di Andrea De Lotto
Sarà capitato anche voi quando eravate ragazzini di guardare la cartina dell’Africa e vedere che sotto il Marocco c’era una zona con un colore non ben definito e dei confini non ben chiari. E magari un nome che poteva variare: “Sahara occidentale” con, tra parentesi, (ex Sahara Spagnolo). Insomma già da lì si capiva che la questione non era né chiara né definita.
E allora come un salmone lungo un torrente proviamo a risalire la corrente e capire da dove viene questa storia.
Come tutti sappiamo a fine ‘800 gli stati europei si erano buttati sull’Africa come bambini su una torta, a chi ne prendeva di più, un pezzo di qua, un pezzo di là. La Spagna non era tra i protagonisti e si accontentò di zone meno ricche. Una di queste fu quella zona tra mare e deserto. Sembrava comunque che le isole Canarie valessero di più di tutto quel vasto territorio. Comunque, come avvenne per molti nullatenenti europei, fu sempre un luogo dove trasferirsi, avere una casa, una terra, e sentirsi pure padroni, magari con la servitù a poco prezzo. Figurarsi se con 40 anni di dittatura di Franco non era un “fiore all’occhiello” un bel territorio al caldo.
Negli anni ’60 quasi tutta l’Africa si libera dalla colonizzazione, abbiamo ben presente “La battaglia di Algeri”, film simbolo di un periodo. Quel misto di una lingua europea e di arabo. Francesi, portoghesi, inglesi, olandesi fanno le valige. Gli spagnoli quatti quatti rimangono, la forza originaria di quella zona, che come altrove si è costituita in partito e in guerriglia di liberazione, non è forte abbastanza. Questo neonato Fronte Polisario non è ben armato e numericamente non è sufficiente.
Per farla breve: alla morte di Franco, fine 1975, gli spagnoli si ritirano. Ma prima firmano un accordo con Marocco e Mauritania. Gli spagnoli se ne vanno senza formalmente “decolonizzare” la zona tanto che, curiosamente, sulla carta sono ancora “responsabili sulla zona”!! Il popolo Saharawi sente che sta passando dalla padella alla brace, tanto che qualcuno invoca che gli spagnoli non se ne vadano, che li lasciano sotto ben altro tallone. Così avviene. In men che non si dica il re del Marocco, Hassan secondo, inneggiato da una popolazione che in fondo, come ahimè avviene ovunque, ha sempre “qualcuno più a sud di loro”, organizza la cosiddetta Marcia Verde.
Chissà se ha ricordato in qualche modo la “Marcia su Roma”, di fatto la organizzò bene il re: “Andiamo a prenderci la nostra terra! Il Sahara è nostro!! Avrete terra e libertà, andiamo a riprenderci quello che era nostro!!” 10.000 camion attraversano migliaia di chilometri: 350.000 persone accampate, che si fermano e ripartono, tende, cibo, camion e benzina per tutti. I Saharawi sono come un formicaio impazzito. Dove andiamo?? Come resistere. Tirano fuori le loro armi, ma sono troppo poco.
Buona parte della popolazione scappa verso l’Algeria, una parte rimane. Il territorio è invaso. Il Marocco è il nuovo padrone che si insedia e come le iene del “Re leone” si spartisce a morsi e brandelli tutto quello che c’è. Quanti erano i Saharawi? Meno di mezzo milione. Dove finiscono? Un duecentomila circa rimangono sotto occupazione, un centocinquantamila nei campi profughi in Algeria, il resto sparsi nel mondo, soprattutto in Spagna perchè in molti arrivano in Spagna con… documenti spagnoli!!! Certo erano cittadini del regno di Spagna, cittadini spagnoli. Curioso.
Il Marocco ha un esercito vero e proprio, armi, aerei. Bombarda anche con il napalm quelli che scappano, quelli che resistono. Le immagini di quel periodo sono raccapriccianti. Provare a nascondersi nel deserto è dura. I Saharawi diventano “il popolo del deserto”… Dimenticavamo: e la Mauritania? E’ come quei fratelli un po’ storditi: cerca di prendere la sua parte, di buttarsi sulla mangiatoia e mangiare anche lei, il fratello marocchino è più forte e prepotente e la mette da parte. La Mauritania si ritira con la coda fra le gambe.
I Saharawi si distendono lungo il deserto e iniziano una guerra di resistenza che diventerà di logoramento reciproco. 16 anni di guerra. Avranno avuto aiuti i Saharawi? Probabile, Algeria e chi sta dietro di lei, in primis, ma a combattere ci sono solo questi uomini col turbante azzurro. Per quanto possa essere veloce e furbo il topo, il gatto è sempre il gatto.
Arriviamo al 1990 con un bel “nulla di fatto”. Come due pugili suonati, esercito marocchino e Fronte Polisario sono stremati. Si fermano. Sicuramente ci sarà stato che diceva “Avanti!! Questo è il momento di dare il colpo finale!!” Ma ecco che arrivano le Nazioni Unite.
Arrivano come quei personaggi dei cartoni animati: “Vecchi, tronfi, che un po’ non capiscono, un po’ fanno finta di non capire, bofonchiano qualcosa, ma sanno che sono loro i più forti, con grande paternalismo!” Strizzano probabilmente più di un occhio e dicono: “Fermi! Che la pace sia con voi!! Basta armi!” Si riuniscono e si riuniscono, fino al verdetto: il prossimo anno si farà un REFERENDUM, e il popolo Saharawi deciderà se restare “provincia marocchina” o essere indipendenti.
