di Marina Mascetti
Se lo sai usare, il denaro è tuo schiavo, altrimenti diventa il tuo padrone.
Questo detto latino è la chiave per spiegare quel che sta accadendo oggi.
La cultura classica – greca, romana e poi italiana – è alla base della civiltà occidentale, e poggia su tre pilastri altrettanto classici: Dio, Patria e Famiglia, oggetto di un sistematico attacco demolitorio da cinquant’anni a questa parte. Un tempo l’istruzione e la buona educazione erano importanti; medici, sacerdoti, insegnanti, sindaci e prefetti, vigili e carabinieri erano figure autorevoli, rispettate e (abbastanza) ben retribuite. Certo, non tutto era perfetto, c’era bisogno di una ventata d’aria fresca ma poi si è esagerato.
Il cambiamento culturale – i nuovi “modelli” – sono venuti dall’America, che coi media ha propagandato la famosa “american way of life”: se sei bravo, ti spalanchiamo le porte (rubando i migliori cervelli ai loro paesi d’origine). «E’ la meritocrazia, bellezza!». Odiata e temuta dal Potere, che in Italia ha sempre selezionato i mediocri, spingendo i migliori a emigrare, perché pensare con la propria testa è un’attività sovversiva. Come si vede bene in questi tempi di “pensiero unico sanitariamente corretto”, il solo che appare in TV.
Ma non è tutto oro ciò che luccica: il contraltare della meritocrazia è appunto il denaro (simbolo di successo) di cui gli americani sono schiavi. “Il tempo è denaro”, quindi tutto dev’essere fatto nel più breve tempo possibile e al minor costo possibile. Conta la quantità e non la qualità, (anche della vita: Avere o essere? scriveva Fromm già nel 1978 – e non aveva visto nulla, visto che morì due anni dopo).
La pecunia del proverbio purtroppo è diventata domina anche in Italia, prendendo il peggio dai ‘modelli’ stranieri. Lo dimostrano i Beni Culturali, (s)venduti dai politici seguendo il solito mantra “privato è bello / pubblico fa schifo”, col quale si è distrutta la sanità pubblica e lo stato sociale – coi risultati che tutti conosciamo.
Il Ministero dei Beni Culturali dovrebbe essere il più importante di tutti, invece è sempre stato una cenerentola con pochi fondi, affidato a ministri totalmente privi di competenze specifiche. Il vero potere è nelle mani di una casta di attempati funzionari che l’archeologo Andrea Carandini ha definito “talebani”. Sono i grandi sacerdoti addetti al culto del sacro reperto (di cui si considerano proprietari in esclusiva), che dopo esser stato due millenni sotto terra viene ri-seppellito per altri due nei depositi delle Soprintendenze, come nella scena finale dell’Arca perduta di Indiana Jones. Il diritto al libero studio e alla ricerca – in teoria sancito dalla Costituzione – viene da loro graziosamente concesso agli studiosi in totale discrezionalità, a simpatie.
Le Soprintendenze sono state progressivamente svuotate e paralizzate, riducendo la vera tutela sul territorio con la solita scusa che “non ci sono soldi”. Soldi che peraltro si son sempre trovati per sciagurate riforme dettate dalla globalizzazione, cioè dall’arrivo del denaro che è diventato il nuovo padrone dei Beni Culturali.
Si è iniziato nel 2004 con i “servizi aggiuntivi”, equamente spartiti in concessione fra due cordate private: Coopculture (PD) per biglietterie e visite, ed Electa (Berlusconi) per i bookshop e i souvenir. Un’irrisoria percentuale degli incassi viene graziosamente devoluta allo Stato, che paga tutto il resto: custodi, restauri, manutenzione, tutela, sorveglianza, ecc. (come documentato da Milena Gabanelli in “Belli da morire” nel 2013 su Report; Coopculture ed Electa operano “in deroga”, con contratto scaduto nel 2008.).
«E’ il metodo Fiat, bellezza!»: ovvero privatizzare i guadagni e pubblicizzare le perdite.
Per secoli il turismo ha dato da vivere all’Italia, fin dai tempi dei milord inglesi del Grand Tour. In ogni piccolo paese e città vi erano alberghi, pensioni, bar e ristoranti, guide, addetti alla manutenzione, restauri, e giardinaggio. Attività svolte da personale locale, con un grande e capillare indotto sull’economia locale.
Tutto questo è stato distrutto: i piccoli operatori non possono permettersi fideiussioni milionarie per partecipare alle aste dei “servizi aggiuntivi”. Raccolgono solo le briciole di un turismo “mordi e fuggi” che ingrassa i Tour operator stranieri, che pagano le tasse all’estero e arruolano come “guide” dei volontari inesperti pagati 3 euro l’ora, sfruttandoli come i braccianti africani. Qualsiasi cittadino “europeo” può fare la guida turistica in Italia, senza avere alcuna abilitazione; mentre le guide professionali italiane debbono avere un patentino, grazie alla famigerata direttiva europea Bolkenstein.
