di Antonio Monopoli
Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da quella che è stata definita l’”emergenza covid”. La nostra vita è stata stravolta ed a volte addirittura travolta sia dal timore per questo nuovo e misterioso nemico sia, in molti casi, ancor di più da quelle che sono state le misure intraprese a sua prevenzione. Nel corso dei mesi abbiamo vissuto in una condizione quasi di “tempo sospeso” con grosse restrizioni alla libertà personale e la sospensione di tutti quegli aspetti di vita di relazione a cui da sempre eravamo abituati. Abbiamo accettato questa situazione temporanea sull’onda di una iniziale assenza di conoscenza scientifica rispetto ad un nuovo virus, e nell’attesa quasi messianica di un vaccino che ci avrebbe liberati dal rischio per la vita che stavamo correndo. I sacrifici che ognuno di noi ha dovuto sopportare sono stati a volte addirittura grandissimi quali il rinvio del matrimonio, la rinuncia alla celebrazione dei funerali delle persone care, spesso la chiusura di fatto definitiva di una attività commerciale o artigianale a cui si era dedicata un’intera vita. Piccoli o grandi che siano stati i sacrifici li abbiamo dovuti accettare, in ogni caso, per un obbligo impostoci dalle autorità, oggi però che sono trascorsi alcuni mesi dall’inizio di questa emergenza tanto da poter pensare che ormai non sia più tale, ma una condizione che richieda la ponderazione frutto di una riflessione maturata nel tempo e nel vissuto dell’esperienza appena trascorsa, dobbiamo essere consapevoli che non è più il momento di decisioni estemporanee, ma di scelte competenti ed equilibrate che tengano presente in maniera forte il rapporto costi-benefici ed i valori etici e sociali in gioco.
La questione della valutazione delle modalità e conseguenze degli interventi per la prevenzione del covid-19 rientra a pieno titolo nelle problematiche di interesse bioetico. In questo caso infatti ci troviamo di fronte ad una terapia preventiva su scala mondiale e per quello che riguarda il nostro Paese su scala nazionale. Vediamo quindi quali sono le problematiche ed i criteri di riferimento che dall’angolazione bioetica vengono ad evidenziarsi.
Esiste innanzitutto un criterio di proporzionalità. In base a questo principio la terapia preventiva deve essere proporzionata alla gravità ed alla misura del rischio. In altre parole l’esistenza di un pericolo non giustifica sempre e comunque qualsiasi intervento. Ad esempio, tutti siamo consapevoli di come il rischio di morte per incidente stradale sia reale ma ciò non giustifica l’abbandono dell’uso dell’auto, bensì questo rischio viene affrontato mediante una serie di misure accessorie tese al suo contenimento. Dobbiamo, inoltre, tener presente che nella prevenzione di una malattia parliamo di un possibile danno futuro ed incerto (l’ammalarsi di covid-19) rispetto ad un onere attuale e certo che deriva dall’applicazione di una determinata modalità preventiva ad esempio il dover un perdere lungo periodo di lavoro, e quindi di sostentamento per sé e per la propria famiglia, oppure limitare fortemente le relazioni sociali. Perché un confronto, e quindi una ponderazione possa avvenire occorre, inoltre, che i valori in gioco possano essere classificabili su una scala assiologica, una scala, cioè, che ci dica qual è il loro ordine di importanza. Poiché un confronto di tipo puramente quantitativo può avvenire solo fra valori omogenei.
Occorre quindi che non vi sia una esagerazione nelle misure intraprese perché questo squilibrio porterebbe ad un danno maggiore di quello che si vuole prevenire. Nella situazione specifica del covid-19 dobbiamo considerare come le misure di contenimento impattano sull’intera popolazione italiana e, conseguentemente, su persone di ogni età, stato sociale e condizione psicologica. L’elemento dell’età, ad esempio, è molto importante perché privare un bambino di una serie di esperienze che non potranno più essere recuperate in una successiva fase di sviluppo crea un “danno” certo e per certi aspetti definitivo. Occorre quindi comprendere come la salvezza della vita fisica non sia sempre e comunque il valore supremo da tutelare perché se così fosse coloro che hanno sacrificato la propria per un valore in cui credevano fortemente come la libertà o la Patria dovrebbero essere, paradossalmente, ritenuti degli sconsiderati. Quindi la tutela della salute e finanche della stessa vita fisica non può e non deve ridurre la vita medesima a mera sopravvivenza perché, altrimenti, arriveremmo a giustificare qualsiasi limitazione dei nostri diritti sulla base della motivazione che ciò “ci protegge dal pericolo di morte”. Ma esiste qualcosa di peggiore della morte ed è “il non vivere”. I greci avevano due termini per indicare la vita “zoe” che indicava la vita in senso prettamente fisico e “bios” che indicava la vita come vita di relazione, oggi diremmo una vita con la dignità del suo vissuto umano. Il rischio è che una visione semplicistica della salvaguardia della salute e della vita possa giungere a privarci della dignità umana portandoci ad una condizione di vita intesa come pura sopravvivenza e quindi rendendoci individui deprivati della dignità di persona e conseguentemente non degni della tutela dei propri diritti. È una cosa questa che ricorda da vicino il concetto di schiavitù, ma anche la condizione dei polli in un allevamento la cui salute fisica è tutelata in funzione del loro uso strumentale a fini commerciali. Quello che si rischia con questo tipo di impostazione è l’”infantilizzazione” della popolazione che viene trattata come incapace di scegliere per sé stessa e bisognosa non di tutela bensì di tutori.
