Il conflitto politico e territoriale nella società catalana e spagnola

Non è finita sono aperti nuovi fronti

di Ronaldo D’Alessandro

Conflitto catalano spagnolo

La pandemia e la crisi economica (resa particolarmente acuta in una città come Barcellona a causa del modello economico basato in gran parte sul turismo di massa) hanno messo la sordina alla situazione di conflitto politico e territoriale che da anni attraversa la società catalana e spagnola. Conflitto che però, ben lungi dallo scomparire, si è piuttosto “spalmato” su numerosi fronti.

A livello internazionale i diversi partiti sedicenti costituzionalisti (il tridente della destra spagnola, Vox-Partito Popolare, Ciudadanos più il PSOE) portano al parlamento europeo l’offensiva – fallita a livello giudiziario dopo il rifiuto di tribunali tedeschi, scozzesi, svizzeri e belgi di accogliere i mandati di cattura spiccati da quelli spagnoli contro i membri del governo – per l’estradizione di Puigdemont e degli altri due deputati indipendentisti eletti.

In Catalogna i vari corpi polizieschi – mossos d’esquadra, polizia autonomica catalana, compresi – e in particolare la Guardia Civile continuano a portare avanti indagini, con o senza ordine giudiziario, volte a incriminare il massimo numero di organizzazioni o individui dell’area “separatista”.

È costante lo stillicidio attraverso fermi, denunce, multe: giovani antifascisti accusati di “delitto d’odio” per aver ostacolato comizi di Vox o aver espulso un gruppo di neonazisti dal paese dov’erano andati a provocare. Manifestanti ora aggrediti da poliziotti in borghese o da elementi di estrema destra, ora fermati e schedati. Elaborazione di archivi polizieschi di “elementi sovversivi”.

La Fiscalia (Procura del Regno) resta attivissima nella creazione di macrocause in cui ricorre addirittura alla fattispecie penale di “terrorismo” per imputare centinaia di partecipanti al blocco della frontiera con la Francia o dell’Aeroporto di Barcellona.

Sempre in ambito giudiziario, mentre il Tribunale Supremo mantiene la spada di Damocle della sospensione del 3º grado (semilibertà) per i prigionieri politici del governo, del parlamento e delle due principali associazioni catalaniste (Omnium Cultural e Assemblea Nazionale di Catalogna), altri tribunali in Catalogna spargono sanzioni e condanne a pioggia: tre anni e mezzo per un blocco stradale in un contesto di sciopero generale, una settantenne citata con l’accusa di aver pubblicato commenti critici su FB contro la Guardia Civil, un gruppo di pompieri accusati di malversazione per essersi presentati ad una manifestazione in uniforme, sono solo alcuni esempi di questi giorni di persecuzione della dissidenza. Sono ormai oltre 2.500 le cause aperte e decine di migliaia le multe e sanzioni amministrative.

Succede inoltre un fatto strano: questo accanimento (ben presente contro i colpevoli di lesa unità della patria) è del tutto assente invece nell’aula dell’Audiencia Nacional (tribunale che, giova ricordarlo, è l’erede diretto, anche se con un nuovo nome, del Tribunale di Ordine Pubblico della dittatura e che non ha equivalenti nelle democrazie formali europee) in cui si svolge l’udienza per gli attentati dell’agosto del 2017 a Barcellona e Cambrils. Ricordate, agosto 2017, il furgone che si scatenò sulla rambla? Sono imputati: un superstite dell’esplosione fortuita del villino in cui la cellula islamista preparava gli esplosivi e due presunti complici. In questo caso è evidente la volontà di mettere una grossa pietra tombale sull’accaduto e di liquidare la faccenda con qualche condanna frettolosa. Il presidente della corte ha rigettato tutte le richieste di perizie e di approfondimento delle indagini avanzate dalle parti civili rappresentanti le vittime. E così, grazie anche alla sorprendente indifferenza della stampa (incomprensibile perché dopotutto si tratta di uno degli attentati più sanguinosi registrati in Spagna negli ultimi decenni e perpetrato non da un “lupo solitario” ma da una cellula di almeno dieci giovani, in apparenza ben integrati nel paese – Ripoll – in cui risiedevano con le famiglie), tutti i tentativi di chiarire i numerosi punti oscuri della vicenda, come personaggi non identificati, servizi segreti che seguono i terroristi e che mantengono rapporti fino all’ultimo con l’”ideologo” degli attentati, ideologo ritenuto morto in virtù di perizie che non rispettano standard scientifici, strani percorsi e appoggi che fanno di un ex spacciatore la guida religiosa di una comunità, manuali d’esplosivi della polizia in possesso dei ragazzi e un lungo eccetera, non solo non stanno trovando risposta ma sono liquidati con l’accusa di “cospirazionismo”. Per chi ha vissuto l’epoca delle “stragi di stato” si tratta di un triste “dejà vu”.

