Il vento che soffia da Est

Prova di coraggio

di Alessandro Fenyves

Di recente i media italiani hanno dato notizia del veto, da parte di Polonia e Ungheria, sui fondi europei del Recovery Found, asserendo che tale azione comporterà un rallentamento delle trattative, quindi un ritardo nella ricezione dei fondi stessi. Si punta nuovamente il dito sui premier dei rispettivi Paesi in particolare su Viktor Orbán, capo del Governo ungherese, spesso accusato di mancanza di rispetto dello stato di diritto e dei valori democratici alla base del progetto europeo. Quello che non viene menzionato dal mainstream, è che l’accesso ai fondi è condizionato dalla subordinazione da parte dei Paesi membri alle regole e ai diktat dell’UE. Regole, che non tengono conto né delle Costituzioni né delle tradizioni dei singoli Stati, condannando invece chi difende le proprie identità nazionali. Il Governo ungherese viene regolarmente dipinto come una dittatura; al Parlamento europeo l’ex-presidente socialdemocratico Martin Schulz ha ribadito che il partito di maggioranza Fidesz ostacola la libertà di stampa, non è incline all’apertura sulla teoria gender macchiandosi di omofobia, oppone resistenza anziché favorire l’immigrazione, quindi razzista. Il progetto sull’immigrazione portato avanti dall’UE, è speculare al “piano Soros” il finanziere che con la sua Open Society, finanzia ONG e Think Tank promuovendo la «società aperta», un mondo in cui, cancellate le frontiere, non vi sia più ostacolo allo spostamento di persone e merci sotto il potere della grande finanza, fonte del suo immenso patrimonio.

Osservando con un occhio più attento senza lasciarsi influenzare dalla nauseante propaganda mainstream, converremmo che nello Stato magiaro, esiste sia la stampa a favore del Governo che quella di opposizione, le decisioni sulle politiche in favore della famiglia, sono proprie di ogni Paese sovrano, si possono avanzare critiche, ma è impensabile e moralmente deplorevole condannarle come sta facendo l’UE. La difesa del territorio e dei suoi confini, la protezione dei propri valori e identità nazionali, rispecchiano le tradizioni, la cultura e la storia del popolo stesso, quello ungherese, che tanto ha subito prima dalla dittatura nazifascista, poi con quella altrettanto spietata del regime comunista.

Permettersi di accusare un Paese sovrano, perché non accoglie il numero di immigrati voluti da Bruxelles, può definirsi democrazia? non ricorda piuttosto quell’atteggiamento di superiorità proprio di certi regimi?
Affrontando invece il tema dei fondi europei, bisogna ricordare che l’Ungheria riceve circa quattro miliardi di euro all’anno dall’UE, mentre i paesi più ricchi dell’unione, in primis la Germania, ricevono indietro circa sei milioni di euro all’anno provenienti dalle aziende operanti sul territorio magiaro. Chi ne trae più vantaggio dunque? Ungheria e Polonia sono davvero quegli Stati parassiti che vogliono farci credere? Oppure infastidisce che all’interno dell’UE ci siano ancora Paesi che si permettono di rivendicare la propria sovranità rifiutando di inginocchiarsi, utilizzando strumenti legittimi come il veto.

Ad ogni modo il confronto avvenuto al Consiglio Europeo su bilancio e Recovery Found, ha visto trionfare Ungheria e Polonia di Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki, che respingono il ricatto di Bruxelles, liberando i fondi europei dal vincolo dello stato di diritto. Mentre i media italiani di parlano di successo di Angela Merkel e di veti superati, il deluso filantropo e speculatore George Soros, attraverso il Project Syndicate e i suoi canali social parla di “costi della resa della Merkel per il ricatto ungherese e polacco”. Questa è solo una delle battaglie vinte dai Paesi del patto di Visegrád, ne seguiranno altre in cui dovranno dimostrare davanti all’Europa la loro fermezza.

La stessa risolutezza dimostrata dal premier ungherese, sfidando apertamente l’UE per l’interesse della propria Nazione, sarebbe auspicabile vederla finalmente da parte dei politici italiani, sempre a capo chino quando si tratta di portare a casa dei risultati, soprattutto in un momento così delicato. Se si potesse rivolgere un commento costruttivo a tutto il Parlamento italiano, bisognerebbe sollecitare tutti a prendere coraggio, a sfidare regole e trattati pur di dimostrare il proprio valore di fronte al popolo che sta soffrendo. Le risorse ci sono, e le difficoltà vanno affrontate senza nascondendosi dietro a improbabili DPCM, ma dando sfoggio di saggezza e capacità degne di questo grande Paese e degli uomini che lo resero il numero uno nel mondo.

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