di R. Salomone-Megna
Con questo articolo voglio evidenziare cosa ha prodotto e continua a produrre nella città in cui vivo, Benevento, la trasformazione neoliberista della società italiana.
Tuttavia, sono necessarie delle considerazioni prodromiche a quanto ci accingiamo a dire.
Il disegno mondiale di trasformazione neoliberista, avviato in maniera furtiva ma inesorabile nei lontani anni “60 dall’élite anglosionista, è un progetto globale.
Tale progetto non mira solamente a cambiare i modi di produzione, a finanziarizzare l’economia reale, a sbilanciare i rapporti di forza nella distribuzione della ricchezza prodotta dalle nazioni a vantaggio delle fasce più abbienti, ma ambisce a cambiare l’uomo, il suo modo di pensare, di socializzare, di vivere, perfino il suo modo di relazionarsi con il trascendente.
La rivoluzione neoliberista, a cui Milton Friedman e sodali hanno fornito la base teorica, ha quindi anche la velleità di creare l’homo novus, l’uomo nuovo, aspirazione che condivide con tutte le altre terribili rivoluzioni che hanno funestato quello che Eric Hobsbawm definiva “il secolo breve”.
Tutto questo, per quanto terribile, ha una logica inoppugnabile.
Infatti, se l’unica regola è che non ci siano regole, affinché l’invisibile mano del libero mercato allochi al meglio le risorse, dando così la giusta remunerazione a tutto ed a tutti, è necessario che tale visione permei anche le società in tutti i loro gangli, anche quelli più reconditi.
Non deve essere tralasciato nulla.
Il controllo che prima si esercitava sul lavoratore, una volta varcato il cancello della fabbrica, ora viene esteso a tutta la sua vita.
Ed ecco che scaturisce l’esigenza di creare l’homo novus, l’homo oeconomicus, razionale, che pensa solamente al proprio particulare, che aborrisce la solidarietà e che vede lo stato come il nemico da abbattere.
L’homo oeconomicus, manco a dirlo, ha un padre nobile: il filosofo Thomas Hobbes.
Il filosofo nel lontano 1600 descrisse nel “De Cive” lo stato di natura dell’uomo, che ben si riporta al novello homo oeconomicus: “nasce come fungo dalla terra, di notte al buio e già adulto”, senza alcun legame con i suoi simili.
Tale trasformazione, rectius involuzione, viene effettuata cambiando la società ed i suoi valori di riferimento, facendo salvo però questo unico principio ispiratore: la democrazia è il libero mercato, per contro il libero mercato è la forma di democrazia più elevata.
Secondo questo sillogismo, una società che adotta il libero mercato, il free trade, è democratica “ipso facto”, anche se essa è una dittatura.
Fulgido esempio è il Cile di Pinochet.
Ai tempi di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher questo orribile individuo, Pinochet, era ritenuto un campione della democrazia sud americana, anche se gli oppositori cileni scomparivano nel nulla dopo terribili torture.
Ovviamente, il cambiamento neoliberista è avvenuto in maniera e tempi differenti, a seconda della latitudine e longitudine dei paesi interessati e soprattutto a seconda di quanta “democrazia” era necessaria somministrare ai relativi popoli.
Gli africani, i sudamericani e gli indocinesi hanno avuto bisogno di dosi massicce di democrazia.
Da noi, invece, la società è diventata liquida, una non società.
E’ stato ucciso Dio, sono scomparsi anche i padri e al di sopra di tutto, in uno stato di anomia, si è posta la libertà al consumo ed al godimento senza limiti.
Al cittadino è stato sostituito il consumatore, una monade dallo shopping compulsivo.
Precarizzato il lavoro, precarizzata la società.
La precarizzazione del lavoro comporta salari e stipendi più bassi, ma anche più disoccupazione.
Ovviamente nella società neoliberista, del latte e del miele, i disoccupati non esistono più, essi sono individui in cerca di migliori opportunità occupazionali.
I licenziati diventano imprenditori di se stessi, tante minuscole partite IVA.
Il successo per essi è un obbligo perentorio e, se non arride, diventa una colpa inemendabile, per cui è giusto che scompaiano nell’oblio così come i senza tetto, fantasmi che popolano le nostre città.
Ma torniamo a Benevento.
Qui l’ingegneria sociale neoliberista ha prodotto un risultato impensabile solamente qualche decennio addietro: una città di vecchi ed economicamente desertificata.
E pensare che Benevento negli anni “70 aveva il record di natalità!
Questo il meccanismo: il lavoro non c’è, dovendosi contenere l’inflazione, e quando c’è è precario. Con la precarietà non è possibile alcun progetto di vita comune e quindi i nostri giovani non mettono su famiglia e non procreano più.
Quelli che ci sono si accingono a lasciare il Sannio, anzi l’Italia in cerca di un futuro migliore.
Ad alimentare questo stato di cose non è esagerato dire che contribuiscono anche i messaggi veicolati dal circo mediatico, del tutto funzionali al pensiero neoliberista.
Ma perché mai pensare a costituire una famiglia, con tutto il carico di responsabilità che comporta, quando puoi vivere come un eterno Peter Pan, andare a passare il fine settimana ad Ibiza con 30 euro o a Londra con 60?
Perché essere padre, quando puoi essere per sempre figlio?
L’importante è spendere, avere rapporti affettivi fugaci, tanti, ma sempre all’insegna della massima irresponsabilità.
Questa visone sociale distopica, contro la quale noi tutti dovremmo insorgere, viene addirittura ritenuta auspicabile e meravigliosa dal pensiero mainstream e dai sacerdoti del politicamente corretto.
Il free trade, altro elemento portante del turbocapitalismo, ha determinato in Benevento l’edificazione di megacentri commerciali.
Al loro interno delle agorà virtuali, fatte di aria condizionata e di false quinte in carta pesta, cercano di sostituire quelli che erano i veri centri di aggregazione, le piazze e gli incroci del centro storico.
Il risultato è stato che il centro storico di Benevento è morto. Hanno chiuso i cinema, i teatri e sono andati via gli artigiani ed i commercianti.
Anche il franchising ha fatto la sua parte.
Da qualche settimana ha aperto nella zona alta della città un Mc Donald’s.
I primi risultati si stanno vedendo. Molti degli esercizi commerciali limitrofi registrano un netto calo degli avventori. Andrà sicuramente a finire come nel centro storico. Uno resta, tutti gli altri scompaiono.
Si potrebbe dire che questo è il bello del libero mercato: solo i migliori ce la fanno.
Ma in questo messaggio darwinista c’è un atroce inganno: anche se il mio amico Ubaldo vende con simpatia il panino fatto con i grani antichi e farcito con la carne dei vitelli marchigiani allevati nel Sannio e allo stesso prezzo del panino confezionato da Mc Donald’s, non potrà tuttavia mai pagarsi la pubblicità di Bastianich, che ogni sera va in onda ineluttabilmente su tutte le principali emittenti.
Ubaldo vende un magnifico panino, Mc Donald’s uno stile di vita che non ci è mai appartenuto.
Trovo tutto questo orribile.
Ma anche così si crea l’homo oeconomicus, somministrandogli del cibo che non ha storia e che non ha un territorio di riferimento, ma che puoi mangiare, eguale a se stesso, a Benevento come a Hong Kong.
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