La controffensiva nazionalista spagnola si allarga poi ad altri ambiti: TV3 e i media pubblici catalani sono stati riportati all’ordine e sono omologati nei contenuti ai media mainstream di Madrid; la scuola – dove si cerca di mantenere il catalano in vita facendone la lingua veicolare e in genere tutte le misure tendenti a ritardare la morte di una delle poche lingue neolatine non-di-stato che sopravvivono in Europa, sono utilizzate come permanente casus belli da parte dei settori ultranazionalisti di Ciudadanos e Vox per mantenere la tensione sociale (nonostante gli studi che mostrano che ormai a Barcellona solo meno di un 20% degli scambi linguistici avvengono in catalano con furibonde campagne i partiti unionisti denunciano nientemeno che un genocidio linguistico di cui sarebbe vittima lo spagnolo – 55 milioni di parlanti -). I mossos, cioè la polizia catalana che nella delirante ricostruzione del Tribunal Supremo, avrebbe costituito il braccio armato della ribellione separatista, continuano a sottolineare a parole e fatti la loro sottomissione all’ordine costituzionale e monarchico.

D’altra parte, in attesa delle elezioni catalane che si svolgeranno a febbraio, i due partiti indipendentisti che compongono il governo (Junts per Catalunya ed Esquerra Republicana Catalana) hanno compiuto una decisa virata verso un nuovo autonomismo. Cioè quella politica regionalista, perfettamente integrata nell’architettura politico-istituzionale dello stato spagnolo post franchista e che consisteva in un continuo tira e molla economico e politico con il governo centrale avente come obiettivo un miglioramento delle competenze, degli investimenti in infrastrutture ecc.

La società civile dal canto suo, sottoposta a repressione, crisi e pandemie si mostra frastornata, anche se le diverse aggregazioni sorte in vista del referendum sono passate a costituire la muscolatura di nuovi movimenti come quello per il diritto alla casa e contro gli sfratti, le reti di supporto mutuo e di distribuzione di alimenti nei quartieri, le iniziative antifasciste o i mercati rionali autogestiti. Lo stesso si può dire della sinistra anticapitalista e indipendentista, molto presente sul territorio ma che stenta a porsi come alternativa istituzionale credibile.

A complicare la situazione: i Comuns, la formazione di Ada Colau, sindaca di Barcellona, alleata di Podemos (e del PSOE) alle Cortes di Madrid, governa Barcellona in coalizione con il Partito Socialista Catalano (cioè il partito che è stato al governo della Catalunya dalla fine del franchismo ad oggi, salvo una pausa di 4 anni) dopo aver ricevuto il voto per l’investitura (la lista più votata era stata quella di ERC) dall’estrema destra di Valls, ex ministro degli interni francese eletto nelle liste di Ciudadanos.

Vittime delle dinamiche istituzionali e della loro stessa retorica, i Comuns, ben lungi dal costruire un nuovo modello di città più giusto, sostenibile e inclusivo, si sono trovati a gestire vere e proprie tempeste di sfratti, si sono dovuti rimangiare le promesse di risolvere il problema della casa, di ri-municipalizzare l’acqua, di chiudere il CIE (il carcere per stranieri colpevoli di essere tali e senza documenti), di sciogliere l’unità antisommossa della Polizia Municipale e di democratizzare questo corpo (che questa settimana ha abbattuto con due spari all’addome un senza tetto).

E vittime anche in gran parte delle alleanze che hanno scelto, in nome di una falsa equidistanza fra i settori indipendentisti e quelli unionisti della società barcellonese: il PSC infatti al Parlamento Catalano ha votato, assieme all’estrema destra spagnola, contro la prima ed unica legge che introduce l’equo canone approvata in tutto lo stato (legge che sarà impugnata, com’è ormai prassi da anni, di fronte al Tribunale Costituzionale che, regolarmente, la casserà) ed il PSOE in Spagna ha appena votato (con Ciudadanos ed il PP) contro la proposta di Podemos e indipendentisti baschi, catalani e galiziani di congelare tutti gli sfratti e i tagli delle utenze almeno fino alla fine dell’emergenza COVID.

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