di Ilenia Sbrugnera
I fondi speculativi sono dei fondi comuni di investimento privato, amministrati da una società in accomandita per azioni che li gestisce utilizzando metodi ad alto rischio. Tale modalità garantisce alla società bassi di obblighi di segnalazione, a discapito degli investitori che di fatto hanno meno accesso ai dati di rendimento.
Esistono due tipi di fondi speculativi: l’arbitraggio di rischio e i fondi speculativi attivi. Questi ultimi-cresciuti soprattutto nel periodo successivo alla recessione- sono particolarmente significativi perché permettono agli investitori di ottenere posizioni nei consigli di amministrazione dell’azienda, partecipando di conseguenza concretamente alla gestione e alle decisioni ai vertici.
Tuttavia, è bene tenere presente che alcuni fattori possono rendere un’azienda un bersaglio facile per gli investitori attivi. Ad esempio, se una società è mal gestita, è poco redditizia, scarsamente competitiva o se ha costi di gestione particolarmente elevati. Senza contare che se un’azienda ha anche alti livelli di liquidità può diventare un obiettivo preferenziale per degli investitori che vogliano restituire contanti agli azionisti sotto forma di riacquisto di azioni.
E non è tutto. Gli investitori attivi, infatti, spesso adottano anche un approccio di private equity sui mercati pubblici. In parole più semplici, investono in particolari società in cui il management non ha incentivi sufficienti per massimizzare il valore per gli azionisti, né incentivi adeguati per effettuare compensi e annullare il libero flusso di cassa.
Per comprendere questi meccanismi, si deve tenere presente che l’economia statunitense ha raggiunto il proprio apice dopo la crescita del 2009, contribuendo a stimolare una ripresa dei mercati azionari. Durante tale ripresa, dunque, il mercato azionario si è rafforzato e indici come lo S&P500 hanno raggiunto livelli record. Se tutto questo è stato estremamente vantaggioso per alcune aziende, altre società che non sono state in grado di tenere il passo, dono diventate gradualmente dei potenziali bersagli di fondi attivisti opportunistici.
In quel contesto, anche i bassi tassi d’interesse possono essere considerati un fattore macroeconomico che di fatto ha aiutato molti fondi attivisti. In quegli anni, infatti, negli Stati Uniti e in Europa tali tassi hanno reso i costi del finanziamento del debito più vantaggiosi per i potenziali acquirenti. Senza dimenticare la disponibilità di contanti liquidi che molte aziende utilizzavano per finanziare le acquisizioni.
A fronte di tutto questo, si evince che i fondi speculativi hanno interesse ad investire nelle aziende per ottenere grandi rendimenti a breve termine e che uno dei loro punti focali è proprio il debito delle aziende in difficoltà. Questo, dunque, è il motivo che solitamente spinge uno o più fondi speculativi ad acquisire posizioni di rilevo in determinate società sottovalutate da ristrutturare, spingendo anche gli azionisti a vendere (o ad acquisire) determinate attività.
Tuttavia, non è raro che i fondi attivisti utilizzino anche strategie diverse. Per perseguire obiettivi a medio e a lungo termine, infatti, talvolta esigono un coinvolgimento maggiore nella performance operativa dell’azienda, proponendo anche modelli gestionali differenti.
L’accumulo di una posizione azionaria da parte di un hedge fund attivista può avere grandi effetti sul prezzo delle azioni. E non è raro che per migliorare il rendimento di un asset allocation il primo passo sia quello di tagliare i costi. Per fare questo, una soluzione è quella di ricorrere ai fondi passivi che hanno commissioni di gestione più contenute delle attive, senza per questo limitare le opportunità. I fondi passivi, infatti, consentono d’investire sui principali mercati azionari e obbligazionari volendo solo replicare i panieri di riferimento. Senza contare che la commissione di gestione negli attivi viene pagata per retribuire la ricerca dell’extra rendimento.
Le cose, tuttavia, non sono così semplici perché tra un fondo attivo e uno che dice di esserlo ci sono parecchie differenze. I gestori dei fondi attivi, ad esempio, sono remunerati proprio perché il loro compito è cercare opportunità in grado di creare valore aggiunto rispetto al mercato. Giocoforza, quindi, un fondo attivo è più caro, in partenza, rispetto a un fondo passivo. Tuttavia, i fondi falsi attivi sono una sorta di utilitarie travestite da berline: quando c’è il limite di velocità basso e il rischio di incidenti è molto ridotto non ci si accorge delle differenze, ma in condizioni di difficoltà la differenza si nota molto.
La sfida tra fondi attivi e fondi passivi è uno dei temi finanziari più discussi nell’ultimo decennio. E per la società americana Morningstar che ogni sei mesi confronta le rispettive performance nei diversi mercati di riferimento i primi sono nettamente migliori dei secondi. Se da un lato, infatti, i difensori delle strategie passive ritengono che un fondo a basso costo che replica un indice di mercato sia la migliore opportunità di investimento nel lungo termine, dall’altro, i sostenitori delle strategie attive ribadiscono che l’abilità dei gestori nella selezione del portafoglio sia in grado generare un’extra-performance rispetto al mercato.
Volendo approfondire l’argomento, ci sono diverse ragioni che spiegano perché una gestione attiva è preferibile rispetto ad una passiva all’interno del mondo obbligazionario. Per prima cosa l’universo investibile del mercato obbligazionario è molto più ampio rispetto a quello azionario: l’enorme varietà di emittenti, quindi, apre un ventaglio di opportunità di investimento maggiore per i gestori attivi.
Infine, un altro importante fattore di sovraperformance della gestione attiva è la sua capacità di posizionarsi meglio al cambiare delle condizioni di mercato. Dal momento che il mercato obbligazionario tende a performare peggio quando i tassi di interesse salgono, infatti, i gestori attivi possono adottare varie strategie per ridurre il rischio in uno scenario di rialzo dei tassi diversificando al tempo stesso il portafoglio.
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