e M.Draghi
Il tasso di interesse che ciascun paese avrebbe pagato sul debito contratto lo si è lasciato al mercato e anzi, attraverso l’uso di derivati tipo credit default swap (CDS), che sono certificati di assicurazione del credito, si permette all’acquirente di essere indenizzato in caso di insolvenza del debitore, anche nel caso in cui l’acquirente non coincidesse con il creditore. Ricordiamo che i CDS sono già stati utilizzati, in più occasioni, dagli speculatori finanziari per scommettere sulla tenuta o sul default di interi Stati, sia per far salire lo spread e quindi il tasso di interesse da corrispondere al sistema finanziario da parte dello Stato ma anche per indurre scelte e svolte politiche. Si pensi, a tal proposito alla, già citata, indagine di Lannutti e Fracassi (Morte dei Paschi), dove si rivela come MPS avesse stipulato con la giapponese Nomura e la Deutsche Bank particolari derivati a tassi di interesse piuttosto alti, legati all’andamento dello spread; derivati atti a nascondere i buchi di bilancio della fondazione, conseguenti all’acquisizione fallimentare di Antonveneta. A garanzia, MPS aveva ceduto alla Deutsche Bank i miliardi, in titoli di Stato, da essa detenuti. Nel 2011, il nostro debito pubblico subisce un attacco; Deutsche Bank mette improvvisamente sul mercato i titoli in suo possesso, scatenando il panico con conseguente fortissimo aumento dello spread, fino a 750 punti (una vendita, per 7 miliardi di euro su cui si attiverà una indagine della procura di Trani a carico dell’ex management di Deutsche Bank che ha beneficiato degli aumenti degli interessi dei derivati legati allo spread), e la conseguente pressione sul governo Berlusconi che porterà alla sua caduta, aprendo la strada al governo Monti.
L’avvicinamento di Berlusconi a Gheddafi e Putin non era ben accetto. Non trascurabile in tale contesto, oltre agli elevatissimi tassi di interesse che fummo costretti a pagare sul rinnovo del debito che in quel periodo raggiunsero punte del 7%, la pressione che arrivò sul capo del governo anche attraverso la caduta verticale in borsa delle azioni Mediaset ( – 40%) che insieme agli alti spread condurranno alla caduta del governo Berlusconi e al coinvolgimento dell’Italia nella guerra contro la Libia di Gheddafi (2). A giocare un ruolo determinante negli eventi appena ricordati la BCE di Mario Draghi e le maggiori agenzie di rating come Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch. Quest’ultime annunciarono per l’Italia il temuto downgrade dei titoli italiani a titoli spazzatura: dai loro rapporti risultava che il nostro paese si stesse indebitando in modo preoccupante con l’estero (quota di debito pubblico con soggetti non residenti) e anche le banche italiane stavano manifestando uguale tendenza di indebitamento con soggetti non residenti, da cui il repentino declassamento del rating italiano e dichiarazione di possibile rischio di fallimento per il sistema Italia. Tali analisi sono state successivamente confutate dalla sentenza del tribunale di Trani.
La BCE, con la famosa lettera di J.C.Trichet e M.Draghi, del 5 agosto del 2011, in cui «Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea, ritiene che sia necessaria un’azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori» anticipando il pareggio di bilancio in Costituzione, liberalizzando i servizi pubblici locali, adottando le riforme agevolanti la deflazione salariale, giungendo all’abbassamento del deficit dell’1% del PIL nel 2012 e ad un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa, si spinge a considerare che: «Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio» e «l’uso di indicatori di performance soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione», nonché l’abolizione delle Province. Come si vede le cosiddette riforme consistono nella richiesta di smontare lo Stato sociale, incoraggiare la deflazione salariale ovvero l’abbassamento del costo del lavoro a fini competitivi (Jobs Act), allungare l’età pensionabile (Fornero), in generale prosciugare ulteriormente la liquidità in circolazione per tenere bassa la domanda interna provocando recessione e deflazione permanente.
Riforme strutturali quali le privatizzazioni, riforme bancarie finalizzate alla svendita dei crediti incagliati (NPL) e alla trasformazione delle banche di credito cooperativo BCC e delle Banche Popolari in società per azioni insieme a riforme fiscali finalizzate all’innalzamento delle aliquote sono tutte operazioni che sono servite ad assicurare i mercati finanziari in merito alla solvibilità del debito da parte del paese. L’azione concertata delle agenzie di rating e delle ingiunzioni della BCE hanno portato alle dimissioni del governo Berlusconi, cui è seguita una sequenza di governi non eletti direttamente ma risultato di una sorta di prove generali di commissariamento dell’Italia che hanno messo in cantiere e realizzato tutti i punti indicati nella lettera.