Credo che il re del Marocco a suo tempo abbia masticato amaro, ma forse aveva già qualche garanzia sotto banco: “Quel prossimo anno si sarebbe potuto ripetere anno dopo anno.” E così è stato.
Il popolo Saharawi che era già pronto a smontare le tende dei campi profughi cominciò a costruire le prime case di mattoni di fango e poi di mattoni veri e propri. Alla fine quei campi profughi in Algeria sono diventate delle specie di cittadine. Qualcuno probabilmente ha anche detto: “Vabbhè si mangia anche così, la solidarietà ci aiuta, ogni tanto facciamo qualche manifestazione….” Ma sotto la cenere la rabbia si manteneva viva. Vi sono state azioni esemplari che hanno commosso il mondo: scioperi della fame, lotte di resistenza, fino al campo di Gdeim Isik culla delle primavere arabe. Un accampamento con centinaia di tende in mezzo al deserto, che venne, dopo un mese, raso al suolo dall’esercito marocchino.
Insomma, la situazione si cristallizzò dal 1991 fino ad oggi: ogni tanto i Saharawi riuscivano a farsi sentire, le loro pressioni presso Onu, mezzi di informazione, lega araba, comunità degli stati africani, continuavano. Ma dall’altra parte il Marocco aveva investito parecchio: la produzione di fosfati era formidabile, mentre la pesca era ricchissima. Come proteggere il bottino? Visto che avanzavano mattoni dal muro di Berlino, ecco come riciclarli: un bel muro (di fatto di sabbia, ma pur sempre muro) lungo 2700 chilometri. Come da Napoli a Stoccolma!!! E con torrette e militari ogni tot chilometri!! Pazzesco. C’è chi parla di 100mila soldati dispiegati lungo il muro, chi parla di 300mila, fate voi.
Ci vorrebbe uno tipo Gualtieri a dirci se le entrate coprono tutta questa spesa militare, o se in fondo è il vecchio e sempre verde “imperialismo” che non fa cedere di un passo il nuovo Re!! Tanto che anche i soldati marocchini in passato si sono lamentati con serie proteste su come sono stati trattati dal loro governo.
Comunque, torniamo come all’inizio ad una cartina, ma questa volta andiamo più nel dettaglio:
La gran parte del Sahara Occidentale è occupato dallo Stato Marocchino, se voi prendete il vostro camper e le vostre tavole da surf e scendete lungo la costa, quando vi avvicinate alla vecchia capitale Saharawi, El Aiun, è possibile che siate guardati a vista, non sia mai che oltre a riprendere le alte onde dell’oceano non vogliate intervistare qualche attivista Saharawi per i diritti umani, ricevereste un caldo invito a tornare indietro e ad accontentarvi delle onde di Agadir.
2700 chilometri e qualche milione di mine separa la zona occupata da quella cosiddetta “liberata” dove i Saharawi possono muoversi liberamente. Una striscia di terra tra la loro vecchia terra e Algeria e Mauritania.
Al sud dell’Algeria, in fondo in fondo, ai margini dell’Algeria, in mezzo al deserto ecco i campi profughi, come dicevamo, oramai trasformate in cittadine.
La popolazione che vive all’interno della zona occupata è letteralmente circondata da abitanti marocchini che nel corso degli anni si sono stabiliti lì. La polizia li guarda a vista e appena accennano a manifestare ecco le camionette, i getti d’acqua, i manganelli, su, su, fino a carcere, botte e torture.
Per il Marocco la questione è chiusa, silenzio. Va tutto bene.
Per i Saharawi no, e cercano in tutti i modi di alzare un grido per farsi sentire dal mondo.
Così è successo un’ennesima volta un mese fa.
Se tutta la zona occupata è circondata dal muro non manca nella zona sud, verso la Mauritania, un bel passaggio, e una lunga strada che permette alle merci di passare. Il Marocco esporta verso Sud: Mauritania appunto, ma anche Senegal e resto dell’Africa. Quella strada passa però per quei pochi chilometri nella zona “liberata”. Non era la prima volta, ma l’hanno fatto forse più a lungo questa volta: un blocco di uomini e donne che ben organizzati, si erano accampati lì, per non far passare i camion. Un blocco pacifico, come potrebbe essere dei camion tra Austria e Italia. Una lunga coda di camion.
Vi immaginate il re del Marocco che cammina avanti e indietro nelle sale del suo palazzo? “Ma come si permettono, ancora una volta!! Con tutto quello che facciamo per loro, gli abbiamo anche proposto una bella autonomia, ancora rompono le scatole!! Adesso tornano magari i giornalisti!” A un certo punto non ci ha più visto. Come una semplice operazione di sgombero, come succede in val di Susa ogni tre per due, ecco arrivare la polizia e dire. “Largo, largo, circolare!!! Lasciate passare, spazio!!” I manifestanti si ritirano, ma arrivano i cugini armati del Fronte Polisario. “Avete passato il limite, noi rispondiamo al fuoco”. Olè, si ricomincia a sparare. Questo è il punto in cui siamo.
La preoccupazione è grande, ma che nessuno creda di fermare le armi dicendo semplicemente “Rimettiamo tutto come prima, come un mese fa.” Il popolo saharawi è esausto e soprattutto deciso a difendere la propria dignità. Poco si puo’ fare contro un popolo in rivolta: o lo si ascolta o lo si massacra.
Che l’Europa si renda presentabile. Che la Minurso (la missione dell’ONU presente in zona dal 1991), smetta di fare l’orso in letargo. Che Francia, Spagna e Usa diano qualcosa in cambio al Marocco, ma che questo molli l’osso. Basta occupazione, smantelliamo quel muro, sminiamo quella zona. Che il popolo Saharawi possa tornare a casa.
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