di Bernardo Femia
La legge “salvasuicidi” è colma di buoni propositi nelle parole.
E’ nei fatti che le difficoltà divengono montagne insormontabili e ciò che appariva inizialmente come un cammino agevole verso la riabilitazione, può diventare l’attraversamento a piedi del deserto.
Ci si può arenare anche su una sola parola, su un concetto apparentemente banale.
Prendiamo ad esempio la “diligenza” e cerchiamo di fornirne una definizione ma, soprattutto, cerchiamo di individuare gli elementi giuridici costitutivi della presenza o meno della diligenza nei comportamenti del debitore e se la sua assenza possa o meno essere causa di rigetto della proposta del debitore.
Il gestore della crisi, infatti, deve presentare una relazione particolareggiata sulla “diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni” sia nel procedimento di “piano del consumatore” che nella liquidazione del patrimonio.
Più abbordabile, invece, la disamina della diligenza nel procedimento di accordo di composizione della crisi che è limitata all’attestazione dell’assenza di atti o iniziative in frode ai creditori
Pur non essendo la mancanza di diligenza causa di inammissibilità nella liquidazione del patrimonio (ma è causa di rigetto della domanda di esdebitazione) ed essendolo, invece, nel piano del consumatore, in quanto la “meritevolezza” prevista per detta procedura è di certo qualcosa di più della mera diligenza (il più comprende il meno), l’ammissibilità può essere più o meno agevole conseguirla, ma ciò avviene “a seconda” del Tribunale di appartenenza.
E ciò accade fintanto che il gestore della crisi non abbia, prima del giudicante, già cominciato a torcere le labbra ed a nicchiare nel valutare i comportamenti del debitore, impelagandosi in un giudizio morale che vien difficile mandare giù anche solo come idea di un obbligo procedurale, congelando qualsiasi iniziativa a monte del deposito della proposta in Tribunale.
E’ emblematico il caso di un debitore che un giorno ebbe a dirmi: “fortunatamente non ho avuto un tumore, non ho dovuto affrontare la grave malattia di un mio caro, non sono stato licenziato e non mi è crollata la casa per un terremoto, ma ho solo il peso di un assegno di mantenimento di separazione superiore alle mie reali possibilità ed è a causa di esso ho vissuto di stenti e privazioni. E poiché è financo vietato non ottemperare all’ordinanza del Giudice, che è, per precetto del codice penale, infallibile come il Papa, all’assegno di mantenimento ho fatto fronte, ma non sempre. In tal caso posso essere reputato diligente?”
Si trattava, in breve, di dire a un Giudice che se da un lato vi è assenza di causa giustificative dell’indebitamento di derivazione da eventi tragici e che muovono sempre a compassione, dall’altro un Suo collega ha errato a tal punto da aver causato danni gravi ed irreparabili (e non solo sotto il profilo economico). Blasfemia! In Italia questo non è possibile.
La cosa si complica quando a mettere in dissesto il debitore è stata la conduzione di una piccola azienda, ovviamente non fallibile. L’accertamento della diligenza in quel caso potrebbe financo passare attraverso il vaglio del rispetto delle legittime cause di prelazione dei creditori che sono stati pagati trascurando quelli di grado superiore, in barba alle disposizioni codicistiche. Si son soddisfatti, cioè, prima i fornitori chirografari (cioè senza prelazioni), ma si è omesso il pagamento di contributi e tributi erariali che hanno privilegio di Legge.
La pratica del sovraindebitamento, dunque, si va a spiaggiare tra le mani del Gestore o del Giudice e non c’è modo di poter tirar fuori un orientamento univoco tra i diversi Tribunali, perché non è ammissibile il ricorso per Cassazione e la sua “nomofilachia” (uniforme interpretazione) non può essere sollecitata, poiché gli eventuali decreti di inammissibilità non comportano giudicato ed essendo teoricamente riproponibile la domanda anche mille volte, mille volte potrebbe essere respinta con la stessa identica motivazione.
Ed allora non resta che dar fondo a quel fantasioso istituto giuridico appreso in strada e sussurrato nei corridoi dei passi perduti: il “forum shopping”: il debitore trasferisce la propria residenza in un Tribunale meno severo e che interpreta la Legge diversamente (oserei dire: forse più correttamente), incrociando le dita sul fatto che anche nel circondario eletto potrebbe non avere idonea assistenza e trovare ostacoli di altra natura.
E se tutto questo avviene dopo aver sottoscritto il preventivo dell’Organismo di Composizione della Crisi, al danno si aggiunge la beffa. Il debitore non solo non avrà ottenuto il “fresh start”, ma ha aggravato la propria debitoria con la contrazione di un debito per un servizio mai ricevuto. Ma almeno a questo ha messo fine il nuovo codice della crisi di impresa (che entrerà in vigore ad agosto del 2020) che prevede il pagamento dell’OCC dopo l’approvazione del rendiconto finale ed alla conclusione della procedura di sovraindebitamento.
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