di Francesco Carraro
Nell’apprendere della nascita di un gruppo interparlamentare “pro-Mes” viene da chiedersi se i loro componenti ci sono o ci fanno. Soprattutto se consideriamo – sfrondando il discorso da molti altri legittimi rilievi – il minuscolo “pro” e il macroscopico “contro” di un accesso dell’Italia ai fondi del noto Meccanismo. Il vantaggio – in termini di risparmio d’interessi rispetto a un indebitamento tradizionale con sottoscrizione di 36 miliardi di BTP decennali – sarebbe di circa 350 milioni all’anno. Per capirci, il prezzo, suppergiù, dei famosi (e inutili) banchi con le rotelle del Ministro Azzolina che magari ci costeranno altrettanto per essere smaltiti. L’enorme svantaggio, invece, è il famoso “stigma” di cui si è accorto persino il nostro premier: il MES è concepito per Stati alla canna del gas, con problemi di accesso ai mercati. Chiederne la “terapia intensiva” è come mettersi il cappello da asino in testa per far sapere a tutti quanto si è (o quanto si è stati) somari. Quindi, chi invoca a gran voce il MES, nelle migliore delle ipotesi è un incompetente, o ignorante, in buona fede. Nella peggiore, è uno che sa benissimo cosa vuole ottenere: la de-sovranizzazione definitiva del Paese; e sa perfettamente anche dove vuole arrivare: a un trasferimento oltre confine della governance economica (domestica) con il quale imbrigliare eventuali futuri esecutivi non abbastanza proni a Bruxelles. Ora, una notizia degli ultimi giorni va ad avvalorare questa tesi. Ci riferiamo alla vendita di Montepaschi da parte dello Stato (che ha salvato la banca col buco) ai privati, i quali godranno di un istituto di credito risanato (da Pantalone) con cui tornare a macinare utili. Il 16 ottobre, il Presidente del Consiglio ha siglato un altro dei suoi celeberrimi Dpcm che autorizza l’offerta ai mercati delle quote di Montepaschi detenute dallo Stato stesso. Curioso: l’Italia, a differenza della Germania, non ha una rete di banche pubbliche. Per la precisione, ha una sola banca interamente pubblica ma piccolina: Mediocredito Centrale. E poi ha Montepaschi. Ce l’ha da poco tempo e ne possiede la maggioranza delle azioni. Ebbene, il nostro Governo avrebbe tutto l’interesse, per quanto diremo, a tenersela stretta e addirittura a implementare il numero e la dimensione delle proprie banche pubbliche. Soprattutto se sono banche “di sistema” come Montepaschi. È grazie a realtà similari (la KFW, in particolare) che la Merkel è riuscita ad immettere oltre 550 miliardi di euro nell’economia reale, all’inizio della pandemia. Senza dover chiedere permesso a nessuno e senza rischiare di essere messa sotto tutela da qualcuno. Invece l’Italia, ora che ne ha una, sta progettando di liberarsene. Ma che c’entra, direte, tutto ciò con il MES? C’entra eccome, perché tramite una banca pubblica lo Stato avrebbe la possibilità di procurarsi vagonate di miliardi semplicemente accedendo ai prestiti che la BCE riserva al sistema bancario. Infatti, ai sensi dell’articolo 123 del TFUE (Trattato di Lisbona) ciò che è precluso agli Stati (vale a dire “rifocillarsi” di denaro fresco a costo zero o sottozero dalla BCE) è consentito alle banche, pubbliche o private che siano. Il primo comma della norma in questione recita così: “Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate banche centrali nazionali), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali eccetera”. Ma il secondo aggiunge: “Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”. Tradotto in parole povere, ma dagli effetti “ricchissimi”: il Montepaschi potrebbe essere impiegato per ottenere prestiti a un costo irrisorio dalla BCE. Un prezzo più vantaggioso persino dei tanto reclamizzati aiuti-capestro del MES. Dopo di che, quei soldi potrebbero essere impiegati in vari modi, tutti ugualmente proficui e fruttuosi per lo Stato: ad esempio, per finanziare piccole e medie imprese, per acquistare titoli di stato sui mercati secondari riducendo così il ricatto dello spread, o anche per partecipare alle aste primarie degli stessi (Montepaschi è l’unico istituto italiano a figurare nella lista delle diciassette banche cosiddette “dealers”, cioè autorizzate a partecipare in esclusiva alle aste medesime) contribuendo a ridurre gli interessi sui titoli di nuova emissione. O, infine, per concedere direttamente prestiti a medio termine allo Stato i quali non soffrirebbero neppure delle classiche oscillazioni di valore dei titoli del debito pubblico. Quindi, grazie a questo escamotage, lo Stato potrebbe indebitarsi a tassi bassissimi con la propria banca pubblica (la quale, a sua volta, può reperire la liquidità presso la BCE), bypassando il divieto dell’articolo 123 comma 1 del TFUE. Con buona pace dei feticisti del MES e del loro miserabile risparmio di trecenotcinquanta milioni di euro. Si tratta un po’ del famoso uovo di Colombo, ma è coerente con un dato di fatto non smentibile: il nostro mostruoso debito pubblico non si è generato perché abbiamo vissuto “al di sopra delle nostre possibilità”, ma perché abbiamo pagato una caterva di interessi. Dagli inizi degli anni Novanta ad oggi il nostro Paese è stato sempre, o quasi, in avanzo primario: cioè, ha speso sistematicamente meno di quanto ha incassato con le tasse. Insomma, siamo stati bravissimi a “fare i compiti per casa”. Purtroppo, non avendo più una banca centrale prestatrice illimitata di ultima istanza, a far data già dal famoso divorzio Bankitalia-Tesoro del 1981, è la spesa per interessi ad essere lievitata oltremisura: più di tremila miliardi in trent’anni. Quanto basterebbe, per capirci, a coprire l’intero debito pubblico attuale di circa duemilaquattrocentocinquanta miliardi. Ora che avremmo la possibilità di surrogare il “servizio” di una vera banca centrale aggirando il divieto dell’articolo 123 comma 1 del TFUE, abbiamo pensato bene di privarcene. Roba da psicopatologia. Solo Freud, infatti, è in grado di spiegarcela: “Sempre, quando esiste la prospettiva di ricevere uno schiaffo, il vero masochista porge la guancia”.
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