Il ministro Franceschini ha completato l’opera con la classica “chiamata dello straniero” a dirigere i più importanti musei italiani, con “concorsi internazionali” tutt’altro che trasparenti. Ha accorpato e separato le Soprintendenze, creando nuovi enti dalle competenze poco chiare, come l’ineffabile Direzione Generale dei Beni Culturali. È stato precursore delle “task force”, con nuovi dirigenti lautamente retribuiti ma privi di personale e quindi impossibilitati alla vera tutela sul territorio; della quale non frega niente a nessuno, per la gioia dei palazzinari e degli abusivi.
I turisti “a cottimo” visitano Venezia, Roma e Firenze in tre giorni, per vedere i negozietti di souvenir cinesi e farsi i selfie davanti ai nostri monumenti; se fa caldo fanno il bagno nelle fontane perché sanno di essere impuniti (a Parigi o Berlino ce li affogherebbero dentro).
È questo il turismo che merita l’Italia, con la sua cultura millenaria? Oppure si fa di tutto per distruggerlo, perché l’Italia è un pericoloso concorrente? Col beneplacito dell’Unione europea che – come spiegava la grande antropologa Ida Magli – da sempre vuole annientarla economicamente e soprattutto culturalmente?
Il turismo italiano è stato quasi azzerato dall’ingiusta fama di “untori della covid-peste”, e viene scoraggiato con l’ottima scusa del contagio e del “distanziamento sociale”, che ha fatto chiudere Musei e mostre e contingentato il numero delle presenze persino nei grandi parchi archeologici all’aperto. Molti paesi europei hanno chiuso le frontiere tagliandoci fuori.
I nostri straordinari monumenti sono stati umiliati e venduti, riducendoli a “location” per matrimoni e pubblicità, o per scandalosi “eventi” come l’opera rock su Nerone al Palatino (finanziata con qualche milione dalla regione Lazio e abortita sul nascere nel 2017).
Sono diventati lo sfondo, il “set”, e non i protagonisti delle visite. L’importante è far cassa, conta il numero dei visitatori – peraltro gonfiato dagli ingressi gratuiti la domenica. Le mostre effimere fanno guadagnare curatori, organizzatori, editori di cataloghi – che debbano piacere al pubblico è un inconveniente tutto secondario.
Seguendo il “modello” americano conta la quantità e non la qualità, cioè la quantità dei visitatori o degli ‘eventi’, e non la qualità culturale della visita, ridotta a semplice ”fruizione” e “valorizzazione” (orrido burocratese che “oblitera” la lingua italiana).
A questo punto oltre alla Sovranità Popolare, monetaria e politica – di cui giustamente si scrive su questa rivista – dobbiamo riprenderci anche la nostra SOVRANITA’ CULTURALE.
I nostri tesori per fortuna non possono essere de-localizzati, spacchettati, né venduti agli stranieri. Innanzitutto devono essere rispettati: non devono diventare un “brand” da comprare e spolpare, un’etichetta prestigiosa sotto la quale resta ben poco del prodotto d’eccellenza iniziale.
Il Colosseo è il Colosseo, non è in vendita! Non dobbiamo fare la fine della Grecia che versa nella casse tedesche i proventi dei biglietti dei suoi Beni Culturali. Non siamo i “miserabili mandolinisti” di Togliatti!
SOVRANITA’ CULTURALE significa anteporre la qualità alla quantità.
1 – Riportare in Italia i proventi del turismo e del suo indotto, privilegiando gli operatori locali (guide, alberghi, manutentori ecc.).
2 – Fare scoprire la cosiddetta “Italia minore”: piccoli borghi, paesaggio e natura, niente code sotto il sole, silenzio, tranquillità – il vero cuore del nostro paese. Deve essere tutelata e aiutata in un momento così difficile.
3 – Il viaggio in Italia deve tornare ad essere un’esperienza di vita – “Italian way of life”! – per veri “viaggiatori” e non per “turisti”. L’occasione per arricchirsi, imparare, aprire la mente e il cuore alla bellezza che è un linguaggio universale, la chiave di tutto.
4 – Bisogna saper “fare sistema” come avviene nelle altre nazioni, con un Ministero in grado di conciliare in modo intelligente le esigenze della tutela e del turismo, prendendo quel che c’è di buono dall’antico – Umanesimo e Rinascimento, cultura per l’Uomo – e dal moderno – tecnologia, ma al servizio dell’Uomo.
Questa grande crisi può essere un’opportunità per cambiare in meglio, riportando al centro i rapporti umani, la cultura, l’arte, l’archeologia, la musica, il cibo e tutto quel che fa dell’Italia un paese unico al mondo. Dal nostro passato dipende il nostro vero futuro, da qui dobbiamo ripartire per salvare e ricostruire il nostro paese, come spiegava ancora Ida Magli in “Difendere l’Italia” nel 2013.
Cacciamo dal tempio i mercanti del denaro-padrone, e dall’Italia le orde dei nuovi barbari, i turisti ciabattoni e ignoranti: per loro basta Disneyland o – peggio ancora – Euro-Disney!
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