di Andrea De Lotto
“Gli indiani d’America”. Ma se 500 anni fa fossero arrivati quì degli invasori da chissà dove, noi saremmo ora “gli indiani d’Europa”, le nostre diverse lingue europee sarebbero lingue semi-dimenticate, vi sarebbe un’altra lingua che le avrebbe quasi cancellate tutte, i nostri figli andrebbero in scuole dove sarebbe proibito per loro parlare la loro lingua, che fosse l’italiano o il francese o lo spagnolo. Parlerebbero di noi come vecchie tribù che si erano combattute tanto in passato, che avevano cercato di riunirsi, abili in molte tecniche ma, ahimè per loro, senza le armi che avevano quegli uomini con la pelle di un altro colore, che li avevano schiacciati.
Questi saremmo. E qualcuno ancora ricorderebbe le nostre vecchie culture, insisterebbe nel mettere dei costumi tradizionali, nel suonare la nostra musica, la tarantella o altro, nel fare i nostri riti religiosi, pretenderebbe di portare la tal Madonna a spasso per il paese, o di fare una messa in carcere.
Avremmo i nostri luoghi sacri, cercheremmo di difendere chessò le Dolomiti, o il nostro fiume Po, o il Colosseo o l’arena di Verona. Ricorderemmo di nascosto “la Divina Commedia”, avremmo segnato in mente i luoghi dove avvennero i peggiori massacri. I luoghi simbolici dove ottenemmo delle piccole rivincite, delle vittorie.
I nomi delle nostre antiche “nazioni” sarebbero diventati i nomi delle squadre di uno sport praticato da questi invasori. Stasera ci sarebbe Francia-Germania, domani giocherebbero Ungheria-Spagna. Ci prenderebbero pure in giro. Sarebbero “loro” con i nomi delle nostre patrie, a contendersi un trofeo davanti al loro pubblico urlante. Noi saremmo in un angolo a bere.
E poi magari scopriremmo che il mondo che ci viene imposto in realtà cade a pezzi. Fa acqua da tutte le parti, è un sistema demenziale, che uccide, distrugge, avvelena il pianeta, che crea e moltiplica le ingiustizie. Che scalda il pianeta, che aiuta le pandemie.
Ora chiudete gli occhi e provate a mettervi nei panni degli indiani d’America.
Massacrati per 5 secoli: per 5 secoli sono stati scritti trattati che ogni volta venivano stracciati da una parte sola. Le terre si sono sempre più ristrette. In più, visto che non soffrivate di vertigini, avete dovuto pure costruire i grattacieli di quelle città.
Le prime armi chimiche nella storia, sono state usate dal governo dei bianchi negli Usa: mandavano coperte infette ai nativi dicendo di coprirsi bene che faceva freddo: morivano come mosche.
Un tale Hitler apprezzò pubblicamente lo “spazio vitale”, il “lebensraum”, conquistato dai bianchi in quel continente. Imparò la lezione e la copiò.
Quei nativi già da bimbi finivano in “istituti” ed era la loro iniziazione alla galera che poi li aspettava.
Poi in prigione chiedevano di poter organizzare le loro “danze del sole”, i loro riti religiosi. Chiusi nelle riserve, chiusi in gabbia. O alcolizzati, o a gestire casinò, perché questa era un’utile concessione nelle riserve.
Così negli anni ’70, mentre cresceva la resistenza alla sporca guerra in Vietnam e le Black Panthers si organizzavano, si unirono anche loro e formarono l’American Indian Movement. Come se noi avessimo formato un movimento di resistenza europeo in difesa delle nostre tradizioni, terre, montagne sacre, fiumi, della nostra lingua e cultura. Un movimento “conservatore”, di “tradizionalisti”.
Ma gli Stati Uniti ci tengono alla sicurezza, l’abbiamo visto in questi ultimi mesi, non vanno per il sottile. Ogni “ribellione” va repressa. Nemici interni ed esterni devono pagare caro il tentativo di alzare la testa. Milioni di soldati Usa in giro per il mondo in basi Nato o Usa sparse per il mondo e più di 2milioni di persone nelle patrie galere, il Paese con la maggior percentuale al mondo di gente detenuta, alla faccia della “statua della libertà” come simbolo.
Così a suo tempo l’FBI si scatenò, un programma chiamato COINTELPRO fece piazza pulita dei movimenti di rivolta. Neri e indiani furono tra i principali obiettivi. Black Panthers e AIM vennero infiltrati, massacrati, incarcerati. E buttarono via la chiave.
Tre simboli:
- Leonard Peltier: nativo americano, ha compiuto il 12 settembre scorso 76 anni, da più di 44 anni è in carcere. Accusato senza prove di un crimine che con ogni probabilità non ha commesso, paga per la sua partecipazione alle lotte dell’AIM e per la sua coerenza.
- Mumia Abu-Jamal, da più di 38 anni in galera, buona parte di questi nel braccio della morte, accusato dell’uccisione di un poliziotto, ma con un processo ben poco chiaro e soprattutto punito per le sue prese di posizione, in quanto giornalista, in favore delle Black Panthers e dei MOVE.
- I MOVE: gruppo libertario, nero, di Philadelphia: furono in gran parte uccisi dalla polizia e i rimanenti incarcerati con pene che hanno terminato di scontare da poco e che hanno superato i 40 anni. Alcuni di loro sono morti in carcere.
Ma veniamo agli anni più recenti: qualche anno fa nella zona di Standing Rock, tra il Nord e il Sud Dakota un potente movimento di nativi americani si riunisce per opporsi alla costruzione di un oleodotto che attraversa le loro terre e soprattutto rischia di inquinarle. Mesi e mesi di “battaglie campali”: è la prima volta dopo 40 anni che gli indiani d’America si riuniscono, a fianco a loro molti veterani di guerra, si beccano gli idranti della polizia in pieno inverno. E poi i cani sguinzagliati contro di loro. Una lotta di resistenza. Obama fa sperare, ma delude. Lascio immaginare di chi sia amico Trump: ovviamente delle ditte costruttrici ed estrattive.
6 Luglio 2020: una sentenza del tribunale ferma i lavori. Da un’agenzia: “I Sioux hanno finalmente vinto una battaglia ambientale iniziata nel 2014 contro il progetto da 3,78 miliardi di dollari della Dakota Access Pipeline (DAPL). La Dakota Access Pipeline è un oleodotto sotterraneo lungo 1.886 km che inizia nel Nord Dakota, continua nel Sud Dakota, attraversa lo stato dello Iowa e termina nell’Illinois.” Il movimento festeggia.
14 Luglio 2020 un’altra agenzia: “La Corte d’Appello del Distretto della Columbia ha concesso all’oleodotto Dakota Access una sospensione temporanea dell’ordine di chiusura emanato il 6 luglio da un giudice federale. Durante la sospensione la Corte esaminerà il caso per decidere se chiudere l’oleodotto. Secondo la sentenza del 6 luglio, accolta con entusiasmo dai nativi e dagli attivisti che li hanno sostenuti per anni nella loro resistenza a un progetto devastante per l’ambiente e le terre sacre della tribù, l’oleodotto avrebbe dovuto…”
La lotta continua.
Aveva indovinato la regista Adonella Marena a intitolare il suo bel documentario “NO TAV, indiani di valle”.
Indovinate come si è schierato Leonard Peltier durante questa ennesima lotta di resistenza del suo popolo? Non a caso la porta di quella cella resta chiusa, da più di 44 anni.
Commenta per primo