di Francesco Veronese
Se non si ha un’adesione a un movimento politico o a un partito, originata da un atteggiamento spirituale o politico, basato su una fede aprioristica e acritica, decidere per chi votare non è semplice. È necessario non solo esaminare i programmi dichiarati dai partiti o dai movimenti politici, ma bisogna controllarne la loro coerenza nel passato, soprattutto delle persone che si dichiarano più impegnate a portarne avanti le idee. Dobbiamo decidere se possiamo fidarci oppure no. In ogni caso però dovremmo avere ben chiare, nella nostra mente, le categorie di giudizio che ci servono per fare una scelta consapevole.
Il primo ostacolo è la retorica usata dalla maggior parte dei politici. La loro abilità di manipolare le corde emotivamente più sensibili della nostra personalità, può nascondere i tranelli più biechi per fare apparire opportuna la cosa peggiore. L’emotività non è razionalità e può indurre a comportamenti contrari al proprio interesse. D’altronde essa è parte integrante ed essenziale della nostra realtà personale, della nostra visione del mondo, anche se consente salti logici pericolosi, di cui poi ci si potrebbe pentire.
Appare poi necessaria una doverosa scelta di fondo, di cui non sempre se ne ha consapevolezza.
Non credo che oggi sia possibile riscontrare sempre, con chiarezza, una netta distinzione concreta e nei fatti tra il concetto di libertà e di schiavitù, tra quello di libero arbitrio e quello di coercizione, di conformismo, di servitù anche volontaria. Un’azione decisiva di limitazione della libertà individuale deriva dall’esito dello scontro tra due visioni sostanzialmente opposte, che si sono contese il mondo per molti anni.
Da un lato vi sono quanti sostengono che il bisogno delle persone e delle famiglie sia semplicemente quanto essi domandano in una pluralità di mercati; dall’altro vi sono quelli che sostengono l’esistenza di un livello minimo di bisogno, non contrattabile ed essenziale per la sopravvivenza dignitosa di ogni individuo.
Oggi è palese la vittoria del neoliberismo sul socialismo umanitario, i dati dei paesi lo dimostrano chiaramente. Ne conosciamo le conseguenze, credo che sia azzardato confidare per questo in un futuro migliore: la cosiddetta attuale crisi del mondo globalizzato, di per sé non presuppone affatto il crollo definitivo del neoliberismo.
È chiaro che le due visioni del mondo si fondano entrambe sulla “libertà” di cui si dichiarano paladine. Ma c’è una differenza fondamentale.
ll termine “bisogno “presuppone la scarsità delle risorse materiali o non materiali, oggettivamente o soggettivamente necessarie ad un certo soggetto, per raggiungere lo stato di benessere. Se poi parliamo di “bisogni primari”, non è più in ballo il solo benessere della persona, ma addirittura la sua stessa sopravvivenza.
Quanto può essere libera una persona, ancora vittima di bisogni primari insoddisfatti? È chiaro che cercherà di sopravvivere a tutti i costi e per questo è dotata del suo istinto naturale che la induce a ricorrere a ogni mezzo pur di soddisfarli. In una società in cui si sfrutti l’istinto naturale della sopravvivenza per costringere le persone a comportamenti prescritti, di libertà non se può parlare, nemmeno vagamente.
In effetti questa è una delle manovre più importanti del neoliberismo, quando raccomanda di non mantenere mai la disoccupazione al di sotto del 10 – 20%. È evidente che questo serve a mantenere bassi i salari. Il favore verso la politica d’immigrazione è un’ulteriore spinta verso questa direzione.
Finché una persona è costretta a lottare per la sopravvivenza è libera solo di scegliere tra la schiavitù o la vita nell’illecito e la morte per fame.
Qui notiamo la funzione prioritaria della ricchezza. La si dovrebbe produrre solo per soddisfare i bisogni, questa dovrebbe essere la sua funzione unica ed essenziale. Produrre più ricchezza della quantità necessaria per soddisfare tutti bisogni primari dei cittadini, dovrebbe servire solo per appagare i bisogni secondari, che la collettività scegliesse come prioritari rispetto agli altri. Bisogni secondari “erga omnes”, non assimilabili a privilegi, ma selezionati da un organo espresso democraticamente dalla stessa società: scuola, sanità, welfare, assistenze sociali, cultura, svago, servizi pubblici, acqua pubblica ecc. In queste condizioni un cittadino potrebbe incominciare a sentirsi libero veramente, cioè potrebbe effettuare le sue scelte senza lasciarsi condizionare dai suoi bisogni primari e secondari.
Il neoliberismo intende per libertà la libera intrapresa economica. Cioè chiunque deve poter diventare imprenditore e il mito dell’uomo che si è fatto da solo domina la scena. Anche se accettassimo solo per un istante un principio come questo, resterebbe da chiarire il ruolo di coloro che non riescono o non vogliono diventare imprenditori e su che grado di libertà possono contare.
Non solo, l’accumulo di ricchezza per i più fortunati porta ben al di là del mero soddisfacimento dei bisogni. Quando la ricchezza accumulata supera più volte il fabbisogno proprio e della famiglia, per soddisfare i bisogni anche più voluttuari, essa diventa solo strumento di potere che si riversa nell’organizzazione della società con lo scopo di mantenere ben saldo il proprio privilegio e di potenziarlo.
È così che nascono le lobby, i comitati d’affari, i centri di potere finanziario che corrompono la politica, asservendola ai propri interessi. Ecco che la democrazia viene trasformata in un vestito che serve solo a coprire una sostanziale tirannia del potere finanziario, una pura retorica da usare come fumo negli occhi verso i più sprovveduti.
Entrano in competizione poi le grandi lobby di potere finanziario ed allora l’accumulo di ricchezza non basta mai, se ne crea di fittizia, denaro che crea denaro, dimenticando la sostanza reale che invece dovrebbe rappresentare.
Oggi siamo giunti a questo punto. Sarà possibile una svolta decisiva?
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