Occorre quindi recuperare dei valori più prettamente umani e che nella cultura odierna risultano in qualche modo appannati come ad esempio il coraggio che ha sempre rappresentato un elemento essenziale nella storia dell’Uomo in considerazione che il rischio è una componente ineludibile dell’esistenza, e che la razionalità vuole che si accetti, si affronti e si gestisca in maniera costruttiva. Non va confuso in modo semplicistico il concetto di rischio con quello di azzardo perché quest’ultimo va, di norma, evitato mentre il primo va ponderato ed affrontato con intelligenza e competenza.
Il dover prendere delle decisioni che riguardano l’intera Nazione richiede inoltre la consapevolezza che non esistono decisioni che eliminino totalmente gli aspetti negativi ed occorre porre molta attenzione nel comprendere che non esiste soltanto il problema di cui ci si occupa in quel momento, ma le situazioni sono per loro natura complesse. Quanti danni hanno portato finora le misure di prevenzione del covid? Erano tutti costi umani e sociali necessari? Ma soprattutto ora, dopo tanti mesi dall’inizio della pandemia, non è più accettabile che si affrontino le questioni con lo stesso spirito emergenziale con cui si affrontavano all’inizio.
Forse occorrerebbe una valutazione più articolata del rischio individuando le fasce di popolazione più fragili, come ad esempio gli anziani polipatologici, e concentrare su di essi nel rispetto della loro autodeterminazione gli interventi più incisivi per la prevenzione.
Occorre inoltre accettare che vi possano essere visioni differenti del problema e delle sue soluzioni che non possono essere liquidate con espressioni ad effetto e terminologie da basso giornalismo, ma che devono essere prese in considerazione e discusse come costruttivo e fertile apporto alla soluzione, o quanto meno alla gestione, della questione.
In ultimo non va dimenticata la possibilità di un’eterogenesi dei fini per cui le buone intenzioni (di cui non dimentichiamo è lastricata la via che porta all’inferno) non ottengono sempre un risultato positivo.
Stress, depressione, aggressività sono dinamiche psicologiche che possono sorgere nella popolazione proprio a causa di quegli interventi che dovrebbero tutelarne la salute. Intendiamoci nessuno ha la bacchetta magica, ma tutti abbiamo un’intelligenza e chi gestisce il potere ha l’obbligo morale di considerare la persona nella sua globalità ricordando che il concetto di salute indicato dall’OMS ci dice che la salute è uno stato di benessere fisico, sociale e mentale, e non soltanto l’assenza di malattia o di infermità.
Del tutto d’accordo. Salvo il fatto che le misure emergenziali (fuori misura) siano veramente apprestate per salvaguardare la salute e la vita fisica dei cittadini. Monti: Comportamenti: Finanza, regole, istituzioni. “(…) e qui io ho una distorsione sull’Europa, che è una distorsione positiva sull’Europa. Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti (…) Solo quando c’è una crisi visibile, conclamata (…)” https://www.youtube.com/watch?v=STEvyznA2Ew . Ora la crisi riguarda tutto il mondo, i comportamenti pure, e i fini (“il fine giustifica i mezzi”) magari vanno anche oltre la finanza, che resta il suolo su cui fondare le regole.
Del tutto d’accordo. Salvo il fatto che le misure emergenziali (fuori misura) siano veramente apprestate per salvaguardare la salute e la vita fisica dei cittadini. Monti: Comportamenti: Finanza, regole, istituzioni. “(…) e qui io ho una distorsione sull’Europa, che è una distorsione positiva sull’Europa. Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti (…) Solo quando c’è una crisi visibile, conclamata (…)” https://www.youtube.com/watch?v=STEvyznA2Ew . Ora la crisi riguarda tutto il mondo, i comportamenti pure, e i fini (“il fine giustifica i mezzi”) magari vanno anche oltre la finanza, che resta il suolo su cui fondare le regole.