Il quantitative easing inaugurato da Draghi gonfia i mercati finanziari evitando accuratamente di rilanciare l’economia reale. Le banche centrali stampellano il sistema finanziario che è diventato enormemente instabile e rischia di implodere come un gigantesco castello di carte.
Per procrastinare tale esito il Quantitative Easing della BCE è stato esteso all’acquisto delle obbligazioni di grandi imprese private (non solo titoli di Stato (2)), al fine di tenerne alta domanda e prezzi indipendentemente dalla loro qualità. In generale le grandi banche centrali non si sono fatte scrupolo di acquistare, togliendoli dalla circolazione, titoli tossici di varia natura evitando di intervenire sulla deregolamentazione finanziaria che viene lasciata libera di continuare a produrre i suoi guasti.
Il CEO – Corporate Europe Observatory, organizzazione attenta al ruolo delle lobby nelle decisioni europee, ha riportato la lista delle imprese e dei settori che hanno beneficiato di tali acquisti. Come è facile immaginare si tratta delle “solite note“. Eccone alcune: Volkswagen e BMW alla Shell e ancora Veolia, Nestlè, Coca Cola, Unilever, Novartis, Vivendi, Danone, le italiane Eni, Enel, Terna, Hera, Snam, ACEA, Assicurazioni Generali, Exor, A2A, Telecom Italia, Autostrade. Ci si chiede: sono davvero queste le imprese che chiedono credito e non riescono ad averne? O sono come è più facile pensare, le 4 milioni di piccole e medie imprese italiane tra cui gli artigiani, sulle cui spalle si regge quel che resta della nostra economia, a continuare a soffrire della stretta creditizia insieme all’enorme peso della imposizione fiscale e da ultimo i mancati fatturati per la crisi sanitaria e la chiusura coatta che ne è seguita?
Il ‘quantitative easing’ della BCE ha finanziato persino le multinazionali che affronterebbero il cambiamento climatico.
Qui l’elenco delle posizioni decifrate della banca centrale di obbligazioni societarie acquistate nell’ambito del Corporate Securities Purchasing Program (CSPP) Nationale Bank van België / Banque Nationale de Belgique.
Il sistema finanziario nell’attuale configurazione è un mostro di ricchezza fittizia che riesce a stabilizzarsi solo divorando ricchezze reali. La condizione necessaria a sostegno dell’inflazione finanziaria è, infatti, la deflazione, a cui viene condannata l’economia reale, e la disincentivazione ormai sistematica dell’iniziativa pubblica. La spesa per investimenti pubblici è stata demonizzata e presentata quale origine di ogni male e squilibrio economico. Chi propaganda lo spettro dell’inflazione brandendo lo strumento dell’austerità fa gli interessi della grande finanza. Le politiche di austerity sono complementari al sistema della finanza speculativa.
Che ne dite? Ha meritato la nostra fiducia o quella dei suoi padroni? Voi lo avreste premiato eleggendolo a salvatore della patria? Andrebbe piuttosto processato?
Nel suo nuovo ruolo di capo del governo chiederà che il nostro paese si giovi di politiche monetarie espansive non a debito come aveva lasciato intendere nel suo intervento sulle pagine del Financial Times o riprenderà le politiche di austerity reimponendo l’IMU alla prima casa come chiede l’Unione europea al fine di supportare e garantire i bond europei con tagli e nuove tasse a carico, ancora una volta, di tutti noi? Farà come con la Grecia? Metterà in atto la sua proposta di distruzione creatrice lasciando morire centinaia di migliaia di micro e piccole imprese colpite a morte dalla crisi economica, catalizzata dall’emergenza sanitaria?
(1) I risparmi si affidavano alle banche commerciali, ben altra cosa rispetto a quelle d’affari le quali, a partire dal ’94 e per volere di Draghi, hanno cominciato a riunire e confondere nello stesso soggetto finanziario i due ruoli di banca commerciale e di affari (che fanno speculazione finanziaria). Il Testo Unico Bancario, TUB (“Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”), testo legislativo del 1993, entra in vigore il 1 Gennaio del 1994 a sostituzione della legge bancaria del 1936. Esso regolamenta i rapporti tra istituzioni bancaria e finanziarie con il cliente. Abbandona la concezione di banca intesa come pubblica istituzione, ritornando alla definizione di “Banca Universale”, le cui funzioni vanno al di là della intermediazione finanziaria estendendosi a tutta l’attività finanziaria tipica delle banche d’affari.
(2) Gheddafi è stato ritenuto “colpevole”, in qualità di Presidente dell’Unione Africana, di lavorare alla messa in opera di istituzioni finanziarie africane indipendenti che permettessero la istituzione di monete nazionali africane libere dal giogo finanziario coloniale.
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